La Romania ci riprova e torna al voto tra tensioni internazionali, populismo e instabilità politica

Dopo l’annullamento del voto di novembre e le tensioni con Usa e Russia, i cittadini vanno alle urne. In gioco c’è l’orientamento politico di un Paese chiave per l’Ue e la Nato
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Daniel Mihailescu (Afp)

Domenica 4 maggio la Romania tornerà alle urne per il primo turno delle elezioni presidenziali, dopo che la Corte costituzionale ha annullato il risultato della tornata dello scorso novembre a causa di sospette interferenze russe. L’annullamento ha sollevato forti polemiche sia a livello nazionale che internazionale e ha riacceso il dibattito sulla stabilità democratica della Romania, Paese chiave per l’equilibrio geopolitico dell’Europa orientale.

Călin Georgescu, dalla vittoria a sorpresa all’esclusione

Al centro dello scandalo Călin Georgescu, outsider indipendente e candidato filo-russo, che i sondaggi davano al 5% ma arrivato sorprendentemente primo, guadagnando il ballottaggio contro la liberale Elena Lasconi. Secondo le autorità, la sua affermazione sarebbe stata favorita da una massiccia campagna social manipolata dall’estero. Questo ha portato all’annullamento del voto. La piattaforma social peraltro ha recentemente confermato che ci sono state attività manipolatorie, pur precisando di aver preso contromisure.

Un altro colpo di scena si è avuto a marzo con l’esclusione di Georgescu dalla ripetizione del voto, decisa dall’Ufficio elettorale centrale e confermata dalla Corte costituzionale, per via di irregolarità elettorali e accuse al candidato estremista di istigazione ad azioni contro l’ordine costituzionale e sostegno a organizzazioni di carattere fascista e razzista.

L’ascesa di George Simion

Il suo testimone è stato raccolto da George Simion, leader dell’Alleanza per l’Unione dei Romeni (Aur), partito di estrema destra. Simion, già quarto classificato a novembre con il 14% dei voti, oggi guida i sondaggi e e punta a coagulare i voti di Georgescu, che in caso di vittoria vorrebbe nominare in un ruolo di vertice. Tuttavia, il suo stile aggressivo nel promettere una svolta “nazionalista e identitaria” per la Romania lo rendono divisivo, anche all’interno dell’elettorato conservatore.

A sfidarlo, una rosa eterogenea di candidati: Crin Antonescu, espressione dell’attuale coalizione di governo; Nicușor Dan, sindaco centrista di Bucarest, indipendente; Victor Ponta, ex primo ministro con un’agenda vicina al movimento Maga statunitense; e la già citata Lasconi, oggi indebolita dall’uscita del suo stesso partito, l’Unione Salviamo la Romania, che ha scelto di sostenere Dan.

Quello che è emerso certamente negli ultimi mesi è un’insofferenza sempre più marcata della popolazione verso i partiti tradizionali e verso quello che viene percepito come ‘establishment’, un sentimento che potrebbe penalizzare i candidati più moderati o legati alle forze di governo.

L’ombra lunga di Washington e Mosca

Se da una parte sulle elezioni romene grava l’ombra di interferenze russe, dall’altra l’annullamento delle elezioni ha attirato critiche anche dagli Stati Uniti. Il vicepresidente JD Vance, parlando del palco della Conferenza di Monaco sulla sicurezza, aveva accusato i partiti tradizionali di voler manipolare il risultato elettorale “perché non vi piace”, e aveva affermato che il Paese non è democratico. Esternazioni che avevano provocato diverse proteste, mentre Simion coglieva l’occasione per rafforzare la sua immagine “trumpista”, lodando il tycoon e incentrando la propria campagna elettorale sul ‘Romania first’, uno slogan ripreso dal trumpiano ‘America first’.

Il candidato ultranazionalista gode del supporto degli Usa, a partire da Elon Musk, sempre più attivista a favore delle estreme destre europee. L’uomo più ricco del mondo, proprietario tra le altre cose di X, lo scorso febbraio aveva scritto sul social: “La Romania merita la propria sovranità!“.

