Francia e Germania contro il Green Deal: la retromarcia Ue sulla sostenibilità

Ennesimo colpo per il Green Deal: i due leader chiedono all'Ue di cancellarlo definitivamente
7 ore fa
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Merz E Macron Incontro Parigi Ipa Ftg
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz e il presidente francese Emmanuel Macron durante l'incontro a Parigi del 7 maggio 2025 (Ipa/Ftg)

Un altro corpo inferto al Green Deal dopo la recente presa di posizione di Francia e Germania contro la Corporate Sustainability Due Diligence.

Lunedì scorso, durante un incontro a Versailles con rappresentanti del mondo imprenditoriale, il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato che la legge andrebbe cancellata, allineandosi con il cancelliere tedesco Friedrich Merz che aveva precedentemente definito il rinvio della direttiva “al massimo un primo passo” e la sua “completa abrogazione” come “il passo logico successivo”. La riappacificazione sul nucleare, ovvero la decisione della Germania di non ostacolare più la richiesta francese per la parità di trattamento tra energia atomica e fonti rinnovabili nei regolamenti comunitari, ha dato nuova linfa alla sintonia tra i due Paesi, che si era affievolita negli ultimi mesi.

L’inversione di rotta franco-tedesca

La richiesta di Francia e Germania di eliminare la Corporate Sustainability Due Diligence è in linea con gli attuali scenari, ma rappresenta una netta svolta rispetto a pochi anni fa.
Nel 2017 proprio la Francia di Macron era stato il primo Paese Ue a introdurre una legge nazionale sul monitoraggio delle filiere. Oggi, però, il presidente ritiene che Bruxelles abbia introdottomolti vincoli” alle imprese in un momento difficile, nel quale l’industria europea deve fronteggiare “la feroce concorrenza del Sud-est asiatico e soprattutto della Cina”.

Le aziende francesi accusano la direttiva di danneggiare la loro competitività internazionale attraverso complessi e onerosi requisiti di rendicontazione con limitati benefici reali. In alcuni Paesi africani, la conformità alla direttiva è considerata “essenzialmente impossibile” perché i fornitori non sono in grado di fornire le informazioni richieste.

Anche la posizione tedesca rappresenta una rottura con quella precedente. Sul fronte green, il neocancelliere Merz vuole portare avanti una politica opposta a quella del suo predecessore Olaf Scholz. Sul punto, si registrano forti tensioni tra il leader della Cdu e il ministro delle Finanze Lars Klingbeil, che, a differenza del cancelliere, ritiene la direttiva necessaria e da semplificare, ma non da eliminare.

Il Green Deal sotto assedio: un contesto geopolitico sfavorevole

Il Green Deal europeo si trova oggi sotto un triplice attacco: la pressione politica interna con l’avanzata delle destre, le sfide economiche globali e le minacce commerciali esterne rappresentate dai dazi di Trump e dalla sovrapproduzione cinese. Secondo l’ex presidente della Bce, Mario Draghi, le minacce commerciali statunitensi sono un “punto di rottura” tra gli alleati: la distanza tra Ue e States si potrà (e si dovrà) ridurre, ma non la situazione non potrà tornare come prima. Solo che per Draghi, questa situazione non dovrebbe portare l’Ue a deviare la propria rotta green, anzi, dovrebbe rinforzare questa linea. Francia, Germania e la maggioranza dei rappresentanti istituzionali europei non sono d’accordo.

La pressione politica interna

L’avanzata delle forze di destra nel Parlamento europeo ha cambiato gli equilibri politici. Mentre nel 2019 le elezioni europee avevano espresso un parlamento relativamente progressista con i Verdi in una posizione di rilievo, nel 2024 si è registrata un’inversione di tendenza. Il deputato europeo di estrema destra olandese Bert-Jan Ruissen e i suoi colleghi hanno avviato azioni volte a rallentare l’attuazione del Green Deal, sostenendo che rappresenterebbe una minaccia per la giustizia sociale e la stabilità economica.

