Draghi e i dazi di Trump: nulla sarà come più come prima

La "lenta agonia" dell'economia europea rischia di diventare un rapido e inesorabile tracollo
9 ore fa
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Mario Draghi (Francesco Militello Mirto/NurPhoto/Shutterstock/IPA/Fotogramma)

“È già da diversi anni che la situazione si stava deteriorando, ma la guerra commerciale scatenata dagli Stati Uniti rappresenta un punto di rottura”. Così Mario Draghi ha commentato gli scenari scatenati dai dazi di Trump ieri, 14 maggio, durante il suo intervento al XVIII summit sull’innovazione Cotec a Coimbra, in Portogallo.

L’ex presidente della Bce e attuale consulente speciale della Commissione europea ha lanciato un severo monito all’Ue sulla guerra commerciale scatenata dal presidente americano Donald Trump definendo la situazione attuale come “un punto di rottura“.

Draghi: deterioramento dei rapporti già prima di Trump

Draghi ha voluto sottolineare come le tensioni commerciali tra Usa e Ue non siano un fenomeno improvviso, ma il culmine di un processo di progressivo allontanamento tra le due sponde dell’Atlantico.

Secondo l’ex presidente del Consiglio, la recente distensione commerciale tra Washington e Bruxelles non farà tornare tutto come prima: “Le azioni dell’amministrazione statunitense avranno sicuramente un impatto sull’economia europea. E anche se le tensioni commerciali si attenuano, è probabile che l’incertezza permanga e agisca da vento contrario per gli investimenti nel settore manifatturiero dell’Ue”, ha spiegato.

L’Europa e la dipendenza dal mercato americano

Per Draghi, c’è qualche segnale positivo nell’economia europea, ma va interpretato e portato al livello successivo: “Dovremmo chiederci perché abbiamo smesso di essere nelle mani dei consumatori statunitensi per guidare la nostra crescita. E dovremmo chiederci come possiamo crescere e generare ricchezza da soli“, ha spiegato il consulente speciale di Bruxelles.

La sua analisi è impietosa: nonostante il calo dell’export, “Quasi un quinto del nostro valore aggiunto totale proviene dalle esportazioni, il doppio rispetto agli Stati Uniti. Oltre 30 milioni di posti di lavoro sono sostenuti dalle esportazioni, pari a circa il 15% dell’occupazione”. Questa apertura, ha osservato l’ex presidente della Bce, “aumenta notevolmente l’esposizione della nostra crescita e occupazione alle azioni politiche dei nostri partner commerciali e ai cicli politici che hanno origine al di fuori dell’Europa. E la nostra principale esposizione è verso gli Stati Uniti“.

I tre errori dell’Ue

Secondo Draghi, se vuole ridurre la dipendenza dall’economia e dalle scelte degli Stati Uniti, l’Ue deve agire su tre ambiti:

  • la “politica di bilancio restrittiva“, che ha portato a un calo degli investimenti pubblici;
  • la “attenzione alla competitività esterna rispetto alla produttività interna“;
  • i “salari reali che non sono riusciti a tenere il passo con la produttività” nonostante questa sia “lenta”.

Dal 2000, fa notare l’ex premier, “la crescita annuale della produttività del lavoro nell’Ue è stata appena la metà di quella degli Stati Uniti, causando un divario cumulativo di produttività di 27 punti percentuali nell’intero periodo”.

La minaccia più grande è il costo dell’energia

Un altro punto cruciale per rilanciare l’economia europea è il costo dell’energia, tema più volte attenzionato dall’ex presidente del Consiglio. Pochi giorni fa, l’Ue ha annunciato che nel 2027 avrà tagliato completamente i ponti con il gas russo. Il piano non prevede solo canali di diversificazione, ma anche strategie per contenere il costo dell’energia, un punto cruciale secondo Draghi: occorre “riformare il funzionamento del nostro mercato energetico, lavorando per allentare il legame tra i prezzi del gas e delle rinnovabili”, perché “è scoraggiante vedere come l’Europa sia diventata ostaggio di interessi consolidati”.

Il costo elevato dell’energia rappresenta “una minaccia per la sopravvivenza della nostra industria, un ostacolo importante alla nostra competitività, un onere insostenibile per le nostre famiglie e, se non affrontati, rappresentano la principale minaccia alla nostra strategia di decarbonizzazione” ha spiegato Mario Draghi a pochi giorni dal blackout che ha colpito Spagna e Portogallo generando dubbi sulla affidabilità delle rinnovabili, seppure le cause dell’interruzione elettrica non siano ancora note. Tornare ai carbon fossili non è la strada da seguire, anzi: “Dobbiamo realizzare un grande piano di investimenti a livello europeo per costruire le reti e le interconnessioni necessarie a rendere una rete basata sulle rinnovabili e adeguata alla trasformazione energetica a cui aspiriamo”, ha aggiunto Draghi.

