Il primo ministro François Bayrou ha scosso la politica francese annunciando, a sorpresa, un voto di fiducia all’Assemblea nazionale l’8 settembre. Una mossa ad alto rischio, pensata per legittimare il piano di riduzione del deficit da 44 miliardi di euro, ma che potrebbe tradursi nell’ennesima caduta di governo in meno di un anno. “Sì, è rischioso, ma è ancora più rischioso non fare nulla”, ha detto Bayrou in conferenza stampa, sottolineando la necessità di agire per contenere il debito.
I numeri in Assemblea restano però sfavorevoli: la maggioranza presidenziale può contare su 210 deputati, contro i 353 complessivi delle opposizioni. Per restare in piedi, il governo avrebbe bisogno del sostegno o dell’astensione di un blocco esterno, ma socialisti e Rassemblement national hanno già annunciato voto contrario.
La crisi arriva in un momento in cui Emmanuel Macron, già indebolito dopo lo scioglimento anticipato del luglio 2024, vede nuovamente restringersi il margine d’azione. La decisione di convocare il Parlamento in sessione straordinaria riporta al centro il tema della governabilità in un’Assemblea uscita dalle urne divisa in tre blocchi e priva di maggioranza assoluta.
Un voto che può far cadere il governo (e forse l’Assemblea)
L’8 settembre sarà un passaggio decisivo non solo per Bayrou ma per l’intero assetto politico francese. Emmanuel Macron, durante il Consiglio dei ministri, ha definito il passaggio “un voto razionale e di responsabilità”, spiegando che non riguarda ancora la legge di bilancio ma “i risultati e i principi”.
All’opposizione, le dichiarazioni sono nette. Éric Ciotti, leader dei Républicains e alleato del Rassemblement national, ha scritto su X che è “inimmaginabile accordare la fiducia a un governo e a una maggioranza macronista che hanno condotto la Francia sulla strada del fallimento”. Olivier Faure, segretario del Partito socialista, ha confermato che i suoi deputati non voteranno a favore. Jordan Bardella ha parlato di una “fine già annunciata del governo” e ribadito il voto contrario del RN.
In assenza di un’intesa trasversale, l’ipotesi di caduta del governo è concreta. A quel punto le opzioni sarebbero limitate: nomina di un nuovo primo ministro, un esecutivo provvisorio guidato dallo stesso Bayrou, oppure un nuovo scioglimento dell’Assemblea nazionale. Quest’ultima strada, ha detto il ministro della Giustizia Gérald Darmanin, “costerebbe caro alla Francia, ma non bisogna escluderla”.
L’instabilità politica ha già avuto effetti sui mercati: lo spread tra titoli francesi e tedeschi è salito di 5 punti base, mentre il Cac 40 ha perso l’1,6% in una sola seduta.
Tagli, austerità e rabbia sociale: la miccia delle proteste
Il piano di Bayrou prevede un pacchetto di misure per ridurre il deficit dal 5,8% del Pil, quasi il doppio del limite europeo del 3%. Tra queste: soppressione di due festività, congelamento della spesa sociale e blocco degli scaglioni fiscali al livello del 2025, senza adeguamento all’inflazione. Bayrou ha aggiunto che la proposta sui giorni festivi potrebbe essere modificata, ma non ha presentato alternative precise.
Jean-Luc Mélenchon, leader di France Insoumise, ha scritto su X che “Emmanuel Macron deve andarsene. È responsabile della crisi”. Anche da altri fronti dell’opposizione è arrivata la richiesta di una svolta politica.
Il malcontento non si limita al Parlamento. Per il 10 settembre, due giorni dopo il voto, sono state annunciate proteste sui social media, rilanciate da partiti di sinistra e sindacati. Il movimento “Bloquons tout” richiama l’esperienza dei gilet gialli, nati nel 2018. L’obiettivo è contestare un piano di austerità percepito come ingiusto, che colpisce pensionati e ceti medi mentre introduce sacrifici minimi per i redditi più alti.
La pressione sociale potrebbe dunque accentuarsi a prescindere dall’esito del voto. Anche in caso di fiducia, il governo si troverebbe a dover affrontare un autunno segnato da mobilitazioni e scioperi.
Un futuro incerto per la Francia
La crisi attuale si inserisce in una sequenza che ha già visto due governi cadere in meno di un anno. Dopo le legislative anticipate del luglio 2024, convocate da Macron con l’obiettivo dichiarato di “dare chiarezza”, l’Assemblea è risultata divisa in tre blocchi inconciliabili. Michel Barnier, nominato allora primo ministro, è stato sfiduciato a dicembre. Bayrou, chiamato a Matignon a inizio 2025, si trova ora davanti allo stesso rischio.
Se Bayrou sarà sfiduciato, Macron dovrà decidere tra la nomina di un nuovo premier, la prosecuzione con un governo provvisorio o lo scioglimento dell’Assemblea. Nessuna opzione appare priva di rischi. Un nuovo premier sarebbe esposto agli stessi rapporti di forza, un esecutivo tecnico paralizzerebbe le decisioni, mentre nuove elezioni potrebbero rafforzare il Rassemblement national.
Bayrou insiste sulla necessità di “ridurre i deficit e produrre di più”, ma i sondaggi lo indicano come il premier meno popolare della Quinta Repubblica, con livelli di sfiducia vicini all’80%. La percezione diffusa è che il costo delle misure cada in misura sproporzionata sulle fasce più deboli, alimentando un risentimento che rischia di esplodere nelle piazze.
Per Macron, l’orizzonte interno appare sempre più ristretto. Gli ultimi 18 mesi del mandato potrebbero scorrere tra paralisi parlamentare e conflitti sociali, mentre l’Eliseo concentra energie sul fronte internazionale, dall’Ucraina al Medio Oriente.