Il nucleare torna al centro del dibattito politico e dunque pubblico, in Europa e in Italia, con quest’ultima che si prepara a un clamoroso ritorno. Nell’Unione le polemiche sono rinfocolate dalle voci secondo cui il commissariato chiave della Transizione ecologica possa andare alla spagnola Teresa Ribera: è tutto da vedere se la ministra per l’Ambiente del Paese iberico passerà l’esame dell’Europarlamento. Ribera infatti è notoriamente su posizioni anti-nucleare, che per lei semplicemente “non è un’energia verde”, perciò i Paesi che invece stanno puntando su questa fonte energetica sono sul piede di guerra.
Il nucleare, appannato – ma non eliminato – dalla tragica vicenda di Chernobyl (1986) e dal disastro di Fukushima (2011), è tornato in gran spolvero negli ultimi tempi per due motivi: il primo è che, garantendo energia senza emissioni di Co2, sembra il sistema migliore per raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica decisi dagli Accordi di Parigi e dal Green Deal Europa, altrimenti molto a rischio.
Tanto che durante la COP28 di Dubai, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite che si è tenuta lo scorso novembre tra le polemiche, il nucleare ha affiancato le rinnovabili come strumento verso la decarbonizzazione e gli Stati produttori hanno preso l’impegno di contribuire a triplicare la capacità di produzione di energia nucleare globale entro il 2050.
Il secondo motivo per cui si sta tornando a parlare con forza di nucleare è l’esigenza di indipendenza energetica dal gas russo, diventata pressante dopo l’invasione dell’Ucraina due anni e mezzo fa.
Nucleare energia ‘pulita’?
Quanto al primo punto, occorre sottolineare che, anche se viene proposta come una fonte ‘pulita’, il nucleare porta con sé l’enorme problema dei rifiuti radioattivi, sui quali tra l’altro ad esempio l’Italia è bloccata da tempo perché nessuno vuole nelle proprie vicinanze il deposito nazionale permanente delle scorie nucleari. Risultato: non sappiamo come smaltire né i rifiuti delle vecchie centrali dismesse da oltre 30 anni, né quelli nuovi, scarti di attività come l’industria e la medicina nucleare.
Altre criticità legate al nucleare, evidenziate dai detrattori, sono i costi altissimi e i tempi molto lunghi per costruire le centrali, senza dimenticare la fondamentale questione sicurezza, che alimenta le divisioni e l’ostilità di gran parte dei cittadini.
Per quanto riguarda l’autosufficienza energetica, nel 2021 le centrali dell’Unione hanno prodotto col nucleare 731 terawattora. Un dato in calo rispetto al ‘record’ del 2004, anno in cui erano stati prodotti 900 terawattora e dovuto alle progressive dismissioni dei reattori, soprattutto della Germania. Ma secondo i dati dell’Europarlamento, “l’energia nucleare rappresenta quasi il 26 % dell’energia elettrica prodotta nell’Ue”, collocandosi dunque come un fattore rilevante nella ricerca dell’indipendenza dalla Russia e da altri teatri geopolitici critici.
Non a caso il Vecchio Continente dimostra di non avere pregiudiziali, nonostante il trauma Chernobyl: il nuovo nucleare è stato inserito tra le tecnologie chiave per la transizione nel Net Zero Industry Act, mentre a marzo 2024 la Commissione europea ha lanciato la European Industrial Alliance sugli Small Modular Reactor (SMR), a cui anche l’Italia ha aderito lo scorso aprile, e che mira a promuovere un programma europeo comune e a creare le migliori condizioni per la diffusione degli SMR in tutto il blocco.
Spesso nel dibattito politico e pubblico scatenato dal tema, si pensa alle vecchie centrali, ma secondo gli esperti esiste ormai un ‘nuovo nucleare’ che può garantire una fornitura “programmabile, modulabile e a costo fisso”. Dunque, uno “stabilizzatore sistemico” che permetterebbe una produzione elettrica decarbonizzata e indipendente dall’estero.
Chi ha il nucleare in Europa?
Forse non tutti sanno che il nucleare in Europa è molto diffuso, e che l’Italia è l’unico Paese del G7 a non avere centrali. Ma la situazione è variegata, dato che non esiste una politica comune e quindi ogni Stato decide per sé. Tre le posizioni sul campo: chi produce nucleare e vuole aumentarlo (come Francia, Olanda e Finlandia), chi non lo produce, chi lo produce ma sta diminuendo o dismettendo (Germania e Spagna). Attualmente, gli Stati produttori di energia nucleare nell’Unione sono 13 su 27. La parte del leone la fa la Francia con 56 – più uno in costruzione – dei 103 reattori attivi.
E proprio la Francia è molto attiva su questo fronte: il presidente Emmanuel Macron ha sostenuto la ripresa del programma nucleare francese come obiettivo centrale del suo secondo mandato, facendo leva sulla creazione di nuovi posti di lavoro, sugli investimenti verdi e sui progressi nei mini-reattori.
