L’illusione di potenza geopolitica dell’Unione Europea si è rivelata per quello che è: un’illusione, appunto. E ora il blocco deve muoversi. È fin troppo facile definire Mario Draghi una ‘Cassandra’ dei giorni nostri, ma sembra proprio questo il ruolo che l’ex premier italiano incarna da almeno un anno, mentre la finestra per evitare il disastro – il ‘fade to black’ dell’Unione europea verso l’irrilevanza sulla scena mondiale – si va restringendo rapidamente. Perciò, l’uomo che salvò l’euro non ha perso occasione di strigliare l’Europa ancora una volta, nel tentativo di stimolare un’azione che al momento non solo è ancora lenta e insufficiente, ma anche ostacolata dai crescenti sovranismi.
Venerdì scorso, dal palco dell’annuale Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, l’ex presidente del Consiglio italiano lo ha detto chiaro e tondo: “Per anni, l’Ue ha creduto che le sue dimensioni economiche, con 450 milioni di consumatori, comportassero potere e influenza geopolitici nelle relazioni commerciali internazionali. Quest’anno sarà ricordato come l’anno in cui questa illusione è evaporata“.
Ue irrilevante: i campanelli d’allarme
Le politiche del presidente degli Stati Uniti Donald Trump sono in questo senso “un brutale campanello d’allarme“. E di esempi Draghi ne ha ricordati diversi, a partire dall’accordo sui dazi, ritenuto da molti talmente sbilanciato a favore di Washington da essere una ‘resa’. Ma anche la decisione di investire maggiormente nella propria difesa mentre gli Usa si sfilano dalla sicurezza del Continente, con l’intesa ad aumentare le spese militari dal 2 al 5% del Pil di ogni Paese, presa durante il vertice Nato dello scorso giugno su forte pressione di Trump.
E ancora, la piega assunta dalle trattative per una soluzione del conflitto in Ucraina, dalle quali l’Ue è sostanzialmente esclusa, “nonostante abbia dato il maggior contributo finanziario alla guerra, e abbia il maggiore interesse in una pace giusta”, ha sottolineato Draghi.
L’Europa inoltre è stata “spettatrice quando i siti nucleari iraniani venivano bombardati e il massacro di Gaza si intensificava”, ha proseguito l’ex capo della Banca Centrale Europea. Ultima, ma non certo per importanza, Pechino: “La Cina ha apertamente sostenuto lo sforzo bellico della Russia mentre espandeva la propria capacità industriale per riversare l’eccesso di produzione in Europa”, anche in considerazione della guerra dei dazi scatenata da Trump, ha evidenziato l’ex premier. Tanto che il Dragone “non considera l’Europa come un partner alla pari e usa il suo controllo nel campo delle terre rare per rendere la nostra dipendenza sempre più vincolante”.
L’Unione farebbe la forza
Il problema, per Draghi, è che l’Europa è passiva e rigida, ed è solcata da spinte nazionaliste controproducenti. Il motivo è molto pratico: “Distruggere l’integrazione europea per tornare alla sovranità nazionale non farebbe altro che esporci ancor di più al volere delle grandi potenze”.
Anche qui, Draghi ha fatto un esempio concreto: l’investimento tra pubblico e privato negli Usa è concentrato in un piccolo numero di grandi fabbriche con progetti che vanno dai 30 ai 65 miliardi di dollari. “Invece in Europa la maggior parte della spesa ha luogo a livello nazionale, essenzialmente attraverso gli aiuti di Stato”, con progetti da 2-3 miliardi di dollari e “dispersi tra Paesi con priorità differenti”.
Ma “nessun Paese europeo può avere da solo le risorse necessarie per costruire la capacità industriale richiesta per sviluppare le tecnologie critiche“, fondamentali per la prosperità e la sovranità, ha avvertito l’ex capo della Bce.
Ecco perché servono piuttosto “nuove forme di integrazione”.
Le “nuove forme di integrazione”
Ma a cosa dare la priorità? Draghi nel suo intervento ha parlato del regime giuridico europeo unico per le pmi (il 28mo regime, caldeggiato anche da Enrico Letta nel suo Rapporto sul mercato unico) e di un accordo sul finanziamento comune dei progetti di interesse europeo, “condizione essenziale” perché questi “raggiungano la dimensione tecnologicamente necessaria e economicamente autosufficiente. In altre parole, i progetti si ripagano solo se sono grandi a sufficienza”, ha spiegato l’ex capo della Bce.
Oggi, quanto meno in alcuni settori come difesa, infrastrutture e innovazione, “soltanto forme di debito comune possono sostenere progetti europei di grande ampiezza, che sforzi nazionali frammentati e insufficienti non riuscirebbero mai ad attuare”, ha proseguito Draghi. Si tratterebbe di debito ‘buono’, quello che alimenta crescita e autonomia (fu proprio Draghi e sempre dallo stesso palco a coniare la differenza con il debito cattivo, quello che si ‘brucia’ in consumi e aggrava le generazioni future).
“Muoversi come in emergenza in tempi ordinari”
Più integrazione dunque, ma anche più velocemente: occorre “muoversi come con emergenze in tempi ordinari“, ha invitato Draghi. L’Europa ha già dimostrato di poter essere determinata e rapida, in situazioni di crisi: ne sono un esempio l’emissione del debito comune all’interno del programma Next Generation Eu durante la pandemia, la campagna di vaccinazione, l’unità nella risposta all’invasione russa dell’Ucraina. Quindi l’Europa è in grado di agire insieme e in tempi brevi.
Anche la partecipazione dei cinque leader Ue e della presidente Ursula von der Leyen ai colloqui alla Casa Bianca lunedì scorso, “è stata una manifestazione di unità che vale agli occhi dei cittadini europei più di tante riunioni a Bruxelles”, ha puntualizzato l’ex banchiere.
Draghi ha infine lasciato spazio alla possibilità: “Abbiamo ancora il potere di disegnare il nostro futuro. Possiamo cambiare la traiettoria del nostro continente”, verso una direzione molto chiara: “L’Ue è la nostra migliore opportunità per un futuro di pace, sicurezza, indipendenza, solidarietà”.
Ma arrivare a questo futuro non è affatto automatico, perché il mondo oggi “è un mondo che non ci guarda con simpatia, che non aspetta la lunghezza dei nostri riti comunitari per imporci la sua forza, è un mondo che pretende da parte nostra una discontinuità negli obiettivi, nei tempi e nei modi di lavoro”, ha proseguito Draghi.
Spetta perciò a tutti, politici e cittadini, trasformare l’attuale forte scetticismo nei confronti dell’Europa “in unità di azione”.