Governo Babiš 2.0? La Repubblica ceca va alle urne tra tycoon euroscettici, partiti pro-Ue e l’incognita Ucraina

I sondaggi prevedono la vittoria dell'ex premier, sconfitto nel 2021 da una coalizione pro-europea. Gli scenari di Jan Kovář, direttore di ricerca dell'Istituto di Relazioni internazionali di Praga
21 ore fa
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Sabato e domenica la Repubblica ceca va alle urne, e i sondaggi prevedono la vittoria di Andrej Babiš, tycoon euroscettico e primo ministro ceco fino alla sconfitta nel 2021 per mano di una coalizione pro-europea. Ma la strada per la creazione di un governo guidato dal suo partito, l’Alleanza dei cittadini insoddisfatti (Ano), non è immediata, e lo stesso vale per la coalizione di forze pro-Ue che attualmente governa il Paese. Così Eurofocus ha raggiunto Jan Kovář, direttore di ricerca dell’Istituto di Relazioni Internazionali di Praga (Iir).

Le forze in campo

I partiti che si scontrano alle urne nel voto di questo fine settimana sono perlopiù già noti ai cittadini cechi. Da una parte ci sono i membri della coalizione al potere, guidata dal Partito Civico Democratico (Ods) insieme al Partito Popolare Cristiano Democratico (Kdu-Čsl), e Tradizione, Responsabilità, Prosperità (Top09). Tutte e tre si collocano tra il centro e la destra conservatrice, e sono filoeuropee. A loro si aggiungono due forze centriste e liberali, il partito dei Sindaci e Indipendenti (Stan) e quello dei Pirati, che è uscito dal governo l’estate scorsa.

Nell’altro campo svetta l’Ano, partito costruito attorno alla figura di Babiš, una delle figure più influenti e controverse nel panorama politico ceco, attualmente a processo per abuso di fondi Ue. Kovář lo definisce un partito “pragmatico-populista, con elementi tecnocratici: una posizione difficile da definire perché segue molto gli umori dell’elettorato e si è spostato nel tempo da posizioni centriste e liberali a una piattaforma spiccatamente conservatrice e populista”. Nel Parlamento europeo Ano è passato dai liberali macroniani di Renew al gruppo dei Patrioti, dove c’è la Lega di Matteo Salvini e il partito Fidesz di Viktor Orban.

Tra gli altri sfidanti c’è il Partito della democrazia diretta (Spd), gruppo di estrema destra in ascesa guidato dal politico ceco-giapponese Tomio Okamura, che spinge per l’uscita dall’Ue e dalla Nato e attrae sempre più elettori (paradossalmente, anche dal Partito socialdemocratico, Čssd, storica forza di centrosinistra in forte declino). Segue Basta! (Stačilo!), “sostanzialmente una riedizione del partito comunista che ha inglobato altri estremismi e si presenta come lista singola per non dover superare la soglia di sbarramento più alta prevista per le coalizioni” (5% per partiti singoli, 8% per coalizione a due partiti, 11% per coalizione a tre). Essenzialmente il partito mescola elementi di ideologia economica di sinistra e della destra conservatrice radicale, nativista, specie sotto il profilo dell’immigrazione, riassume l’esperto Iir.

Infine, c’è la novità: il partito dei Motoristi (Auto), una forza nata nel 2022 ed entrata in Parlamento europeo nel 2024, in coalizione con Přísaha (Giuramento) con oltre il 10% dei consensi elettorali e due seggi su 21 attribuiti alla Repubblica ceca. Auto ha cavalcato l’onda delle proteste contro il Green Deal ed è priva di una forte identità all’infuori del suo euroscetticismo e l’opposizione alle politiche green; a Strasburgo fa riferimento al gruppo dei Patrioti, mentre alle elezioni di questo fine settimana si presenta da sola.

La proiezione

È chiaro che il partito di Babiš vincerà. La domanda più importante è con quale margine, e con chi riuscirà a coalizzarsi”, spiega Kovář, ricordando che i sondaggi danno quella forza politica ben sopra al 30%, comunque insufficiente a portare avanti un governo stabile. “Lui probabilmente vorrebbe un governo a due partiti”, e l’alleato più naturale sarebbe proprio Auto, che stando all’esperto riuscirà a sfondare la soglia di sbarramento del 5%, anche se non di molto. Molto più difficile la prospettiva di un’alleanza con l’Spd di Okamura, che viaggia sopra il 12% nei sondaggi ma sarebbe un partner potenzialmente scomodo per Babiš, perché vuole indire referendum per l’uscita dall’Ue e dalla Nato e potrebbe ricattare l’Ano minacciando di togliere il sostegno al programma se ciò non avvenisse.  Ed è ancora più difficile immaginarsi una coalizione tra Ano, Auto e le forze postcomuniste di Stačilo!.

Tuttavia, avverte Kovář, non c’è una maggioranza chiara nemmeno nel campo delle forze filo-Ue e pro-Occidente, che anche complessivamente stenterebbero a raggiungere il 50%. Quindi, in caso di stallo, l’esperto ipotizza un colpo di scena. È possibile un cambio di direzione dell’Ods, il partito che oggi guida la maggioranza al Parlamento ceco, appartiene alla famiglia dei conservatori europei (Ecr) ed esprime il premier Peter Fiala, che ha costruito la coalizione di governo attuale (Spolu). Il gruppo si divide tra i sostenitori del primo ministro e coloro che avversano sia lui che la coalizione. E questi ultimi, spiega l’esperto, approfitterebbero della sconfitta di Fiala per prendere il controllo del partito e possibilmente negoziare una coalizione di governo con Ano. “Gli esponenti della fazione anti-Fiala hanno detto esplicitamente che sono disposti a governare con Babiš”, racconta, aggiungendo che questa potenziale alleanza potrebbe anche avere l’effetto opposto e galvanizzare i membri della coalizione Spolu.

