Le elezioni olandesi hanno rimesso in gioco tutto. Geert Wilders arretra, Rob Jetten lo raggiunge, e il sistema proporzionale consegna all’Aia un pareggio che segna una svolta. Il voto chiude due anni di turbolenze, archiviando un esecutivo caduto sotto il peso delle proprie contraddizioni.
L’esecutivo guidato da Dick Schoof, sostenuto dal PVV, è crollato a giugno. Prometteva rigore, confini chiusi e “ordine”, ma si è logorato su ogni fronte: immigrazione, bilancio, ambiente. Wilders, abituato a colpire da fuori, non ha retto la responsabilità di governo. A provocare la crisi è stato lui stesso, lasciando il premier tecnico senza numeri.
Il nuovo voto arriva in un Paese stanco. A sinistra, Frans Timmermans — ex vicepresidente della Commissione europea e volto del Green Deal — prova a riunire Verdi e laburisti. A destra, il PVV cerca la riconferma, puntando su identità e paura. In mezzo, un elettorato disilluso trova un interlocutore imprevisto: Rob Jetten, 38 anni, leader del partito centrista D66 ed ex ministro del Clima e dell’Energia.
Dopo il tonfo del 2023, con appena nove seggi, pochi scommettevano su di lui. Ma la campagna — sobria, diretta, fondata sullo slogan “Het kan wel” (È possibile) — ribalta il pronostico: Jetten parla di case, energia e stabilità, evita i toni ideologici. La rimonta è clamorosa.
Il verdetto
Quando lo spoglio tocca il 98%, l’Olanda scopre di avere due vincitori e nessuna guida. D66 e PVV chiudono a 26 seggi ciascuno, separati da circa 2.000 voti. Un pareggio che ribalta gli equilibri e apre un nuovo stallo politico.
Wilders perde oltre un quarto dei seggi conquistati nel 2023 (da 37 a 26). D66 guadagna 17 seggi. Dietro, il VVD di Dilan Yeşilgöz ottiene 22 seggi; il CDA di Henri Bontenbal ne ottiene 18; la coalizione rosso-verde di Timmermans precipita a 20. Seguono JA21 (9), Forum voor Democratie (7), BBB (4), Denk, SP e Partito per gli Animali (3 ciascuno).
Il Paese torna a guardare al centro. D66 domina nelle città — Amsterdam, Rotterdam, Utrecht —; il PVV conserva le roccaforti meridionali ma non cresce. Il CDA riprende terreno tra gli agricoltori, il VVD limita le perdite.
“Milioni di olandesi hanno voltato pagina”, dice Jetten dal palco di Leiden. Wilders ammette: “Non riuscirò a formare un governo da solo, ma siamo rimasti fedeli ai nostri elettori”. Timmermans lascia: “Non ho mantenuto le promesse”.
A Bruxelles si registra sollievo: l’Olanda torna europeista dopo due anni di gelo con le istituzioni comunitarie. Jetten, 38 anni, è ora il favorito per l’incarico — potenziale primo premier apertamente gay e il più giovane dal dopoguerra — ma lo attendono trattative complesse.
Rob Jetten, il “premier possibile”
Fino a poco tempo fa lo chiamavano “Robot Jetten”, per la voce impostata e le risposte schematiche. Oggi è il politico che ha rilanciato il D66 e il volto di una nuova generazione liberale. Nato a Veghel, nel Brabante, laurea in amministrazione pubblica, entra in Parlamento a trent’anni. Da ministro per il Clima e l’Energia nel governo Rutte ha gestito uno dei dossier più divisivi, la transizione verde, senza perdere il tono pragmatico.
Il suo messaggio è lineare: fiducia, serietà, risultati. In campagna promette dieci nuove città e 100.000 case l’anno, meno burocrazia, energia “dalla nostra terra”, più investimenti in scuola e sanità. Sull’immigrazione, la linea è equilibrio: rigore sui flussi e più integrazione e lingua, con la possibilità di chiedere asilo dall’estero per alleggerire il sistema interno.
Jetten costruisce consenso su una promessa: governare al centro è ancora possibile. Il suo europeismo lo colloca tra le figure più in sintonia con Bruxelles. La vera prova adesso è trasformare il consenso in maggioranza, senza rinunciare alla promessa di stabilità.
“Non sono il candidato gay né il giovane candidato. Sono quello che vuole far funzionare il Paese”, ha detto nella conferenza post-voto. Il suo equilibrio personale e politico è diventato un tratto distintivo di leadership nuova.
Geert Wilders, l’uomo solo al comando
Sessantadue anni, capigliatura inconfondibile, linguaggio sempre lo stesso. Geert Wilders resta il volto più riconoscibile della destra olandese. Nato all’Aia da una famiglia cattolica con origini indonesiane, inizia nei liberali del VVD e nel 2006 fonda il Partij voor de Vrijheid. Da allora è una presenza costante: anti-Islam, anti-immigrazione, euroscettico, paladino della libertà di parola contro il “politicamente corretto”.
Per due decenni ha prosperato come outsider. Nessun compromesso, nessuna alleanza stabile, linguaggio diretto per l’elettorato delle periferie e del Sud industriale. Nel 2023, con 37 seggi e la guida del governo, sembrava al massimo, ma la gestione del potere ne ha rivelato i limiti: la linea dura sull’asilo spacca la coalizione, le riforme economiche si incagliano.
Oggi Wilders torna al ruolo che conosce meglio: tribuno. Con 26 seggi, isolato ma ancora centrale, si prepara a riprendere il microfono dell’anti-sistema. “Non vi libererete di me fino a quando avrò ottant’anni”, ha avvertito dopo il voto.
La sua longevità politica resta un vantaggio. La base non lo abbandona, e la sua presenza obbliga gli altri partiti a spostarsi verso destra sui temi migratori. Anche chi lo esclude dal governo finisce per inseguirne i temi: è la sua vittoria più sottile.
Nessun ballottaggio, solo trattative
Il sistema olandese è proporzionale puro: un unico collegio nazionale, soglia effettiva ~0,67% (un seggio), nessun ballottaggio. Con un pareggio come questo non si torna alle urne. Il Re nomina un verkenner — “esploratore” politico — che devia gli scenari e apre la fase delle trattative; l’incarico di governo va a chi dimostra di avere numeri su cui contare, non a chi ha preso più voti.
Nel 2021 le trattative durarono 299 giorni. Stavolta le premesse non sono migliori. D66, VVD e CDA insieme arrivano a 66 seggi: dieci in meno della soglia necessaria di 76. Con l’appoggio esterno della sinistra rosso-verde si supererebbe la maggioranza, ma i nodi su bilancio, clima e immigrazione restano aperti.
Wilders, escluso da ogni trattativa dopo il collasso del suo governo, prepara l’opposizione. Timmermans lascia un vuoto che altri cercheranno di colmare. Bruxelles osserva: dopo l’intermezzo sovranista, l’Olanda torna interlocutore dell’integrazione ma resta prigioniera di un Parlamento frammentato.
Le prossime settimane saranno dedicate a esplorazioni, compromessi, tentativi di coalizione. Rob Jetten, con 26 seggi e un Paese sospeso, è il vincitore senza governo. Geert Wilders, con la stessa cifra, è il perdente che continua a dettare il dibattito. Due volti di una stessa incertezza: l’Olanda torna al centro, ma la stabilità resta un traguardo lontano.
