Stallo europeo sulla “solidarietà migratoria”: Bruxelles si inceppa (e Berlino protesta)

La Commissione europea ritarderà l'annuncio su quali Paesi membri necessitino di assistenza per la gestione dell'immigrazione clandestina
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Migranti Gommone Ipa Fg
Soccorsi di migranti a bordo di gommoni nel Mediterraneo centrale (Ipa/Fotogramma)

La gestione dei flussi migratori nell’Unione europea si conferma un terreno minato per l’armonia tra gli Stati membri. L’ultima notizia da Bruxelles evidenzia un significativo stallo: la Commissione europea ritarderà l’annuncio cruciale – previsto per legge entro il 15 ottobre – su quali Paesi membri necessitino di assistenza per la gestione delle migrazioni e su come le misure di cosiddetta “solidarietà tra gli Stati membri” debbano essere distribuite.

Il mancato accordo e la reazione della Commissione

A confermare il ritardo nell’accordo sulle politiche riguardanti l’immigrazione è il commissario europeo per gli Affari Interni e la Migrazione, Magnus Brunner, il quale ha affermato alla stampa a Lussemburgo che, anche se la scadenza è fissata dalla legge, si tratta della “prima volta che facciamo questo esercizio… non è così facile “. “Sono sicuro – ha aggiunto Brunner – che riusciremo a trovare un accordo. E non credo che importi se arriva un paio di giorni prima o dopo. L’importante è che funzioni. Lo stesso vale per il regolamento sui rimpatri”.

La decisione di ritardare le proposte conferma un momento di forte tensione, sia per quanto sta accadendo alla politica in Francia, sia per il generale malcontento pubblico diffuso in Europa riguardo al tema “migranti”.

Problemi sulla “solidarietà” europea?

Le discussioni in corso tra i ministri europei degli Interni a Lussemburgo ruotano attorno a due pilastri fondamentali del nuovo Patto sulla migrazione:

  1. Il sistema di “solidarietà”
    La Commissione europea avrebbe dovuto stabilire quali Paesi si trovino oggi sotto pressione circa la gestione dei migranti irregolari e come gli altri Stati membri dell’Unione europea possano dare una mano. Secondo il nuovo Patto sulla migrazione, i governi possono scegliere di sostenere i Paesi in difficoltà accettando di accogliere alcuni migranti o fornendo aiuto strategico tramite fondi economici e personale. Questa ripartizione dei contributi si basa su fattori come le dimensioni del Paese e il numero di rifugiati già ospitati.
  2. Rimpatri e centri extra-Ue
    Un altro punto cruciale è l’efficacia dei rimpatri e dei centri di accoglienza in Paesi extra-Ue: una possibilità, quest’ultima, che obbligherebbe i Paesi membri a riconoscere e applicare le decisioni di espulsione prese da un altro governo dell’Ue: attualmente solo un quinto degli immigrati che dovrebbero lasciare l’Unione europea è stato effettivamente espulso.

Lo stallo e le differenti vedute tra gli Stati membri

Il ritardo e le difficoltà procedurali nascono da profonde spaccature politiche, che mettono in luce un problema nel Patto. Il principale ostacolo al meccanismo di solidarietà è legato al mancato rispetto del cosiddetto Regolamento di Dublino. Questa normativa stabilisce che il Paese responsabile dell’esame della domanda di asilo è, di norma, il primo Paese dell’Ue in cui il richiedente è entrato.

Alcuni Paesi membri sono insoddisfatti del comportamento di Stati quali Italia e Grecia, Paesi storicamente di primo ingresso per i migranti visti gli sbocchi diretti sul Mediterraneo, che non starebbero gestendo le richieste di migrazione come previsto dal Regolamento. L’Eurostat ha rilevato che, nel 2024, l’Italia ha ricevuto 42.807 richieste da altri Paesi Ue per riammettere i richiedenti asilo che avevano fatto il loro primo ingresso nel Bel Paese o prendere in carico le loro domande, ma ne ha accettate solo 60. La Grecia, su 17.163 richieste, ne ha accettate solo 26.

Tra gli insoddisfatti ci sono Germania e Paesi Bassi, i cui governi si sono dimostrati riluttanti a contribuire al fondo di solidarietà e desiderano usare questo meccanismo come leva per garantire che Italia e Grecia rispettino le regole. Se i Paesi di primo ingresso non rispetteranno le regole di Dublino, la responsabilità di gestire il migrante può passare ad altri Stati membri, un fenomeno noto come “migrazione secondaria” e che da anni ha aggravato la gestione di cittadini extra-Ue in Europa.

Le preoccupazioni nazionali

Anche la proposta per il riconoscimento obbligatorio delle decisioni di espulsione è estremamente controversa. Stati come Germania, Paesi Bassi, Francia e Polonia temono gli oneri amministrativi eccessivi dovuti alla gestione dei migranti espulsi nei Paesi di prima accoglienza: il rischio è quello di diventare poli di attrazione per la migrazione secondaria e di doverne gestire i costi.

Al Bundestag, il parlamento tedesco, giovedì scorso è scoppiata la polemica sull’argomento. Il ministro dell’Interno Alexander Dobrindt chiedeva misure più severe per gestire l’immigrazione clandestina. La soluzione proposta è spingere verso i centri extra-Ue situati in Paesi non europei considerati “sicuri”, ma l’opposizione ha espresso perplessità sul rispetto dei diritti umani di quei cittadini che cercano accoglienza, scappando da condizioni di guerra o crisi politica, e che non la troverebbero con la mancata accoglienza europea o nei centri di accoglienza nei quali avrebbero libertà limitate.

In una dichiarazione rilasciata nel fine settimana, il primo ministro polacco Donald Tusk ha ribadito di aver “detto che non ci sarebbe stato alcun trasferimento di migranti in Polonia, e non ci sarà!”.

In una dichiarazione rilasciata nel fine settimana, il Primo Ministro polacco Donald Tusk ha ribadito di aver “detto che non ci sarebbe stato alcun trasferimento di migranti in Polonia, e non ci sarà!”

La Danimarca, che detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue, ha avanzato un compromesso che propone di accettare la decisione di espulsione emessa da un altro Paese come principio fondamentale, ma con chiare eccezioni. Queste intense discussioni evidenziano che, nonostante gli sforzi per modernizzare e rafforzare il sistema migratorio (come la recente attivazione del nuovo Sistema di Ingresso/Uscita Ees alle frontiere esterne), il concetto di “solidarietà” rimane l’enigma più difficile da risolvere per l’Unione.

L’attuale pressione politica trova gioco anche nella retorica anti-immigrazione dei partiti di estrema destra in ascesa nella maggior parte dei Paesi membri, e rende cruciale la ricerca di un accordo, anche se la strada appare ancora lunga e complessa.