E infine Ursula von der Leyen ha svelato la sua nuova Commissione: ruoli, portafogli, competenze di ciascuno dei candidati nominati dai Paesi dell’Unione europea. Nelle dure settimane di negoziazioni, qualcosa era trapelato ma quando ieri mattina la presidente dell’organo esecutivo europeo ha presentato ufficialmente la squadra, ci sono state alcune sorprese e si è capito molto delle sue intenzioni per il prossimo quinquennio, da lei stessa definito “turbolento” e ricco di sfide ardue.
Ecco dunque come von der Leyen ha risolto le criticità legate alle nomine e quello che si può leggere tra le righe della distribuzione delle cariche e delle lettere inviate a ogni commissario.
Equilibrio di genere
Avvicinarsi il più possibile alla parità tra uomini e donne era una delle priorità per von der Leyen, e la questione ha tenuto banco dalla sua conferma – a luglio – a presidente della Commissione fino all’ultimo. La tedesca, infatti, aveva subito chiesto alle capitali di presentarle due nomi di due sessi diversi in modo da darle margine di manovra nelle sue decisioni. Ma solo la Bulgaria l’ha accontentata, tutti gli altri Paesi hanno fornito un solo nome, e nella grande maggioranza dei casi maschile.
Risultato: la situazione iniziale, definita “inaccettabile” da von der Leyen ieri durante la presentazione del Collegio, era del 22% di donne e il 78% di uomini. La tedesca dunque ha fatto pressione più o meno sottobanco su alcuni Paesi piccoli perché cambiassero candidato in favore di una donna. Una mossa con esiti ambivalenti: Romania e Slovenia hanno acconsentito, Malta e Irlanda hanno risposto picche.
Alla fine von der Leyen ha fatto la pagnotta con la farina che aveva. La sua Commissione è composta da 11 donne su 27, il 40%, non esaltante quanto a equilibrio ma un grosso passo avanti rispetto all’inizio. Ma soprattutto, von der Leyen ha agito di strategia, affidando a donne ruoli di grande peso: sono 4 dei 6 vicepresidenti esecutivi creati. Se non poteva agire sui numeri, ha agito dunque sul potere all’interno del Collegio, riaffermando sostanzialmente anche il proprio, minato dai rifiuti ricevuti dalle capitali di presentare anche nomi femminili.
Equilibrio politico
Il secondo problema di von der Leyen era l’equilibrio politico tra le forze della sua maggioranza. La nuova Commissione è spostata verso il Partito popolare europeo, a cui lei stessa appartiene e che ha vinto le elezioni: vanno al Ppe 14 commissari su 27 (von der Leyen ‘vale’ per la Germania).
Spicca l’assenza dei Verdi, presenti nella commissione uscente. Se è vero che hanno perso voti alle elezioni, la decisione sembra anche riflettere una minore importanza data alle tematiche ambientali in questa legislatura, anche se il Green Deal viene esplicitamente e ripetutamente citato nelle lettere di incarico dei commissari, responsabili, chiarisce von der Leyen, dell’attuazione degli obiettivi prima al 2030 e poi al 2050.
Quanto ai liberali, Renew Europe anche ha perso parecchi seggi alle elezioni, ma ha comunque ottenuto cinque commissari, due vicepresidenti esecutivi (il francese Stéphan Séjourné e l’estone Kaja Kallas) con portafogli rilevanti (allargamento, giustizia e stato di diritto).
I socialisti e democratici a loro volta ottengono quello che forse è il ruolo più pesante: alla spagnola Teresa Ribera va l’Antitrust e la transizione energetica ed ecologica.
