L’Europa è il Vecchio Continente. Quello dove la civiltà si è sviluppata, dai Greci ai Romani, dal Rinascimento all’Illuminismo, dall’arte alla cultura, per non parlare delle Rivoluzioni e del pensiero filosofico e politico. Ed è stata anche l’epicentro delle due guerre mondiali sperimentate finora dall’umanità (forse anche della terza), nonché luogo da cui i conquistadores sono partiti per diffondere ‘il progresso’ in tutto il mondo, facendone colonie, sterminando popolazioni, sfruttando territori.
Insomma nel bene e nel male l’Europa ha fatto e disfatto, da sempre, costituendo il centro del Mondo e plasmando la Storia. Anche quella di chi era ed è lontano migliaia di chilometri.
Ma ora le cose stanno per cambiare. Un editoriale sul Financial Times, a firma Janah Ganesh, riflette infatti sul fatto che il XXI secolo sarà il primo che non vedrà l’Europa come ‘master of puppets’, burattinaio, degli avvenimenti e dei trend. È vero che il 1900 è stato il secolo degli Stati Uniti, ma il teatro dell’azione è pur sempre stato l’Europa, basti pensare alla Guerra Fredda.
D’ora in poi invece, sostiene Ganesh, la Storia verrà scritta altrove, e l’Europa nemmeno se ne sta accorgendo. Ed è anche colpa del turismo.
Il declino dell’Europa
Molti i motivi della perdita di centralità del Vecchio Continente. Iniziando dall’ascesa di Paesi finora in via di sviluppo ma sempre più importanti, anche per il loro peso demografico: culture diverse che arrivano alla ribalta e pretendono visibilità e riconoscimento, oltre che pari dignità e la messa in discussione di un modello culturale unico.
Ma anche la miopia con cui l’Europa, nelle vesti dell’Unione europea, ha affrontato le sfide commerciali e tecnologiche, che ora la vedono indietro rispetto a Usa e Cina nell’innovazione e nella competitività.
Persa negli interessi strettamente nazionali, e invischiata in regole e procedure che l’hanno spesso fatta vedere come il regno di burocrati che stabiliscono anche quanto debba essere lunga una banana, completamente staccati dalla realtà dei cittadini, l’Unione europea ha perso grip.
L’integrazione non è certamente compiuta e questo è un fattore di debolezza. Nell’epoca in cui i nazionalismi tornano in auge e in cui piccoli territori vorrebbero staccarsi dal proprio Paese – per fare solo un paio di esempi le Fiandre in Belgio e il Nord in Italia (ma c’è anche chi vuole la secessione del Sud), la Catalogna in Spagna – , la Brexit non ha insegnato nulla.
Senza entrare nel merito delle complesse ragioni per cui alcune aree vorrebbero diventare indipendenti, quello che spesso viene tralasciato è che nel XXI secolo il Mondo è un luogo di policrisi, globalizzato, con un’economia segmentata e con sfide enormi da affrontare, e che solo l’unione può fare la forza.
Un’Unione europea a metà, integrata ma non troppo, difficilmente può tenere il passo e giocarsela con giganti come la Cina e gli Stati Uniti, con all’orizzonte India e Brasile. Tanto meno possono farlo singoli Staterelli. È un discorso di massa critica, oltre che di economia di scala.
Ne è una prova la moneta unica, incredibile prova di integrazione che però è rimasta a metà: senza una unione delle politiche fiscali, dei mercati, dei servizi finanziari, l’euro non è mai riuscito ad acquisire la forza che teoricamente dovrebbe avere.
La stessa Banca Centrale Europea pochi giorni fa ha sottolineato in un rapporto come “il completamento dell’unione bancaria e dell’unione dei mercati dei capitali sia fondamentale. Un mercato interno dei servizi finanziari della zona euro meglio integrato è necessario per garantire la resilienza economica e finanziaria europea”.
E invece gli Staterelli pensano di poter incidere ancora come una volta. È vero, le maggiori potenze industriali e politiche sono sempre europee, ma è come se l’Europa stesse vivendo di rendita, seduta sugli allori, dice in sostanza l’editorialista.
Forte dell’enorme eredità culturale, economica, coloniale e di potenza, non sta veramente pensando al futuro, e al fatto che il suo vantaggio di posizione si sta erodendo sempre di più.
Il successo nel turismo è una piaga
E questo è il nocciolo dell’editoriale del FT, che porta a esempio il turismo. L’Europa infatti è super popolare come meta per le vacanze da tutto il mondo, ma secondo Ganesh c’è una relazione tra la fama e l’irrilevanza del continente.
Talmente l’Europa sta andando sulla scia della sua potenza e della sua gloria secolari, che non si accorge di quanto invece stia perdendo tutto ciò e stia finendo ai margini. Un processo in atto, che ancora la vede in primo piano, ma che andrebbe governato prima che sia troppo tardi, se si vogliono mantenere il benessere, i valori e il peso geopolitico a cui siamo abituati.
L’Europa è glamour: lo sono le sue destinazioni, la moda, lo sport. Ma questo le impedisce, è la tesi, di concentrarsi su settori critici come la tecnologia, l’innovazione, la difesa, l’Intelligenza Artificiale.
Ecco, dunque, che l’espressione ‘trappola per turisti’ assume un nuovo significato: gli intrappolati sono i cittadini, non i vacanzieri, invischiati in una stagnazione ancora lucrativa ma che fa perdere man mano terreno.
La “piaga” del turismo è (anche) mentale – oltre che ambientale – perché premia la rendita di posizione, il passato, la fossilizzazione e disincentiva alla modernizzazione. I turisti vengono e verranno sempre in Europa, portando moneta forte e il loro apprezzamento per le bellezze a 360 gradi del Vecchio Continente. Gratificandone l’ego. Un enorme privilegio, che non hanno altre aree del pianeta, e un bel modo di declinare, conclude l’editorialista.
Ma è pur sempre un declino.