Fascismo, l’allarme dei Premi Nobel: “Sta tornando”. Ma è davvero così?

L’eco della storia risuona inquietante nelle piazze europee. C'è chi parla di populismo, qualunquismo o nuovi autoritarismi: ma si può parlare davvero di fascismo?
17 ore fa
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Fascismo Canva

L’eco della storia risuona inquietante nelle piazze europee. Revisionismi storici cercano di annacquare i crimini del passato. Manifestazioni contro l’erosione dei diritti democratici si spargono per tutti i Paesi. Ma, nonostante ciò, c’è chi sceglie – con più o meno libertà e consapevolezza – chi di quei revisionismi storici ne fa propaganda e strumento di vittoria alle elezioni.

Come spesso accade alle rivoluzioni, sono gli intellettuali a lanciare il segnale d’allarme. Il problema? Il fascismo non è solo un capitolo chiuso nei manuali di Storia, ma una minaccia che si ripresenta sotto nuove forme, più insidiose e difficili da riconoscere. O almeno è quello che sostengono gli oltre 30 premi Nobel (tra gli altri, Craig Mello, Mario R. Capecchi, May-Britt Moser, Giorgio Parisi, Alvin Roth), i più di 400 intellettuali e i circa 3 mila cittadini che, a distanza di un secolo esatto da quando Benedetto Croce promosse il Manifesto degli intellettuali contro il fascismo, tornano con una Lettera aperta.

È un nuovo manifesto: denuncia le crescenti tendenze autoritarie che si insinuano nelle democrazie moderne. L’appello, presentato in numerose università e centri culturali, non è solo una riflessione storica, ma un grido d’allarme per il presente. Ma siamo così sicuri che si possa parlare realmente di ritorno del fascismo?

Sta tornando il fascismo?

“Vediamo emergere un linguaggio politico che divide e semplifica, che marginalizza il dissenso e scredita il pensiero critico”, ha dichiarato il professor Marco Bernardi, storico e docente specializzato in storia culturale e sociale dell’Italia contemporanea, con particolare attenzione alla memoria del fascismo e dell’antifascismo, durante il convegno “A come Antifascismo” tenutosi a Villa Schneider, Biella, negli scorsi giorni. “La storia ci insegna che la libertà non viene sottratta tutta in un giorno, ma poco alla volta, con piccoli cedimenti che diventano la normalità”.

Se non abbiamo già una dittatura nei singoli Paesi europei, allora è solo questione di tempo? Non esattamente. Perché mentre certe forze politiche continuano a usare forzatamente una retorica “nostalgica” per avvicinare gli elettori al proprio orto, ci sono molti cittadini che in contesti realmente democratici hanno liberamente scelto di votare a destra e lo hanno fatto in un dato contesto storico ben preciso. Lo abbiamo visto lo scorso anno, quando alle elezioni europee e a quelle in diversi Paesi membri – fino alle ultime tenutesi in Polonia negli scorsi giorni – il panorama politico ha scelto di votare partiti di destra e estrema destra. Tanto diverso non è accaduto agli Stati Uniti, con Donald Trump vincitore per un mandato bis.

Se negli ultimi anni, le elezioni in vari Paesi hanno mostrato una significativa crescita del consenso verso partiti di destra e estrema destra, sarebbe superficiale attribuire tale fenomeno a un ritorno a politiche autoritarie, ma è fondamentale considerare la complessità delle motivazioni degli elettori. Fattori come l’immigrazione clandestina, l’aumento del costo della vita, il bisogno di sicurezza e il contesto geopolitico hanno giocato un ruolo determinante nelle scelte politiche. Mentre alcuni movimenti attingono a retoriche che sembrano richiamare il fascismo tradizionale per consolidare il proprio elettorato, molti cittadini votano consapevolmente per alternative che hanno ritenuto più adeguate alle loro necessità e preoccupazioni moderne.

A chiarire una prima differenza tra fascismo classico e neofascismo è stato già nel 2019 alla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, lo storico e docente di scienze politiche Enzo Traverso, secondo il quale “quello classico era eterogeneo e si caratterizzava per la volontà tenace di proiettarsi nel futuro”. Traverso parlava di quello di Mussolini, del nazismo di Hitler, del franchismo spagnolo.