Equilibrio geografico
Per la prima volta von der Leyen introduce una logica geografica nella composizione della sua squadra. L’attuale commissione è organizzata per tre vicepresidenze corrispondenti alle tre famiglie politiche della maggioranza (socialisti, liberali e popolari) ma stavolta la tedesca ha voluto ‘pesare’ anche la geografia e le dimensioni dei Paesi, privilegiando in parte gli Stati più grandi, e quelli del Nord e dell’Est, ma al contempo dando ruoli di grandissima importanza a capitali del Sud. L’Italia ha ottenuto l’ampio portafoglio del fondo di coesione dell’Ue, il Portogallo i servizi finanziari (mentre si parla di riformare i mercati dei capitali dell’Unione), e soprattutto la spagnola Teresa Ribera come detto gestirà uno dei ruoli più rilevanti se non il più rilevante del Collegio. La Francia avrà politica industriale e della “prosperità, compresa la fondamentale competitività.
I Paesi più frugali invece sono ‘tenuti buoni’ dalla nomina del polacco Piotr Serafin al portafoglio chiave del bilancio.
Interessante anche notare come un Paese piccolo come l’Estonia abbia ottenuto con Kaja Kallas la guida della politica estera comune, cosa che secondo molti è un messaggio lanciato a Putin. Kallas infatti è una delle più grandi critiche della Russia e la sua nomina si associa a quella della finlandese Henna Virkkunen come vicepresidente esecutivo per la sovranità tecnologica, la sicurezza e la democrazia, a quella del lituano Andrius Kubilius quale primo commissario della storia per la difesa e lo spazio, e quella del lettone Valdis Dombrovskis al fondamentale portafoglio Economia e produttività.
Questi Paesi hanno in comune la Russia come ingombrante vicino, dunque sentono sul collo la minaccia di Putin. Le loro nomine dimostrano la crescente importanza della regione dopo l’invasione dell’Ucraina nel 2022 e l’intenzione di mantenere un orientamento critico verso il gigante slavo.
Struttura della Commissione
Quanto alla struttura del Collegio, per prima cosa von der Leyen ne ha modificato l’organizzazione. Spariti i vicepresidenti semplici, ha istituito sei vicepresidenze esecutive di peso, a ognuna delle quali fanno capo i singoli commissari secondo cluster di competenze.
Inoltre, von der Leyen ha spacchettato competenze e portafogli dei precedenti commissari, le ha rimescolate, accorpate, divise, creato nuovi ruoli (Difesa, Housing, Mediterraneo). Ha insomma agito in una logica di ‘competenze diffuse’ in modo che, ha spiegato lei stessa, i membri del collegio agiscano non più in modalità separata ma collaborando reciprocamente per raggiungere gli obiettivi assegnati. Non solo, ma ha chiarito che ognuno di loro è responsabile del raggiungimento delle priorità che ha in capo.
Tradotto, von der Leyen vuole evitare che ci siano protagonismi o centri di potere, e il pensiero va a commissari con personalità forti e preponderanti come la danese Margrethe Vestager e soprattutto il francese Thierry Breton con cui la tedesca ha avuto più di un problema. L’ultimo, forse quello che ha fatto traboccare il vaso, è stato la lettera inviata da Breton a Musk un mese fa senza coordinarsi con lei, e che ha provocato molti imbarazzi.
Breton infatti è stato sostituito da Macron proprio per fare un favore a von der Leyen che non lo voleva più attorno, in cambio di un ruolo importante. Il sostituto, Stéphane Séjourné (da notare che la Francia ha di nuovo scelto un uomo) è considerato meno forte e dunque potenzialmente più allineato con von der Leyen – e di conseguenza meno influente nell’ambito del Collegio.
Da sottolineare anche la nomina di Valdis Dombrovskis, fedelissimo di von der Leyen, che pur non essendo più vicepresidente ha ottenuto il fondamentale portafoglio Economia e Prosperità – più attuazione e semplificazione -: il polacco risponderà direttamente alla presidente, che così dimostra la sua intenzione di mantenere un controllo immediato sulla materia. Va notato che col rientro in vigore del Patto di stabilità le misure per far rispettare le nuove norme, comprese le procedure di infrazione per deficit eccessivo, sono legate a questo incarico.
