“Esiste un evidente rischio di una grave violazione da parte dell’Ungheria dei valori su cui si fonda l’Unione”. Queste le conclusioni del Consiglio Affari Generali dell’Ue, che ieri ha proceduto – tra le altre cose in agenda – all’ottava audizione dell’Ungheria nell’ambito della procedura prevista dall’art 7 del Trattato sull’Unione europea (Tue), avviata nel settembre 2018 con una proposta motivata del Parlamento europeo.
Obiettivo dell’audizione era quello di fornire al Consiglio un quadro aggiornato della situazione nel Paese, tra l’altro in questi giorni nell’occhio del ciclone per la decisione di vietare il Pride previsto per il prossimo 28 giugno.
I temi al centro dell’audizione
Al centro dell’audizione, il funzionamento del sistema costituzionale ed elettorale, l’indipendenza della magistratura e di altre istituzioni, la corruzione e i conflitti di interesse, la vita privata e la protezione dei dati, la libertà di espressione, la libertà accademica, la libertà di religione, la libertà di associazione, il diritto alla parità di trattamento, i diritti delle persone appartenenti a minoranze e la protezione contro le dichiarazioni di odio nei confronti di tali minoranze, i diritti fondamentali dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati e i diritti economici e sociali.
Il Parlamento europeo, riporta la decisione del Gac, ha riconosciuto che “le autorità ungheresi sono sempre state pronte a discutere la legittimità di qualsiasi misura specifica”, ma che “non hanno adottato tutte le misure raccomandate nelle sue precedenti risoluzioni”.
Il commissario europeo alla Giustizia, Michael McGrath, in conferenza stampa al termine del Gag, ha confermato che “persistono notevoli preoccupazioni e purtroppo si sono aggravate“, motivo per cui “la posizione della Commissione nel complesso non è cambiata: la procedura dell’articolo 7 deve essere mantenuta finché le questioni che le hanno innescate rimangono irrisolte”.
Oltre alla questione Pride, McGrath ha espresso preoccupazioni per “l’uso proposto della tecnologia di riconoscimento facciale basata sull’intelligenza artificiale”, precisando che a tal proposito non è stata presa nessuna decisione definitiva e che attualmente nessuna linea d’azione è stata esclusa.
Cos’è la Clausola di sospensione (art. 7 del Tue)
L’articolo 7 del trattato sull’Unione europea prevede la possibilità di sospendere i diritti di adesione all’Unione europea, nel caso in cui un Paese membro “violi gravemente e persistentemente i principi su cui si fonda l’Ue”.
Tra questi, sottolinea la decisione del Gag, ci sono “l’uguaglianza, il rispetto della dignità umana, della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti umani”, valori che nel Paese di Viktor Orbán sarebbero a rischio.
Come anticipato, la procedura contro l’Ungheria è stata avviata nel 2018, e quella di ieri era infatti l’ottava audizione in merito, tanto che a margine del Consiglio è stato sottolineato come non si possa dire che le cose non siano fatte in maniera frettolosa e ‘punitiva’. D’altronde però, ha sottolineato il ministro di Stato per l’Europa della Germania, Gunther Krichbaum, “a un certo punto dovremo pensare a come procedere“.
L”opzione nucleare’
L’opzione più radicale è la sospensione del diritto di voto dell’Ungheria in seno al Consiglio Ue, che risolverebbe peraltro la questione delle continue opposizioni di Orbán alle decisioni comunitarie sull’Ucraina, sulle sanzioni alla Russia e altri dossier.
Ma per arrivare a quella che è vista come una ‘opzione nucleare’ serve l’unanimità, e Orbán può contare sullo slovacco Robert Fico. C’è poi l’incognita dell’Italia: il governo Meloni ha un rapporto speciale con il presidente ungherese, tanto da essere stato l’unico Paese dell’Europa occidentale a non aver firmato ieri una dichiarazione condivisa da 20 Stati membri in cui si esprime preoccupazione per gli sviluppi in Ungheria, “contrari ai valori fondamentali della dignità umana, della libertà, dell’uguaglianza e del rispetto dei diritti umani” e si invita sia Budapest a “rivedere le misure”, sia la Commissione a ricorrere “pienamente e rapidamente” agli strumenti a sua disposizione se necessario.
Anche se ieri non sono stati fatti sostanziali passi avanti verso provvedimenti contro l’Ungheria, l’audizione non ha nemmeno convinto a far decadere la procedura dell’art. 7 Tue. Inoltre, che 20 Stati abbiano firmato una dichiarazione e chiesto misure è un segno chiaro di quello che ha spiegato Krichbaum: “La pazienza è finita”.