Il nuovo governo di Babiš: Praga si sposta a destra e sfida l’Unione europea

Il nuovo governo in pectore di Praga annuncia battaglia sul Green Deal, sulle auto e sul Patto su migrazione e asilo. In forse il sostegno all'Ucraina. Bruxelles osserva con preoccupazione l'ascesa di un nuovo gruppo di Visegrad
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Andrej Babis Repubblica Ceca elezioni
Andrej Babis (Michal Cizek/Afp)

Il miliardario ceco Andrej Babiš, fresco vincitore un mese fa delle elezioni in Repubblica ceca, ha messo in piedi la sua squadra di governo, firmando lunedì scorso un accordo di coalizione. Ed è una squadra tutta spostata in senso radicale. Babiš, infatti, si è alleato con l’estrema destra di Spd (Libertà e Democrazia Diretta) e la destra degli Automobilisti per Sé ((Motoristé sobě). La coalizione, che dovrà ottenere la fiducia del Parlamento, gode di 108 seggi su 200 nella Camera bassa: Ano, il partito di Babiš, ne ha 80, Spd 15 e gli Automobilisti 13. Il magnate, a cui il presidente ceco Petr Pavel aveva dato l’incarico di formare il governo la scorsa settimana, ha fatto sapere che intende entrare in carica entro metà dicembre per approvare subito la legge di bilancio 2026.

Il voto del 3 e 4 ottobre ha dato al partito Ano (Azione dei cittadini scontenti) di Babiš, su posizioni populiste, euroscettiche e filo-russe, il 35% delle preferenze, e solo il 23% alla coalizione di governo di centro-destra del premier Petr Fiala, Spolu (Insieme). Dietro, un altro partito di centro-destra e pro-Ue al governo, Stan (Sindaci e Indipendenti), arrivato all’11,2%. I liberali Pirati hanno ottenuto l’8,9%, Spd il 7,8% e gli Automobilisti il 6,8%.

Ano sembra dunque, paradossalmente, il partito meno radicale della coalizione. Secondo alcuni analisti, d’altronde, si tratta di un movimento che segue gli orientamenti della popolazione e si aggiusta di conseguenza. Laddove i motoristi, ad esempio, sono coagulati attorno a tematiche ben precise: il ‘no’ alle politiche verdi e al divieto di motori a combustione dal 2035 propugnato dalla Commissione europea.

Bruxelles preoccupata

E proprio l’Europa non guarda con serenità verso Praga. Sebbene alcuni pensino che il miliardario Babiš non vorrà sterzare troppo in campo internazionale, avendo forti interessi in Europa da proteggere (ma ha anche legami non perfettamente chiari con la Russia), il timore è che il nuovo governo si trasformerà in un’altra spina nel fianco, puntando a ridurre il sostegno all’Ucraina e a contrastare le politiche in materia di migrazione e clima.

Non sono incoraggianti i nomi della squadra di governo trapelati (previsti 16 ministri, che saranno ufficializzati solo a fine mese). Il ministro degli esteri in pectore, Filip Turek (Motoristi), è stato nominato tale nonostante il recentissimo scandalo per presunti commenti razzisti, sessisti e omofobi pubblicati sul suo account Facebook prima che entrasse in politica. Turek ha negato ogni addebito.

Anche il ministro dell’Ambiente designato, Petr Macinka, sempre dei motoristi, non promette bene per Bruxelles, avendo già definito il cambiamento climatico “pura propaganda”.

Il leader di estrema destra Tomio Okamura, di Spd, che a colpi di retorica nazionalista vorrebbe l’uscita della Cechia dall’Unione Europea e dalla Nato, è il candidato della coalizione per la presidenza del Parlamento ceco. Okamura a inizio del 2025 è stato privato dell’immunità parlamentare per alcuni manifesti elettorali ritenuti razzisti diffusi in occasione delle elezioni europee del 2024, ma la sua rielezione lo scorso mese gliela ha restituita, con la prospettiva di poterla mantenere in futuro. Il politico affronterà il candidato cristiano-democratico Jan Bartošek in una votazione la prossima settimana.

Il programma di governo ‘dichiara guerra’ all’Unione

Il programma di governo è poi una specie di ‘dichiarazione di guerra’ all’Unione: contrastare il Green Deal europeo e le politiche migratorie del blocco, no all’adozione dell’euro, in forse il sostegno all’Ucraina.

