Ue, svolta nei rapporti con Israele: stop a benefici commerciali e sanzioni in vista

La Commissione presenta un pacchetto che riduce le agevolazioni tariffarie e colpisce ministri israeliani, coloni violenti e Hamas. Decisiva ora la partita in Consiglio.
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Israel Palestinian Conflict
Fumo si alza dalla Striscia di Gaza durante un attacco israeliano visto dal confine con Israele, 17 settembre 2025 (Afp)

Dal commercio alle sanzioni mirate, l’Europa cambia registro nei confronti di Israele. Il pacchetto di proposte presentato oggi a Bruxelles segna il primo intervento strutturale dell’Ue dall’inizio della guerra a Gaza, scoppiata dopo i massacri di Hamas del 7 ottobre 2023. Al centro ci sono la sospensione parziale delle preferenze commerciali previste dall’Accordo di associazione Ue-Israele, sanzioni contro ministri israeliani ritenuti estremisti, coloni violenti e dirigenti di Hamas, oltre al congelamento di fondi per la cooperazione istituzionale.

La presidente della Commissione Ursula von der Leyen lo aveva anticipato nel discorso sullo Stato dell’Unione del 10 settembre, e oggi l’Alta rappresentante Kaja Kallas ne ha confermato i contenuti. “Oggi ho presentato un robusto pacchetto di sanzioni contro i terroristi di Hamas, contro alcuni ministri estremisti nel governo israeliano, contro i coloni violenti e le entità che sostengono l’impunità in corso in Cisgiordania. La Commissione ha anche adottato una proposta per sospendere parzialmente le preferenze commerciali previste dall’accordo di associazione Ue-Israele”, ha dichiarato a Bruxelles.

Le proposte non hanno effetto immediato: per diventare operative dovranno ottenere l’approvazione del Consiglio, a maggioranza qualificata nel caso delle misure commerciali e all’unanimità per le sanzioni. Ed è proprio in questa fase che emergono le divisioni tra gli Stati membri, divisi tra pressioni dell’opinione pubblica, legami storici con Israele e cautele geopolitiche.

Israele perde la corsia preferenziale

Il cuore economico del pacchetto è la sospensione parziale delle preferenze commerciali concesse a Israele dall’Accordo di associazione, in vigore dal 2000. In concreto, il provvedimento colpisce circa il 37% delle importazioni israeliane nell’Ue, soprattutto frutta e verdura, che finora godevano di dazi agevolati. Se la misura passerà, quei prodotti continueranno a essere esportati, ma con tariffe più alte.

“Non si tratta della sospensione delle importazioni – ha chiarito un alto funzionario Ue – ma della sospensione del trattamento preferenziale accordato ad alcune merci. Le stesse merci potrebbero continuare a entrare, ma con dazi leggermente più alti”.

Il peso dell’Europa sul commercio estero israeliano resta decisivo: nel 2024 gli scambi bilaterali di beni hanno raggiunto i 42,6 miliardi di euro. Bruxelles assorbe il 32% del totale, con importazioni da Israele per 15,9 miliardi (macchinari, trasporti, chimica) ed esportazioni verso Israele per 26,7 miliardi. A questo si aggiunge il commercio dei servizi, pari a 25,6 miliardi nel 2023. Privare Israele di un accesso preferenziale significa ridurre i margini delle sue imprese proprio nei settori più esposti alla concorrenza internazionale.

La Commissione è consapevole che l’impatto immediato sarà limitato, dato che i dazi Ue restano relativamente bassi. Ma il segnale politico è forte: Bruxelles lega esplicitamente il mantenimento dei rapporti privilegiati al rispetto dei diritti umani e alla cessazione delle politiche di blocco degli aiuti a Gaza e di espansione degli insediamenti in Cisgiordania. Ursula von der Leyen ha dichiarato: “Gli orrori quotidiani a Gaza devono cessare. Serve un cessate il fuoco immediato, accesso senza restrizioni agli aiuti e la liberazione di tutti gli ostaggi”.

Sanzioni mirate

Accanto alle misure commerciali, la Commissione ha presentato un pacchetto di sanzioni mirate. L’obiettivo non è Israele nel suo complesso, ma individui e gruppi considerati responsabili di violenze o decisioni politiche che aggravano la crisi. Due i nomi che spiccano: Itamar Ben Gvir, ministro della Sicurezza nazionale e leader del partito di estrema destra Otzma Yehudit, e Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze e capo del Partito Sionista Religioso. Entrambi sono accusati da Bruxelles di alimentare politiche di espansione degli insediamenti e di tolleranza verso la violenza dei coloni in Cisgiordania.

Il pacchetto prevede, inoltre, nuove misure contro i coloni violenti che attaccano la popolazione palestinese, e contro dieci membri della direzione politica di Hamas. Per questi ultimi, le sanzioni – congelamento dei beni e divieto di ingresso in Europa – rappresentano un rafforzamento del regime già in vigore. Sul piano giuridico, le designazioni avvengono nell’ambito del Global Human Rights Sanctions Regime, lo strumento adottato dall’Ue nel 2020 per colpire autori di gravi violazioni dei diritti umani.

