“I dazi americani sono il pizzo che Donald Trump impone a chi non è americano”. Così Alan Friedman ha commentato la nuova era americana intervenendo a Palazzo Cozzolongo di Turi, in provincia di Bari, dove ha presentato il suo nuovo libro “La fine dell’impero americano. Guida al Nuovo Disordine Mondiale”. L’evento, organizzato dall’associazione ‘Cultura e Armonia’, ha offerto una lucida analisi dell’evoluzione della politica estera americana e delle sfide che l’Europa dovrà affrontare nell’era Trump.
Il giornalista e scrittore statunitense ha tracciato un quadro inquietante del nuovo ordine mondiale, dove l’America di Trump non rappresenta più un baluardo della democrazia liberale, ma una minaccia concreta per i diritti civili e per gli equilibri geopolitici globali. A partire dalle mire espansionistiche di Vladimir Putin.
Putin non si fermerà all’Ucraina
La minaccia russa rappresenta uno dei nodi centrali dell’analisi di Friedman. “Vladimir Putin è un revanscista che vuol ricreare l’Unione Sovietica. L’Ucraina è il morso più grande che ha dato finora, ma la sua ambizione è arrivare in Transnistria, Moldava, Georgia di nuovo, provocare i Paesi Baltici“, ha detto il giornalista americano ai microfoni di Eurofocus.
Il Cremlino, spiega Friedman, ha un progetto più ampio di ricostruzione dell’influenza sovietica in Europa orientale. Una strategia che trova terreno fertile nell’incertezza creata dalla politica trumpiana, che ha già annunciato la riduzione della presenza militare americana in Europa del 20%, pari a circa 20mila unità mentre ha ricucito i rapporti con il Cremlino e con Putin, che Trump non ha avuto problemi a definire suo “amico“. Il Pentagono starebbe valutando il ritiro di fino a 10mila soldati da Polonia e Romania, proprio i Paesi che rappresentano il fianco orientale della Nato più esposto alla minaccia russa.
L’Europa non ha alternative al riarmo
Di fronte a questo scenario, Friedman non usa mezzi termini: l’Europa deve prepararsi a difendersi autonomamente. “La parola ‘riarmo’ è brutta. Nessuno vuole riarmare. Ma davanti alla realtà di un Trump che molla l’Ucraina e che molla l’Europa chi c’è, c’è, chi non c’è, non c’è”, spiega il giornalista facendo un implicito riferimento alla decisione del premier spagnolo Pedro Sánchez, che ha scritto una lettera al segretario generale della Nato Mark Rutte rifiutandosi di portare la spesa militare al 5% del Pil nazionale.
“Se ci sono quattro, cinque, sei, sette Paesi su Ventisette che sono disposti a difendere la democrazia in Europa, ben venga”, aggiunge Friedman.
La richiesta di Trump di destinare il 5% del Pil alla difesa, una cifra che ha trovato “ampio sostegno” secondo Rutte, rappresenta una svolta epocale per l’Europa, ma Alan Friedman non ha dubbi: Paesi come l’Italia non raggiungeranno mai quella soglia: “si tratta di un modo per accontentare Trump” aspettando il momento in cui il tycoon lascerà la Casa Bianca, ha spiegato durante l’evento turese. Secondo lo scrittore, la spesa militare europea continuerà ad aumentare, ma non arriverà mai a quella soglia considerando la media dei Ventisette. Un sondaggio dell’European Council on Foreign Relations mostra che un europeo su due è favorevole ad aumentare la spesa per la difesa, mentre solo il 24% non condivide questa decisione.
L’Europa spende tre volte la spesa della Russia in difesa, ma non basta
Friedman ha poi sottolineato un paradosso apparente: “I Ventisette nel complesso spendono tre volte la Russia in spesa militare ma serve interoperabilità“. Il problema non è dunque quantitativo ma qualitativo. L’interoperabilità significa che ogni sistema d’arma deve essere omogeneo per tutti i Paesi europei, garantendo compatibilità tecnica e operativa tra le diverse forze armate nazionali.
Questa frammentazione rappresenta uno dei principali limiti dell’apparato difensivo europeo. Mentre la Russia concentra le sue risorse in un sistema militare integrato e centralizzato, l’Europa disperde le proprie capacità in Ventisette sistemi nazionali spesso incompatibili tra loro. La mancanza di standardizzazione negli equipaggiamenti, nelle procedure operative e nei sistemi di comunicazione riduce drasticamente l’efficacia complessiva della difesa europea, nonostante la superiorità numerica in termini di budget.
La guerra commerciale di Trump: Ue e Usa troveranno un accordo?
Mentre i Paesi europei firmano per aumentare la propria spesa difensiva in rapporto al Pil, l’economia europea viene indebolita dai dazi di Trump. Una combo che ha trovato impreparata l’Europa.
La strategia commerciale di Trump va ben oltre la semplice imposizione di dazi. Come emerge dal Rapporto sulle Stime Nazionali del Commercio pubblicato dall’Ufficio del Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti, l’obiettivo è “smantellare e ristrutturare il sistema economico e del commercio globale” secondo la visione dell’amministrazione americana. In particolare, “il presidente Usa vuole minare il sistema di regole dell’Unione Europea“, responsabile dell'”Effetto Bruxelles” che ha un impatto diretto sul commercio globale.
“Con Trump è una roulette russa, non sai mai cosa può succedere. Ciò che lui vuole ottenere al termine di questo psicodramma è chiaro: un dazio minimo su tutti i prodotti importati in America, un’aliquota che tutti devono pagare. Per l’Europa – ha spiegato Friedman – la questione sarà capire se i dazi risulteranno orribili o solo negativi“.
L’incertezza rappresenta forse l’arma più devastante nella strategia commerciale trumpiana. “La crescita economica sarà rallentata non soltanto dai dazi, ma dall’incertezza, perché se c’è incertezza e instabilità nei mercati finanziari, le imprese non possono decidere come fare investimenti e portare avanti le cose, è un effetto domino“.
La guerra commerciale “minaccia l’Europa con disoccupazione e un rallentamento della crescita del Pil”, come ha precisato il giornalista americano. Si tratta di una strategia che mira a indebolire economicamente l’Europa per renderla più malleabile politicamente.
“L’Italia deve scegliere da che parte stare”
Durante l’evento pugliese, Friedman ha lanciato un messaggio chiaro al governo Meloni: “L’Italia deve scegliere da che parte stare, non può fare il funambolo tra la linea trumpista e la linea europeista“.
Giova ricorda che il nostro Paese rappresenta un’eccezione significativa nel panorama europeo riguardo alla spesa militare. Secondo un sondaggio dell’Ecfr, l’Italia è l’unico grande Paese europeo dove la maggioranza degli intervistati (57%) è contraria all’aumento della spesa per la difesa, mentre solo il 17% è favorevole al riarmo. Questo dato contrasta nettamente con la tendenza europea, dove Paesi come Polonia e Danimarca registrano il 70% di consenso per l’incremento delle spese militari.
La posizione italiana riflette una cultura politica ancora legata al pacifismo del dopoguerra, che rischia di risultare anacronistica di fronte alle nuove sfide geopolitiche. Tornano alla mente le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, nel suo discorso di Marsiglia, ha ricordato. “l’Unione Europea deve decidere se essere un vassallo o una potenza mondiale, se unirsi o frammentarsi“.