Quanto al primo punto, Babiš ha detto che “il Green Deal non è sostenibile nella sua forma attuale, motivo per cui ne promuoveremo una revisione fondamentale”. La coalizione di governo è pronta a dare battaglia sul divieto dei motori a combustione dal 2035 (il settore automobilistico è particolarmente rilevante nel Paese) e sul sistema di scambio di quote di emissione ETS2 voluta dall’Unione per ridurre i gas serra, che viene rifiutato.

Quanto all’immigrazione, il nuovo esecutivo promette “tolleranza zero” per gli irregolari, rifiuta il Patto europeo su migrazione e asilo e vuole limitare il diritto d’asilo a casi eccezionali.

Quanto all’adozione dell’euro, che la Cechia si è già impegnata a implementare, c’è una marcia indietro, con la proposta per una legge costituzionale che garantirebbe la Corona ceca come valuta nazionale.

Quanto all’Ucraina, nota dolente, il programma parla, ambiguamente e in modo vago, di “misure diplomatiche che porteranno alla fine della guerra in Ucraina e all’eliminazione dei rischi di guerra in Europa”. Ma Babiš ha già avvisato che non intende portare avanti gli aiuti a Kiev, a partire dalla dismissione di un programma di fornitura di munizioni al Paese, guidato dalla Repubblica Ceca e finanziato dall’estero. Pevel, tuttavia, ha esortato i partiti a mantenere il programma.

In tema sicurezza, il magnate ha escluso i referendum proposti da Spd per uscire dalla Nato e dalla Ue e intende mantenersi ancorato nell’Alleanza Atlantica (e rafforzare i legami con gli Stati Uniti), puntando a rafforzare le difese aeree e anti-drone e a partecipare alle iniziative europee di difesa aerea. Tuttavia, nel programma la Russia non è menzionata come minaccia, né c’è l’impegno ad aumentare la spesa militare al 5% del Pil nei prossimi anni come deciso a giugno al vertice Nato dell’Aja.

Il miliardario, inoltre, sostiene che l’Unione abbia “dei limiti” e che venga prima la sovranità nazionale. Nella sua visione il blocco dovrebbe essere guidato più dagli Stati e meno dalla Commissione. L’europeista Pavel ha avvisato che bloccherà la nomina di ministri a favore del ritiro del Paese dall’Unione Europea o dalla Nato.

Un nuovo gruppo (o triangolo) di Visegrad

Babiš in campo internazionale sogna anche un nuovo gruppo di Visegrad (V4), l’alleanza politico-regionale nata nel 1991 con l’obiettivo di rafforzare la cooperazione tra Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia. L’iniziativa prendeva il nome dalla città ungherese di Visegrád, dove nel 1335 i re di Polonia, Ungheria e Boemia si incontrarono per la prima volta per coordinare le loro politiche commerciali e difensive: un simbolo di cooperazione che è stato ripreso secoli dopo nel contesto post-guerra fredda.

Quando fu fondato, il gruppo aveva tre scopi principali:

coordinare la transizione post-comunista dopo la caduta del blocco sovietico;
collaborare nell’integrazione europea e nella Nato, che i quattro Paesi hanno poi raggiunto tra il 1999 e il 2004;
creare una voce comune dell’Europa centrale su sicurezza, migrazioni, economia ed energia.

Il V4 è poi trasformato nel tempo, diventando a Bruxelles una voce fuori dal coro, soprattutto durante la crisi migratoria del 2015, quando il gruppo si oppose alle quote obbligatorie di ricollocamento dei rifugiati proposte dall’Ue, durante i dibattiti sull’autonomia energetica e sulla politica agricola e per quanto riguarda la pandemia e la guerra in Ucraina.

Proprio l’Ucraina ha messo a nudo profonde divisioni interne, con la Polonia che si oppone all’Ungheria e alla Slovacchia, relativamente filorusse, e sostiene con forza Kiev. La Repubblica Ceca finora era allineata a Bruxelles e a Varsavia, cosa che potrebbe presto cambiare.

La lotta alle politiche verdi europee può unire questi Paesi: Ungheria e Slovacchia sono scettiche nei confronti delle proposte ecologiche della Commissione, e anche il primo ministro polacco Donald Tusk esprime molta prudenza. Budapest è favorevole a una rinascita del gruppo di Visegrad, anche sotto forma di triangolo insieme a Bratislava e Praga.

Il premier magiaro Viktor Orbán, in un’intervista rilanciata sui propri social, ha dichiarato, con riferimento al nuovo asse con lo slovacco Robert Fico e con il premier in pectore Babiš, che “nell’Europa centrale il fronte pacifista sta crescendo. Con l’aggravarsi delle difficoltà economiche in Europa, sempre più nazioni si renderanno conto che la pace è l’unica strada”.