In Groenlandia vince il centrodestra, indipendenza graduale e ‘no’ a Trump

Groenlandesi alle urne tra le minacce espansionistiche di Trump e la voglia di distacco dalla Danimarca. Vince a sorpresa Demokraatit, mentre la coalizione di centro-sinistra oggi al governo segna una sconfitta secca. Balzo dei nazionalisti
4 ore fa
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Jens Frederik Nielsen Groenlandia
Jens-Frederik Nielsen (con la chitarra) festeggia il risultato del voto (Afp)

La Groenlandia vuole l’indipendenza dalla Danimarca, ma con calma. A sorpresa è stato il partito democratico di destra, attualmente all’opposizione, a vincere le elezioni anticipate che si sono tenute ieri per il rinnovo dei 31 seggi dell’Inatsisartut, il parlamento nazionale. Il partito ha più che triplicato i voti ottenuti nel 2021 (29,9%) e ha battuto la coalizione di centro-sinistra attualmente al governo: l’Inuit di sinistra Ataqatigiit (la formazione ecologista del primo ministro uscente Mute Egede) è arrivato terzo (21,4%) e il socialdemocratico Siumut quarto (14,7%). Risultato “sbalorditivo” per il partito nazionalista Naleraq, il più deciso tra le forze indipendentiste, che ha raddoppiato il risultato del 2021 (24,5% contro 12% dei voti). Alta l’affluenza alle urne.

Anche se ci vorranno settimane per fornire cifre ufficiali, visto che le schede elettorali devono arrivare nella capitale Nuuk dagli insediamenti più sperduti dell’isola artica, intanto la direzione presa dal voto è chiara, così come il fatto che nessuna forza ha ottenuto la maggioranza assoluta e dunque anche il prossimo governo sarà di coalizione.

“Rispettiamo il risultato delle elezioni”, ha detto a KNR Mute Egede, mentre il leader del partito Siumut Erik Jensen ha ammesso la sconfitta. Le due formazioni infatti sono calate rispettivamente del 15,3% e del 14,7%.

L’indipendenza dalla Danimarca

I circa 56mila groenlandesi ieri sono andati alle urne con addosso gli occhi di tutto il mondo puntati su di loro, una cosa a cui certamente non sono abituati. Il motivo è il rinnovato interesse di Trump, che ha dichiarato l’isola di vitale importanza per gli Usa e di volerla prendere “in un modo o in un altro”.

Ma la campagna elettorale si è concentrata soprattutto sulla questione dell’indipendenza dalla Danimarca. L’isola artica infatti è un territorio autonomo facente parte del Regno danese e ha un proprio Parlamento. Secondo la legge, dal 2009 ha il diritto di avviare da sola il processo per la propria indipendenza, attraverso la negoziazione di un accordo con la Danimarca da approvare poi tramite referendum e con un voto del Parlamento danese.

Finora la Groenlandia non ha mai avviato tale processo, né in effetti i partiti pensano a uno strappo improvviso con il Regno. Ma la questione è sul tavolo, e anzi l’interesse di Trump potrebbe essere usato per attirare più investimenti in settori chiave come il turismo e l’estrazione di terre rare.

Le minacce del presidente Usa hanno sicuramente rinfocolato le spinte indipendentistiche, ma con la precisazione che i groenlandesi non vogliono essere né americani né danesi ma solo, appunto, groenlandesi.

Tuttavia la questione non è così semplice: Copenaghen, che mantiene il controllo su Esteri e Difesa, foraggia l’isola con 530 miliardi di corone danesi ogni anno, cifra da cui dipende il welfare dei groenlandesi (ad esempio sanità, istruzione e occupazione) e che non è facile rimpiazzare con le proprie gambe.

Il territorio dell’isola più grossa del mondo infatti è per l’80% coperto da ghiacci, cosa che rende ogni attività difficile, a volte impossibile, o estremamente costosa. Il riscaldamento globale però sta cambiando le cose: con lo scioglimento dei ghiacci, si aprono nuove rotte marine prima inaccessibili e si può pensare di sfruttare le grandi riserve minerarie e petrolifere dell’area.

D’altronde ‘Groenlandia’, ovvero ‘Greenland’ in inglese, significa ‘terra verde’, proprio a ricordo del fatto che tanto tempo fa l’isola era ben diversa da come la conosciamo ora.

Indipendenza sì ma con tempi diversi

Etimologie a parte, tra gli abitanti e tra le forze politiche del territorio autonomo c’è consenso sull’indipendenza: cinque dei sei partiti in lizza per il Parlamento locale sono favorevoli. Cambia la tempistica.
Il partito vincitore, così come Inuit Ataqatigiit e Siumut, pensa a una gradualità, da gestire nel momento in cui il territorio potrà sostenersi da solo. Naleraq, arrivato secondo, invece vuole una time line più rapida, e allo stesso tempo è favorevole a legami più stretti con gli Stati Uniti, anche attraverso un accordo di libera associazione.

Ma le elezioni si sono giocate anche su questioni più interne, come l’istruzione, gli affari sociali, la pesca, su cui si fonda l’economia dell’isola, e il turismo. Quest’ultimo ha ricevuto impulso specialmente dopo l’avvio di voli diretti per la capitale Nuuk e il conseguente rischio di overtourism. La proposta di Inuit Ataqatigiit di istituire un’agenzia statale per la gestione e l’estrazione delle risorse minerarie non ha invece suscitato particolare interesse.

La lunga mano di Trump

Come anticipato, tutto il mondo ha guardato a queste elezioni, vedendole anche come una sorta di ‘referendum’ rispetto alle mire espansionistiche di Trump, che nei primissimi giorni del suo mandato ha espresso nuovamente l’intenzione di acquistare l’isola e che non ha escluso l’uso della forza per entrarne in possesso. Il figlio Donald Juniur si è anche presentato a sorpresa per una visita lampo sull’isola, in concomitanza con le affermazioni del padre. Sia le istituzioni groenlandesi sia quelle danesi hanno subito replicato che il territorio non è in vendita.

Pochi giorni fa il tycoon è tornato alla carica, dicendo che prenderà la Groenlandia “in un modo o in un altro”. Ma, come è nel suo stile, Trump oscilla tra carota e bastone, e dunque ha anche posto le cose in modo più allettante per gli abitanti del territorio autonomo danese: “Siamo pronti a investire miliardi di dollari per creare nuovi posti di lavoro e renderli ricchi. E, se lo desiderano, li accoglieremo nella più grande nazione del mondo: gli Stati Uniti d’America”, ha scritto su Truth (in maiuscolo) a poche ore dal voto.

Il leader del partito Demokraatit, Jens-Frederik Nielsen, ha ribadito che l’isola non è in vendita e ha definito le esternazioni di Trump “una minaccia alla nostra indipendenza politica“.

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