“Non possiamo fare come gli abitanti del villaggio che grattano alla porta e chiedono di poter entrare nel castello delle Big Tech. Perché a decidere se darci udienza, ospitalità, servizi, saranno sempre i castellani. Dobbiamo iniziare a costruire un’infrastruttura tecnologica europea”. È combattiva Cristina Caffarra, una delle organizzatrici di un evento che si terrà domani alla sede di Bruxelles del Parlamento europeo. Ci saranno dirigenti della Commissione come Roberto Viola (DG Connect), europarlamentari di vari paesi e schieramenti (la verde Geese, la socialista Galvez Munoz, il popolare Voss, la liberale Yon-Courtin), docenti ed esperti come Meredith Wittaker, Francesca Bria, Mateo Valero, e dirigenti di società tecnologiche.
Il punto di Caffarra è che le grandi tech americane non dominano solo il mondo del software, delle app, dei social e dei sistemi operativi, ma anche quello dell’hardware, delle infrastrutture critiche su cui passano i dati dei cittadini europei. Si può obiettare che è il mercato, che i tentativi europei di costruire delle alternative (vedi Gaia X) hanno fallito, e che mentre queste società investivano in ricerca e sviluppo noi europei abbiamo smantellato il know-how esistente. E dunque… “E dunque non possiamo non provarci, arrenderci, alzare le mani e andarcene al mare mentre l’industria tech europea sparisce. Non è credibile che uno possa rimpiazzare dei giganti come Amazon Web Services, Google, Microsoft, ma almeno possiamo complementarli con altri soggetti. Il rapporto Draghi in questo è molto chiaro: serve un grande investimento pubblico e su quello si può costruire l’investimento privato. L’esempio è quello dell’Inflation Reduction Act americano, 700 miliardi in tecnologie verdi e semiconduttori hanno attratto oltre 600 miliardi di capitali privati. Non si tratta di abbandonare le regole antitrust o creare campioni europei, come dicono alcuni. È questione di creare una politica industriale”.
Eppure secondo la Dg Comp, all’Europa serve ancora più mercato e meno dirigismo. “Le nostre norme sulla concorrenza, da ultimo il Dma, nascono con i migliori principi. Purtroppo però se parli con le piccole e medie imprese, ti dicono che la regolamentazione sta soffocando il loro business, molto più che quello delle grandi aziende che hanno gli strumenti e i mezzi per addentrarsi in quel groviglio di norme. La normativa non ha spalancato i mercati”.
Cosa pensa della nuova Commissione, in particolare delle competenze intrecciate tra i vari commissari? “Lo dico da tempo: non possiamo pensare ai portafogli come a dei silo verticali, in cui ciascuno guarda solo al suo piccolo giardino murato. Dunque mi sembra giusto spingere i commissari a lavorare in coordinamento tra di loro, la concorrenza con la politica industriale, la sovranità tecnologica con la Difesa, eccetera. Sembra strano ora rimpiangere Breton, ma era l’unico che parlava di infrastrutture tecnologiche autonome e sovrane. In ogni caso, il Parlamento chiederà ai nuovi commissari durante le audizioni cosa intendono fare per rafforzare la rete tech del Continente”.
Qual è l’obiettivo dell’evento di domani? “Dimostrare che in Europa abbiamo tantissimi esperti in questo campo, abbiamo dei pezzi di questa infrastruttura, che noi chiamiamo Euro Stack: aziende di cloud, il supercomputer di Bologna, le università e i ricercatori. E poi vogliamo far vedere come si sono mossi altri paesi, India e Brasile in testa. Modelli open-source, identità digitali, protocolli che si applicano a diverse applicazioni, dai trasporti alla salute, dai pagamenti all’istruzione. Infine far capire quanto sia urgente sviluppare una parte hardware, data center e nodi che siano alternativi e complementari a quelli esistenti”.