Il rischio disinformazione

Se la Russia sta interferendo sul processo elettorale, come accaduto in Romania e Moldova, il direttore di ricerca dell’Iir non ne percepisce gli effetti né nei sondaggi, né nel discorso pubblico. “A volte sono un po’ scettico sui risultati della disinformazione: tendiamo a sovrastimarli e spesso funziona come scusa per non affrontare le disuguaglianze socioeconomiche. Detto questo, sui social c’è chiaramente un’armata di bot che cercano di spingere il dibattito verso posizioni estremiste, molto spesso su temi conservatori. Sanno cosa la gente vuole sentirsi dire: messaggi contro l’Ue, il Green Deal, il liberalismo, eccetera”. Possibile che le narrative di Mosca attecchiscano più nelle aree rurali dimenticate, nei casi in cui lo svantaggio economico interseca una dieta mediatica basata quasi esclusivamente sui social network, aggiunge Kovář. “In questi casi l’effetto potrebbe essere più ampio. Ma da qui a dire che queste saranno ‘elezioni rubate’ c’è un passo enorme”.

L’Orbanizzazione della Repubblica ceca?

Nello scenario in cui si concretizzasse una vittoria di Babiš e nascesse un governo a trazione Ano, Kovář si aspetta un cambio netto, anche se non drastico, della posizione e dell’atteggiamento della Repubblica ceca rispetto al sostegno all’Ucraina. “Babiš, così come il numero due di Ano Karel Havlíček, hanno chiarito che intendono fermare l’iniziativa sulle munizioni che attualmente stiamo guidando”, spiega, riferendosi al programma-pilota con cui Praga ha rivoluzionato la consegna di proiettili a Kiev.

Questo non significa che Babiš sia apertamente filorusso. La maggior parte del suo elettorato, come i cittadini della Repubblica ceca, che quando faceva parte della Cecoslovacchia era anche uno Stato satellite russo, non vede Mosca di buon occhio. Infatti il magnate parla di interrompere il flusso di munizioni verso Kiev come di una necessità per combattere la corruzione interna e l’arricchimento delle élite. Non si tratta nemmeno di esposizione alle importazioni energetiche russe, com’è il caso di Slovacchia e Ungheria, perché la Repubblica ceca nel 2025 ha smesso completamente di importare gas e petrolio dalla Russia, da cui dipendeva in maniera non dissimile dagli altri due Paesi prima dell’invasione dell’Ucraina nel 2022.

Per Kovář, c’è una differenza più profonda tra Andrej Babiš e Robert Fico o Viktor Orbán, le cui posizioni euroscettiche e contro l’Ucraina, ancora più che dagli idrocarburi a buon mercato, sono “guidate dall’ideologia. È una lotta profondamente conservatrice e culturale contro l’Ue e tutto ciò che viene dall’esterno. Ma Babiš non ha mai avuto questo approccio in passato, è sempre stato pragmatico”, spiega. Ed è dunque difficile che il governo di Praga con Babiš al timone si ponga come Budapest nei confronti dell’adesione di Kyiv o delle sanzioni su Mosca. “Posizioni del genere sono possibili nell’ottica di ottenere concessioni da Bruxelles in altri ambiti, ma non credo che lo possa fare nella misura in cui lo fa l’Ungheria, almeno stando ai precedenti di Babiš al governo”.

Probabile dunque un ammorbidimento delle posizioni attuali sull’Ucraina anziché un’inversione completa. “Invieremmo meno aiuti a Kyiv? Molto probabile. Ci avvicineremmo alle posizioni di Slovacchia e Ungheria piuttosto che a quelle della Polonia, che ci ha superato nel sostegno? Direi di sì, probabile che succeda”. E la spinta del presidente del Consiglio Ue Antonio Costa per aprire i negoziati di adesione ucraini utilizzando il meccanismo della maggioranza qualificata anziché quello dell’unanimità non incontrerebbe il favore dei cechi, avverte, perché sarebbe percepita come un indebolimento di un sistema di difesa dell’interesse nazionale.

E Petr Pavel?

Il presidente ceco, generale, ex capo di Stato maggiore dell’esercito ceco ed ex presidente del Comitato militare Nato (primo ufficiale proveniente da un paese ex membro del Patto di Varsavia a ricoprire tale posizione), per molti europei personifica il sostengo ceco all’Ucraina. Pavel avrà un ruolo costituzionale nella formazione del governo che va oltre il puramente cerimoniale, ma resta entro limiti ben definiti, spiega Kovář. Il presidente ha chiarito pubblicamente di non essere a suo agio con l’idea di nominare premier una persona sotto processo, come nel caso di Babiš, e ha commissionato un’analisi interna per verificare se la Costituzione gli consenta di rifiutare tale nomina. Al contempo ha sempre dichiarato di voler operare entro i confini costituzionali e rispettare la volontà popolare espressa nelle urne, quindi è improbabile che si opponga formalmente se Babiš otterrà una maggioranza. È possibile che il suo vice Havlíček assuma formalmente la carica di premier mentre Babiš manterrebbe il controllo politico reale del governo, in un modello simile a quello usato in Polonia da Jarosław Kaczyński del PiS.