Perché il voto interessa all’Europa

Dunque si arriva al voto in un clima tutt’altro che sereno. Non solo per i sospetti di interferenze estere, ma anche perché non è esagerato dire che da esso dipende il futuro del Paese. Un futuro a cui anche l’Unione Europea guarda come molta attenzione. La Romania, che conta 19 milioni di abitanti, è un pilastro della strategia Nato sul fianco orientale: entro il 2030 dovrebbe ospitare 10mila soldati sulla costa del Mar Nero, e la base militare di Mihail Kogălniceanu sarebbe la più grande d’Europa. Ma proprio in quella regione, il sostegno per Georgescu a novembre è stato significativo, segno di un malcontento che investe anche l’alleanza euro-atlantica.

La Romania è una nazione-chiave anche per la gestione dei flussi commerciali (in particolare i corridoi di export ucraini) e per la tenuta dei valori democratici sul fronte orientale. Ma Simion e il suo partito incarnano una visione conservatrice della Romania, con accenti irredentisti verso i vicini, un aspetto che adombra la prospettiva di potenziali dispute territoriali con Ucraina, Moldavia e Bulgaria. Pur dichiarandosi anti-russo, il leader estremista si oppone agli aiuti militari a Kiev. Non a caso, ha parlato apertamente della possibilità di formare un’alleanza ideologica tra movimenti Maga all’interno dell’Ue.

La sua vittoria sarebbe una scossa per Bruxelles, che già deve confrontarsi con governi di destra radicale in Slovacchia, Ungheria, Italia, Paesi Bassi e Finlandia.

Chi sono i protagonisti

Undici candidati saranno in lizza per la carica di presidente, ma per ora solo cinque sono considerati veramente in gara. Secondo l’ultimo sondaggio condotto da Flashdata, rilanciato da Euronews, Simion guida con il 29%, seguito da Crin Antonescu, espressione dell’alleanza di governo Psd-Pnl-Udmr, al 26% e da Nicușor Dan, indipendente e sindaco di Bucarest dal 2020, al 23%.

Più staccati gli altri candidati, tra i quali gli unici che, stando al sondaggio, dovrebbero ottenere un risultato rilevante sono Victor Ponta, già primo ministro tra il 2012 e il 2015 (ma che un sondaggio di Sociopol del 25 aprile dà addirittura come candidato con più possibilità di vincere al secondo turno), con l’8%, e la liberale Elena Lasconi, leader dell’Unione Salvate la Romania, che si era qualificata al ballottaggio alle elezioni di cinque mesi, con il 7,5%.

Se nessuno supererà il 50% al primo turno, come appare probabile, si andrà al ballottaggio il 18 maggio.

George Simion e il sogno Maga

Simion ha polarizzato il dibattito politico: dopo la pronuncia della Corte Costituzionali lo scorso dicembre, ha attaccato frontalmente l’establishment, definendo l’annullamento delle elezioni un “colpo di Stato”, e ha promesso di “declassificare” i documenti riservati che hanno portato alla decisione. È anche al centro di un’accertamento da parte dell’Autorità Elettorale Permanente romena per aver tentato di finanziare con fondi pubblici un’operazione di lobbying negli Stati Uniti.

“È un voto spartiacque per il nostro Paese”, ha sottolineato Simion in un’intervista all’Adnkronos, spiegando che il presidente della Romania ha grandi poteri in politica estera ma influisce molto anche sull’indirizzo del governo. “I cittadini sono sfiduciati dopo l’annullamento delle elezioni di dicembre e l’esclusione di candidati importanti come Calin Georgescu”, ha affermato il leader di Aur, ecco perché “è il momento di riportare dignità e giustizia ai romeni”. E per portare dalla sua parte chi aveva votato per Georgescu, ha affermato che una delle opzioni è nominare quest’ultimo primo ministro.

Per quanto riguarda gli Usa, “non posso che accogliere positivamente la linea del presidente Trump, che guida gli Stati Uniti mettendo al primo posto il recupero dell’identità nazionale. Vuole ridare dignità al proprio popolo, proprio come intendiamo fare noi in Romania”. Parlando infine del legame storico con Mosca, Simion ammette che “rimane un grande problema, per questo abbiamo bisogno di una Nato forte”.