Stesso discorso per il portafoglio chiave del bilancio che va al polacco Piotr Serafin, anch’egli tenuto a rispondere direttamente a von der Leyen senza avere vicepresidenti sopra di sé.
von der Leyen dunque accentra il potere, cosa che nella precedente legislatura ha creato molto malumori, ma allo stesso tempo dipende anche tantissimo dagli Stati membri, che tuttavia sono orientati verso un approccio ‘intergovernativo’ più che comune: in poche parole vogliono decidere loro, esattamente il contrario di quello che Draghi auspica nel suo Rapporto sulla competitività.
‘Punizioni’: il caso di Ungheria e Malta
Alcune assegnazioni, secondo gli esperti, hanno tutto l’aspetto di una sorta di ‘punizione’ da parte di von der Leyen.
Primo su tutti l’ungherese Olivér Várhelyi, già discretamente inviso di suo, ma che potrebbe aver scontato anche la politica portata avanti dal presidente Orban in Europa: non solo i continui veti sulle decisioni che riguardano l’Ucraina, ma anche il suo approccio personalistico e spericolato al semestre di guida del Consiglio europeo. Un approccio che ha portato a proteste e boicottaggi reciproci e che ha fatto finire in mano a Várhelyi il ruolo di commissario per la Salute e il benessere degli animali, appositamente creato.
Anche Glenn Micallef, maltese, ha avuto un portafoglio con poca rilevanza e ancora meno influenza: l’equità intergenerazionale, la gioventù, la cultura e lo sport. Forse per i suoi 35 anni o per la sua poca esperienza politica, ma potrebbe aver avuto un peso decisivo il rifiuto di Malta di cambiare il suo nome con quello di una donna. Lui sembra averla presa con sportività: “Pochi settori sono così vicini alla vita quotidiana dei cittadini dell’Ue” come il suo portafoglio, ha scritto su X.
Risultato barzotto invece per l’Irlanda, dopo che il primo ministro Simon Harris non ha voluto cambiare per un nome femminile e dopo il mancato appoggio del partito del candidato Michael McGrath in sede di Europarlamento alla conferma di von der Leyen alla Commissione. Alla fine McGrath ha ricevuto il portafoglio per la Democrazia, la giustizia e lo stato di diritto. Non benissimo, ma bene.
Raffaele Fitto vicepresidente
Raffaele Fitto, come da rumors, ha avuto la vicepresidenza esecutiva e sarà responsabile della coesione e delle riforme, nonostante le proteste di socialisti e liberali che potrebbero avere strascichi al momento della sua conferma all’Eurocamera. Le perplessità sono legate alla sua appartenenza a Fratelli d’Italia, partito di estrema destra, e al fatto che oltretutto la forza politica ha votato contro von der Leyen a luglio.
Eppure alla fine la tedesca ha dato all’Italia un ruolo di un certo peso con dossier importanti per il Bel Paese: una decisione che riflette l’importanza per von der Leyen del rapporto personale con i premier e anche il risultato delle elezioni, che hanno visto un deciso aumento dei seggi di Fdi.
Dove andrà la Commissione: competitività e immigrazione le ‘buzzword’
La competitività sarà al centro dell’azione della nuova Commissione, come ripetuto da von der Leyen anche in conferenza stampa – “L’intero Collegio è impegnato per la competitività!”, ha dichiarato – e nelle lettere ai commissari, anche se rimane tutto da vedere se, quanto e come verrà attuato della ‘ricetta’ Draghi.
Al di là delle dichiarazioni, anche la decisione di piazzare Magnus Brunner, del partito di centro-destra del Partito Popolare Austriaco, agli affari interni e migrazioni ci dice qualcosa, e cioè che la questione migranti sarà centrale. E dà un’idea della direzione che von der Leyen intende dare alla gestione del tema. L’Austria infatti è un Paese con politiche molto restrittive a riguardo, con l’estrema destra che sta chiedendo controlli ancora più severi alle frontiere.