La difficile via d’uscita

Nonostante l’urgenza di una maggiore autonomia, Draghi non si è fatto illusioni sulla possibilità di una rapida diversificazione: “Realisticamente, non possiamo diversificare dagli Stati Uniti nel breve periodo. Possiamo e dovremmo cercare di sbloccare nuove rotte commerciali e far crescere nuovi mercati. Ma qualsiasi speranza che un’apertura al mondo possa sostituire gli Stati Uniti è destinata ad essere delusa“, ha spiegato l’ex presidente della Bce.

Ma perché l’Europa non può divincolarsi facilmente dagli Usa? “Gli Stati Uniti rappresentano quasi due terzi del deficit commerciale globale di beni. Le altre due maggiori economie, Cina e Giappone, registrano anch’esse persistenti avanzi delle partite correnti”. Ciò significa che il valore complessivo delle esportazioni di beni e servizi, più i redditi netti ricevuti dall’estero, supera il valore delle importazioni e dei pagamenti verso l’estero. Un discorso che smentisce la retorica di Trump per cui l’Europa avrebbe approfittato dell’economia americana e sarebbe “nata per fregare gli Usa.

Di fronte alla realtà fattuale, la conclusione è inevitabile: “Dovremo raggiungere con gli Stati Uniti un accordo che ci lasci aperto un accesso al suo mercato“, ha chiosato Draghi.

L’ex premier ha messo in guardia da facili ottimismi: “A lungo termine, è un azzardo credere che il commercio con gli Stati Uniti tornerà alla normalità dopo una rottura unilaterale così importante di questa relazione, o che nuovi mercati cresceranno abbastanza velocemente da colmare il vuoto lasciato dagli Stati Uniti”. La conclusione è netta: “Se l’Europa vuole davvero dipendere meno dalla crescita statunitense, dovrà produrla da sola“.

L’erosione dell’ordine economico internazionale

Nel suo discorso, Draghi ha anche denunciato “l’erosione dell’ordine economico internazionale sotto i colpi delle guerre commerciali” evidenziando che “il vasto ricorso ad azioni unilaterali per risolvere le controversie commerciali e la definitiva privazione del diritto di veto dell’Organizzazione Mondiale del Commercio hanno minato l’ordine multilaterale in un modo difficilmente reversibile“.

Già dal ritorno di Trump alla Casa Bianca, diversi analisti e politici avevano evidenziato come il suo protezionismo sia una minaccia per le istituzioni multilaterali che perdono progressivamente rilevanza e capacità d’azione.

Il rapporto sulla competitività europea

L’intervento di Draghi a Coimbra si collega direttamente al suo ruolo di consulente speciale della Commissione europea per la competitività, incarico affidatogli da Ursula von der Leyen nel 2024. In questa veste, l’ex presidente della Bce ha elaborato un rapporto strategico sul futuro della competitività europea, presentato a settembre.

Il documento, che propone investimenti pubblici e privati fino a 800 miliardi di euro e una trasformazione strutturale dell’economia continentale, si basa su: “competitività sostenibile, sicurezza economica, autonomia strategica aperta e concorrenza leale”.

Nel presentare il rapporto, l’ex premier aveva già sottolineato che “l’unico modo per affrontare la sfida globale è comportarsi come se fossimo un solo Stato”, insistendo sulla necessità di una maggiore integrazione politica, industriale, energetica e difensiva. I pilastri presentati a Coimbra sono gli stessi, ma oggi la necessità di agire è più urgente di allora.

La posizione del governo italiano: Urso e la necessità di coesione europea

Di fronte alla crisi dei dazi, anche il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha espresso posizioni che sembrano allinearsi con l’analisi di Draghi. Urso ha sottolineato come l’elezione di Trump “deve essere una sveglia per l’Ue” e ha evidenziato l’urgenza di una risposta comune europea. Il ministro ha anche messo in guardia contro eventuali rappresaglie unilaterali da parte dell’Unione Europea, affermando che con tali contromisure “ci saremmo fatti male da soli”, ha spiegato Urso.

In tempi non sospetti, era difficile credere che un governo di stampo sovranista invocasse una maggiore coesione dell’Unione Europea, ma la politica protezionista (e sovranista) di Trump ha dato i suoi frutti.

L’Europa a un bivio

Il discorso di Draghi a Coimbra rappresenta un chiaro invito all’azione per l’Unione Europea. Di fronte alla sfida dei dazi americani e al deterioramento dell’ordine commerciale multilaterale, l’ex presidente della Bce chiede di nuovo all’Europa di ripensare il proprio modello di crescita e di sviluppare una maggiore autonomia economica.

Allo stesso tempo, riconosce la necessità di mantenere un dialogo con gli Stati Uniti e di cercare un accordo che preservi l’accesso al mercato americano. Una posizione pragmatica che riflette la consapevolezza della complessità delle relazioni transatlantiche e dell’interdipendenza economica globale.

Il messaggio finale è chiaro: l’Europa deve imparare a crescere e generare ricchezza da sola, sviluppando una maggiore coesione interna e una strategia economica autonoma. Solo così potrà affrontare le sfide di un mondo in cui le vecchie certezze e alleanze non possono più essere date per scontate. Il rischio, altrimenti, è che il futuro non riservi una “lenta agonia“, ma un rapido e inesorabile tracollo dell’economia.