Non solo l’estrema destra si oppone: anche il Partito popolare europeo (Ppe) ha sollevato dubbi sulle politiche ambientali ritenute dannose per gli agricoltori, l’approvvigionamento alimentare e la stabilità economica. A gennaio, dopo una riunione dei leader del Ppe, il partito ha chiesto alla “sua” Ursula von der Leyen di bloccare per due anni le direttive Ue sulla rendicontazione della sostenibilità aziendale e sulla due diligence per due anni. Il primo ministro polacco Donald Tusk, durante il suo discorso al Parlamento europeo per presentare le priorità della Polonia, ha inveito contro il Green Deal, sostenendo che alcuni regolamenti ambientali introdotti dall’Ue negli ultimi cinque anni sono responsabili dei prezzi energetici “proibitivi” che danneggiano la competitività del blocco rispetto a Stati Uniti e Cina.

Green Deal e costo dell’energia

La competitività dell’economia europea è diventata di nuovo la preoccupazione principale a scapito del Green Deal, che richiede ingenti investimenti e, nel breve periodo, importanti sacrifici. I leader europei temono che le politiche ambientali possano provocare rivolte sociali simili a quella dei “gilet gialli” in Francia o dei movimenti degli agricoltori nei Paesi Bassi e che il gap con le superpotenze diventi incolmabile. Tusk ha avvertito che i prezzi elevati dell’energia potrebbero provocare un malcontento popolare tale da “spazzare via” i governi democraticamente eletti e ha implorato i legislatori di abbandonare “dottrine e ideologie dure” a favore del “buon senso”. 

Questo legame tra Green Deal e alti prezzi dell’energia è stato contestato dalla Commissione europea, dall’Agenzia internazionale per l’energia e dalle Ong ambientaliste, che individuano la causa principale nella dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili e nella lenta adozione di sistemi rinnovabili.

Le minacce di Trump

Le tensioni commerciali con gli Stati Uniti sotto l’amministrazione Trump rappresentano un’ulteriore sfida per il Green Deal.

Il tycoon, che nel frattempo ha annunciato il ritiro degli Usa dagli Accordi di Parigi, ha respinto la proposta di Bruxelles di eliminare reciprocamente i dazi su auto e beni industriali, chiarendo che l’unico modo per ottenere una tregua tariffaria sarà l’acquisto di 350 miliardi di dollari in energia statunitense, soprattutto gas naturale liquefatto. Questa imposizione non mira solo a ridurre lo sbilancio commerciale, ma vuole impedire all’Europa di costruire la propria indipendenza energetica e competitività attraverso il Green Deal, che, con le sue regole, rappresenta una minaccia alle deregolamentate aziende americane che più esportano in Europa.

La Commissione von der Leyen cambia approccio

Di fronte a queste pressioni, la Commissione europea ha mostrato segni di cedimento. La Commissione di von der Leyen bis ha sostituito il termine “Green Deal” con “Clean, Just and Competitive Transition”, suggerendo una maggiore attenzione ai bisogni dell’industria. Anche il ‘congelamento’ delle multe per il settore auto va in questa direzione. Il Clean Industrial Deal presentato a febbraio contiene una serie di semplificazioni alle regole di sostenibilità precedentemente introdotte, come la stessa Corporate Sustainability Due Diligence, con obblighi di verifica circoscritti ai fornitori diretti.

Per approfondire, Clean Industrial Deal: esperti green commentano il piano Ue

La presidente von der Leyen aveva comunicato già a novembre che in questa legislatura ci si sarebbe attivati per una revisione del quadro normativo varato nella scorsa sostenendo che gli obiettivi originari del Green Deal saranno mantenuti, data la gravità della crisi climatica: “Dobbiamo abbassare i prezzi mentre completiamo l’abbandono dei combustibili fossili russi. Entrambi gli obiettivi sono importanti e dovrebbero andare di pari passo”. Parole importanti che rischiano di restare tali.