Parlando di quello italiano, ad esempio, Traverso spiega che uno dei tratti dominanti del fascismo era quello dell’Uomo nuovo: “Non c’è nulla di simile oggi: sono movimenti reazionari nel senso letterale del termine. La storiografia del nazionalismo tedesco aveva fondato un concetto coerente a definire i nuovi movimenti. Lo chiamano “pessimismo culturale”. Queste nuove destre non fanno sognare, non dipingono i tratti del futuro, cercano piuttosto un ritorno al passato. I loro temi privilegiati nella loro propaganda sono la difesa dell’identità nazionale minacciata dalla globalizzazione, il timore di un’invasione di un elemento corruttore della stirpe, la difesa delle sovranità perdute e delle frontiere. Si tratta di movimenti del tutto inscritti in questo orizzonte privo di utopie che è tipico della nostra epoca e che alcuni storici hanno definito ‘presentista‘. Una rappresentazione del tempo incapace di proiettarsi nel futuro: questo è il limite dell’immaginario politico sia di destra che si sinistra”.

Per sintetizzare, potremmo usare due termini che meglio identificano il “fascismo moderno”: populismo e qualunquismo. Storici e politologi hanno spesso sottolineato la necessità di distinguere il fascismo storico dai fenomeni politici contemporanei. Secondo Antonio Scurati, autore e giornalista esperto di fascismo, il populismo moderno nasce dalle ceneri del fascismo, ma si manifesta in forme diverse, adattandosi alle dinamiche della società attuale. Federico Finchelstein, professore di Storia alla New School for Social Research di New York, spiega che il fascismo è stato una dittatura politica nata per annientare la democrazia, mentre il populismo è una forma autoritaria di democrazia che prospera in momenti di crisi politica e sociale.

Secondo lo storico Steven Levitsky, coautore di ‘How Democracies Die’, i segnali di erosione democratica non vanno sottovalutati, ma nemmeno equiparati automaticamente a un ritorno delle dittature del passato. Altri esperti, come Yascha Mounk, sostengono che la crisi della democrazia liberale sia dovuta a fattori economici e culturali più che a una diretta ripresa di ideologie fasciste.

Un altro aspetto da considerare, infatti, è che il contesto storico è cambiato: il fascismo degli anni ’20 e ’30 aveva caratteristiche specifiche legate a quel periodo, mentre i movimenti populisti e qualunquisti di oggi operano in democrazie consolidate, utilizzando strategie diverse per ottenere consenso. Per questo motivo, molti storici preferiscono analizzare i fenomeni politici contemporanei con categorie più precise, evitando di applicare etichette del passato che potrebbero (per fortuna) non essere del tutto adeguate.

Lettera aperta contro il fascismo

Se da un lato l’analisi su come considerare gli autoritarismi moderni potrebbe aprire a dibattiti e ragionamenti di varia natura (sociologa, economica, culturale), dall’altro lato c’è chi sostiene che il fascismo sia già tornato e in merito non ha dubbi: “Il fascismo emerse in Italia un secolo fa. Nel giro di pochi anni, si diffuse in Europa e nel mondo, assumendo nomi diversi ma mantenendo forme simili – scrivono gli intellettuali nel manifesto -. […] Negli ultimi due decenni abbiamo assistito a una rinnovata ondata di movimenti di estrema destra, spesso con tratti inequivocabilmente fascisti: attacchi alle norme e alle istituzioni democratiche, un nazionalismo rinvigorito intriso di retorica razzista, impulsi autoritari e sistematici attacchi ai diritti di coloro che non si adattano a un’autorità tradizionale costruita, radicata nella normatività religiosa, sessuale e di genere”.

Questi movimenti – continua la Lettera – sono riemersi in tutto il mondo, anche nelle democrazie di lunga data, dove la diffusa insoddisfazione per l’incapacità politica di affrontare le crescenti disuguaglianze e l’esclusione sociale è stata ancora una volta sfruttata da nuove figure autoritarie. Fedeli al vecchio copione fascista, sotto le mentite spoglie di un mandato popolare illimitato, queste figure minano lo stato di diritto nazionale e internazionale, prendendo di mira l’indipendenza della magistratura, della stampa, delle istituzioni culturali, dell’istruzione superiore e della scienza; tentando persino di distruggere dati e informazioni scientifiche essenziali. Inventano “fatti alternativi” e “nemici interni”; sfruttano le preoccupazioni relative alla sicurezza come armi per consolidare la propria autorità e quella dell’1% degli ultraricchi, offrendo privilegi in cambio di lealtà”.

Questo dibattito, ancora aperto, invita alla riflessione: come le istituzioni europee possono reagire e preservare un equilibrio democratico?