Simion rifiutato di partecipare ai dibattiti televisivi che si sono tenuti lunedì, martedì e mercoledì tra i candidati: si è presentato al primo salvo andare subito via per protesta contro l’annullamento del voto di novembre.

Victor Ponta e il ‘Romania first’

Il tema della fiducia è una priorità anche per Victor Ponta, l’ex premier socialdemocratico dal 2012 al 2015, che si presenta come indipendente e ha condotto la campagna elettorale all’insegna dello slogan “Romania first”, che all’Adnkronos ha spiegato di voler “ridare fiducia ai cittadini e rilanciare l’economia”.

“È stato un grave errore”, denuncia Ponta riferendosi alla cancellazione del volto di novembre. “Bisogna sempre rispettare l’esito del voto popolare, qualunque esso sia: i cittadini romeni sono stati privati della libertà democratica più importante, quella di poter scegliere il proprio presidente”, ha aggiunto.

“La Romania ha tutte le potenzialità per essere un Paese all’avanguardia, in Europa e nel mondo, ma ha bisogno di leadership lungimiranti”, he detto ancora l’ex premier indicandosi come un “ponte” tra Ue e Usa, prendendo come esempio la strategia diplomatica di Giorgia Meloni che definisce “un modello”
Per Ponta, gli Stati Uniti sono “gli unici in grado di difenderci dalla Russia, sia dal punto di vista militare che tecnologico. Stiamo assistendo ad una fase di tensione tra Washington e Bruxelles: alimentare lo scontro non ha senso, avvantaggerebbe solo i nostri nemici, che nel mondo sono tanti”.

Crin Antonescu, il candidato istituzionale

Crin Antonescu rappresenta l’attuale assetto istituzionale, candidandosi con il sostegno dei Socialdemocratici di centro-sinistra al governo, dei Liberali Nazionali di centro-destra e del partito di minoranza ungherese. Questo potrebbe essere per lui uno svantaggio, vista l’ostilità dei romeni verso i partiti tradizionali. Inoltre Antonescu ha avuto un breve e poco brillante mandato come presidente ad interim nel 2012, durato solo 48 giorni, e non ricopre cariche pubbliche da un decennio.

Nicușor Dan e la lotta alla corruzione

Nicușor Dan, sindaco centrista di Bucarest, si candida come indipendente dopo aver fondato il partito Salviamo la Romania e poi esserne uscito un anno dopo. Da parte sua punta sulla lotta alla corruzione e sulla trasparenza amministrativa, ma rischia di essere risucchiato nel vortice della politica tradizionale, specialmente dopo la diffusione – da parte di Lasconi – di immagini che lo ritrarrebbero con un ex dirigente dei servizi segreti. Entrambi i protagonisti smentiscono l’autenticità delle foto e minacciano azioni legali.

Elena Lasconi l’anti-populista

Elena Lasconi, portabandiera anti-populista e leader dell’Unione Salvate la Romania, a novembre era arrivata seconda dietro Georgescu ed era approdata al ballottaggio, si trova oggi marginalizzata. La sua campagna tenta di ricostruire una narrazione riformista e anti-populista, ma senza l’appoggio del suo partito, che le ha preferito Dan, ha perso slancio.

Oltre 23mila voti dalla diaspora

Mentre il voto si avvicina, l’Autorità Elettorale Permanente (Aep) ha comunicato dati relativi all’affluenza elettorale della diaspora, per la quale le operazioni di voto sono iniziate in anticipo. Tra le 22 di giovedì (ora di Bucarest, corrispondente alle 7:00 ora locale) e le 12 di venerdì hanno votato 19.327 cittadini romeni residenti all’estero. Si registra, inoltre, un totale di 4.106 voti per corrispondenza. Pertanto, il numero complessivo di voti espressi dalla diaspora ammonta a 23.433.

L’analisi della distribuzione geografica evidenzia una significativa concentrazione di elettori in Italia (3.560 voti), Germania (2.592 voti), Spagna (2.368 voti) e Regno Unito (1.905 voti).

Ma tutti gli occhi sono puntati sulle urne di domenica, che diranno se il populismo nazionalista riuscirà a conquistare anche Bucarest o se l’elettorato sceglierà la continuità con Bruxelles.