Perciò il Paese transalpino si è fatto promotore della creazione, nel febbraio 2023 della Nuclear Alliance, con l’obiettivo di mettere a punto una roadmap che permetta di raggiungere in Europa i 150 GWe di capacità nucleare nel mix energetico al 2050. 16 i Paesi membri: Belgio, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Finlandia, Francia, Ungheria, Paesi Bassi, Polonia, Romania, Slovenia, Slovacchia, Svezia, Regno Unito come invitato e l’Italia come osservatore.
I Paesi che spingono per il nucleare
In pratica, all’interno dell’Unione molti Stati premono per sviluppare il nucleare. Tra i più ‘agguerriti’, oltre alla Francia ci sono i Paesi dell’Europa centrale, a partire dai 4 di Visegrad.
La Repubblica Ceca ha affidato la costruzione di due nuovi reattori alla società sudcoreana KHNP, reattori che si aggiungeranno ai quattro già attivi presso la centrale di Dukovany. Anche la Slovacchia sta prendendo contatti in Corea del Sud, per realizzare il sesto reattore presso la centrale di Bohunice, a nord della capitale Bratislava. Quanto all’Ungheria, il Paese ha già prolungato per vent’anni l’operatività dei 4 reattori della centrale di Paks a sud della capitale, mentre allo stesso tempo sta portando avanti il progetto ‘Paks II’ per costruire due ulteriori reattori, in collaborazione col gruppo governativo russo Rosatom, e questo nonostante le problematiche legate alla Russia e ai rapporti con l’Ue dopo l’invasione dell’Ucraina. Infine la Polonia, unico tra i V4 senza centrali nucleari, prevede di iniziare i lavori per la sua prima centrale a Lubiatowo, nel 2026.
I Paesi che frenano sul nucleare
Ma c’è anche chi è contro: la Spagna ha approvato lo scorso anno un programma di dismissione delle centrali ancora attive entro il 2035, con la chiusura del primo impianto prevista per il 2027, mentre il Belgio terrà aperte quelle già ha solo per altri dieci anni, e almeno al momento non ha in mente di aprirne altre.
Anche la Germania, in seguito al disastro di Fukushima, ha iniziato a dismettere le centrali, per poi ritrovarsi dipendente dal gas russo. Ma l’avvio della guerra in Ucraina ha scatenato polemiche e dubbi sulla bontà della decisione di abbandonare il nucleare, infatti i Ministeri dell’Economia e dell’Ambiente, entrambi guidati dai Verdi, sono stati molto criticati per il loro approccio alla chiusura delle ultime tre centrali nucleari nazionali. In ogni caso, intanto, la quota di energia generata dal nucleare nel Paese è scesa fino all’1,4% nel 2023.
Anche il Portogallo ha assunto una posizione ferma contro l’energia nucleare, e sta stabilendo un piano di smantellamento del suo vecchio reattore nucleare, che comunque non produceva energia.
E l’Italia?
L’Italia prepara un clamoroso ritorno al nucleare
L’ipotesi nucleare è tornata a bomba anche in Italia. Sono note alcune posizioni pro-nucleare nei partiti di governo, tra cui la Lega del vicepremier Matteo Salvini mentre, non più tardi di sabato scorso, in un’intervista al Corriere della Sera il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin ha detto che il governo sta lavorando a un disegno di legge per la reintroduzione in Italia dell’energia nucleare di nuova generazione: “L’impegno è di approvare il disegno di legge con le deleghe nel 2025”.
”Gli italiani -continua Pichetto Fratin nell’intervista – si sono espressi su una tecnologia di 60 anni fa. Noi guardiamo al nuovo nucleare, che non prevede la costruzione di grandi centrali”. Il riferimento è ai già citati Small modular reactor e agli Advanced modular reactor.
E il nucleare ha tenuto banco anche nel fine settimana al 50° Forum Ambrosetti, il convegno annuale a tema economico che si è svolto lo scorso fine settimana a Cernobbio (Como). In quella sede, il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha espressamente detto che nei piani c’è anche la costituzione di una nuova società “con partnership tecnologica straniera, che consenta di produrre a breve in Italia il nucleare di terza generazione avanzata”. Secondo alcune indiscrezioni rilanciate da Bloomberg, nel progetto sarebbero coinvolti Ansaldo Nucleare, Enel e Newcleo.
Sulla stessa linea il vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei trasporti Matteo Salvini, sempre al Forum Ambrosetti: “L’Italia non può più dire no al nucleare. Ritengo che una delle mission più importanti di questo governo sia di riportare l’Italia nel contesto della modernità, dell’efficienza e della sostenibilità ambientale, riavviando il dossier nucleare“. “Siamo circondati da reattori, con aziende italiane come Enel che stanno gestendo nucleare in tanti Paesi europei ma non in Italia. È un suicidio, un non senso, una follia”, ha continuato Salvini, dicendosi “convinto che se ci fosse la possibilità di fare un referendum, la maggioranza degli italiani direbbe sì al ritorno al futuro”.
E alla domanda su un eventuale terzo referendum sul nucleare, dopo quelli – contrari – del 1987 e del 2011, Pichetto Fratin ha risposto: “Non faccio il mago. Il rischio c’è. O possiamo trovare un equilibrio e una capacità di produrre energia in modo competitivo o il nostro sistema Paese non regge la competizione con altri Paesi”.