Le battute d’arresto del Green Deal in ordine cronologico

Ecco le principali battute d’arresto subite dal Green Deal europeo in ordine cronologico:

  • Ottobre 2023: diversi capi di Stato e di governo dell’Ue chiedono una “pausa normativa” nell’attuazione del Green Deal, temendo conseguenze economiche e sociali;
  • Febbraio 2024: la Commissione europea ritira la proposta di legge sui pesticidi chimici (regolamento sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari), rappresentando la prima sconfitta politica perentoria della strategia Farm to Fork;
  • Ottobre 2024: Bruxelles annuncia il rinvio di un anno dell’entrata in vigore del regolamento sulla deforestazione;
  • Gennaio 2025: il governo francese chiede all’Unione europea di ritardare l’entrata in vigore di due direttive sulla sostenibilità aziendale.
    Il primo ministro polacco Donald Tusk chiede al Parlamento europeo di intraprendere una “revisione completa e molto critica” di tutte le leggi sul Green Deal.
    Scoppia lo scandalo sui presunti pagamenti segreti della Commissione europea a gruppi ambientalisti per promuovere i piani verdi dell’ex commissario Frans Timmermans;
  • Aprile 2025: si acuiscono le tensioni commerciali con gli Stati Uniti di Trump, che chiede all’Ue l’acquisto di 350 miliardi di dollari in energia statunitense per ottenere una tregua tariffaria;
  • Maggio 2025: il Parlamento Ue approva le modifiche sul regolamento auto: le aziende hanno tre anni per evitare le multe (ma l’impressione è che a questo congelamento ne seguirà un altro, se non una totale battuta d’arresto).
    L’Ue rimanda di due anni le direttive sulla rendicontazione e sulla due diligence di sostenibilità. Francia e Germania chiedono alla Commissione europea di eliminare la Corporate Sustainability Due Diligence.

Il green rallenta, i cittadini se ne accorgono

Il futuro del Green Deal europeo appare, per usare un eufemismo, incerto. Se da un lato la Commissione von der Leyen continua a dichiarare il proprio impegno verso gli obiettivi climatici, dall’altro le pressioni politiche, economiche e geopolitiche stanno portando a un progressivo indebolimento delle ambizioni originarie.

I cittadini italiani hanno notato il cambio di direzione: secondo un sondaggio Youtrend,  due italiani su cinque (42%) pensano che le
persone attorno a loro siano meno motivate ad agire contro il cambiamento climatico rispetto a pochi anni fa. Una percentuale analoga (43%) pensa che anche le aziende abbiano diminuito i propri sforzi green, mentre un italiano su due (49%) ritiene che siano soprattutto le istituzioni ad aver ridotto gli impegni per le politiche ambientali.

Ma cosa ne pensano le imprese? “Quelle virtuose continuano a investire sul tema della sostenibilità che è anche un vantaggio competitivo di lungo periodo”, spiega a Prometeo360 Virginia Castellucci, head of sustainability di 3Bee che oggi, in occasione della Giornata Mondiale della Biodiversità, lancia gli XNatura Regeneration Awards. “Sanno – continua Castellucci – che, se si occupano di ambiente oggi, avranno più probabilità di resistere domani”. Alla base di questa prospettiva c’è una consapevolezza importante: “Hanno capito che non solo le loro imprese ad avere un impatto nei confronti dell’ambiente ma è anche l’ambiente ad aver un impatto diretto sul loro business. In altre parole, hanno capito che il loro stesso profitto dipende dalla salvaguardia dell’ambiente”.

L’aspetto più interessante è che, come emerge ancora dalle parole di Castellucci, le banche non seguono la politica in questo dietrofront: “se le istituzioni stanno arretrando sulle politiche green, le banche stanno tenendo il punto”, aggiunge.

Intanto, Francia e Germania chiedono all’Ue di fare un altro passo indietro fino ad arrivare a cancellare del tutto il Green Deal.