Il nodo è politico: per entrare in vigore, queste misure devono ottenere l’unanimità del Consiglio. E se sulle sanzioni contro Hamas l’accordo sembra probabile, molto più difficile appare raggiungere un’intesa su ministri israeliani e coloni. “Le sanzioni richiedono l’unanimità, la proposta commerciale la maggioranza qualificata – ha spiegato Kallas –. Anche se vediamo che l’opinione pubblica negli Stati membri sta davvero cambiando, perché c’è sofferenza a Gaza e la gente vuole davvero vedere la fine di questa sofferenza, a livello politico penso che avremo delle discussioni. Ma penso che le linee politiche siano ancora molto ferme, là dove sono state finora”.

La base giuridica

La mossa della Commissione si fonda sull’articolo 2 dell’Accordo di associazione Ue-Israele, in vigore dal 2000, che definisce il rispetto dei diritti umani e dei principi democratici come “elemento essenziale” delle relazioni bilaterali. Una revisione condotta dall’esecutivo comunitario ha concluso che le decisioni del governo israeliano – dal blocco degli aiuti umanitari a Gaza all’espansione degli insediamenti nell’area E1 della Cisgiordania – rappresentano una violazione sostanziale di questo impegno.

La Commissione sottolinea che tale violazione conferisce all’Ue il diritto di sospendere unilateralmente alcune disposizioni dell’accordo, senza dover attendere il confronto nell’Associazione Ue-Israele. La scelta di agire riguarda in primo luogo le clausole commerciali, ma apre la strada anche a misure più ampie se la situazione dovesse peggiorare.

In passato, l’articolo 2 era rimasto soprattutto un richiamo politico, raramente applicato. Il fatto che venga ora invocato contro Israele segna un precedente significativo e manda un messaggio a tutti i partner dell’Ue: i benefici dell’integrazione economica non sono separabili dal rispetto dei principi fondamentali sanciti dall’Unione.

Israel Palestinian Conflict
Parenti di ostaggi e manifestanti in protesta davanti alla residenza del premier a Gerusalemme per chiedere il rilascio dei prigionieri a Gaza, 16 settembre 2025 (Afp)

Cooperazione congelata e fondi in pausa

Il pacchetto della Commissione non si limita a commercio e sanzioni. Bruxelles congela anche i fondi bilaterali destinati a Israele: circa 6 milioni di euro l’anno per il periodo 2025-2027, più 14 milioni legati a progetti di cooperazione istituzionale e regionale. Restano esclusi dal blocco i programmi con la società civile israeliana e con Yad Vashem, il memoriale della Shoah, a conferma della volontà di colpire il governo senza interrompere i legami con la popolazione.

Parallelamente, l’Ue rilancia il sostegno alla Palestina. La commissaria Dubravka Šuica ha confermato che saranno messi a disposizione 1,6 miliardi di euro nei prossimi due anni per sostenere le riforme e rafforzare l’Autorità Palestinese. Un segnale politico che mira a bilanciare la pressione su Israele con un impegno concreto verso la prospettiva di una soluzione a due Stati. “Il nostro finanziamento da solo non è sufficiente – ha detto –. Il prossimo gruppo dei donatori per la Palestina sarà una piattaforma per catalizzare l’impegno di partner regionali e internazionali”.

Il congelamento della cooperazione istituzionale tocca anche la dimensione simbolica dei rapporti Ue-Israele. Bruxelles invia un messaggio diretto: non ci sono più relazioni “ordinarie”. Allo stesso tempo, lascia aperto lo spiraglio di riprendere i programmi se le condizioni dovessero cambiare. È una pressione politica che punta a indurre un cambio di rotta senza chiudere definitivamente le porte.

Divisioni tra Stati membri e la difficoltà di un’Europa compatta

Il destino del pacchetto si gioca ora al Consiglio, dove siedono i governi dei 27 Stati membri. Per la sospensione delle preferenze commerciali con Israele, che rientra nella politica commerciale comune, è necessaria la maggioranza qualificata. Assumendo che Austria, Ungheria, Germania, Italia e Repubblica Ceca siano contrarie, allo stato non c’è una maggioranza sufficiente a far passare la proposta, limitata ma simbolicamente rilevante. Se una delle due tra l’Italia e la Germania votasse a favore, la misura otterrebbe il via libera.

Per le sanzioni contro ministri israeliani, coloni violenti e dirigenti di Hamas, invece, serve l’unanimità. In questo caso basta un singolo veto per bloccare tutto. Se sulle misure contro Hamas il consenso appare scontato, molto meno probabile è che i 27 trovino un accordo per colpire membri del governo israeliano o gruppi di coloni. Le resistenze di Paesi storicamente vicini a Tel Aviv restano forti, mentre Spagna, Irlanda e Belgio spingono per una linea più dura.

“Le sanzioni richiedono l’unanimità, la proposta commerciale la maggioranza qualificata. Sapete molto bene com’è la situazione nel Consiglio. Anche se vediamo che l’opinione pubblica negli Stati membri sta davvero cambiando, perché c’è sofferenza a Gaza e la gente vuole davvero vedere la fine di questa sofferenza, a livello politico penso che avremo delle discussioni, dopo che saranno state fatte queste proposte. Ma penso che le linee politiche siano ancora molto ferme, là dove sono state finora”, ha dichiarato Kaja Kallas.