Dazi, l’economia del futuro si inizia a delineare mentre Bruxelles aspetta la lettera di Trump

Confindustria lancia l'allarme: "Oltre il 10% serviranno compensazioni". L'Ue è avvisata
1 giorno fa
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Donald Trump Ursula von der Leyen
Donald Trump e Ursula von der Leyen (Afp)

Mentre l’Ue aspetta la lettera sui dazi (questa mattina Trump ha detto che la invierà in giornata), si inizia a delineare il nuovo scenario commerciale tra Washington e Bruxelles.

Domenica scorsa il Segretario al Tesoro Scott Bessent ha precisato alla Cnn che gli Stati Uniti si concentrano su “18 importanti relazioni commerciali”. I Paesi che non concluderanno accordi entro questa settimana torneranno alle tariffe originariamente annunciate il 2 aprile, passato alla storia come il ‘Liberation day‘.

Punita con forza il Canada, con cui continuano la frizioni sulla Groenlandia: alle merci canadesi importate negli States verrà applicata un’aliquota del 35% dal 1°agosto. Nel mirino del tycoon finisce anche il Brasile, sanzionato con un’aliquota del 50% per l’azione giudiziaria contro l’ex presidente Jair Bolsonaro. Per tutti gli altri partner commerciali il tycoon prevede di imporre tariffe generalizzate del 15% o del 20%, anche se per l’Ue i dazi dovrebbero rientrare tra il 10% e il 15%.

“Il presidente Trump invierà lettere ad alcuni nostri partner commerciali, dicendo che se non accelererete i negoziati, il 1° agosto tornerete al vostro livello tariffario del 2 aprile”, ha dichiarato Bessent, precisando che non si tratta di una nuova scadenza ma dell’implementazione definitiva: “Se volete accelerare, fate pure. Se volete tornare alla vecchia aliquota, è una vostra scelta”.

Finora, secondo Trump, gli Usa hanno raggiunto accordi con tre Paesi: Vietnam (20% di dazi), un quadro di intesa con la Cina e un patto con il Regno Unito. Nonostante le parole di Bessent, resta incerto se i Paesi potranno negoziare con l’amministrazione Trump dopo la scadenza di questa settimana.

Dazi e Ue: “Continuiamo a perseguire un buon risultato”

Sul fronte europeo, la sospensione delle contromisure durerà tecnicamente fino alla mezzanotte di lunedì prossimo (ora di Bruxelles), quindi nella notte tra lunedì 14 e martedì 15 luglio. Le misure di ritorsione sono progettate per scattare automaticamente, ma fonti comunitarie confermano che la sospensione può essere prolungata “senza difficoltà” e l’Ue la prolungherà “se necessario” mentre “continuiamo a perseguire un buon risultato” nei negoziati con Washington.

La strategia europea punta chiaramente a mantenere aperto il canale diplomatico, evitando un’escalation automatica delle contromisure mentre i negoziati sono ancora in corso. Questo approccio riflette la lezione appresa dalle precedenti guerre commerciali, dove l’escalation di misure e contromisure ha spesso danneggiato entrambe le parti.

L’impatto dei dazi sui settori chiave europei

L’incertezza sui dazi colpisce particolarmente i settori europei più esposti al mercato americano. L’industria automobilistica, la siderurgia, l’agroalimentare e il lusso rappresentano comparti che potrebbero subire impatti significativi in caso di applicazione di tariffe più elevate rispetto a quelle generiche.

Le aziende europee hanno già iniziato a rivedere le loro strategie di approvvigionamento e distribuzione, con molte che stanno valutando la possibilità di aumentare la produzione locale negli Stati Uniti o di diversificare i mercati di sbocco per ridurre la dipendenza dal mercato americano.

L’allarme di Confindustria: “Oltre il 10% servono compensazioni” e la conferma di Bankitalia

Intanto, il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, ha lanciato un chiaro avvertimento durante la conferenza nazionale del Pd sulle politiche industriali: se i dazi Usa all’Ue supereranno il 10%, “serviranno compensazioni”, ovvero politiche europeo di supporto industriale e misure di sostegno diretto alle imprese, che riequilibrino, almeno parzialmente, la perdita di entrate dall’export.

La richiesta di compensazioni di Orsini si inserisce in un dibattito più ampio a livello europeo sulla necessità di politiche industriali più incisive per sostenere la competitività delle aziende europee di fronte alle attuali sfide commerciali globali.

L’allarme di Confindustria trova conferma nell’ultimo bollettino di Bankitalia, che evidenzia come il quadro internazionale sia “gravato da una perdurante instabilità politica e dai conflitti in corso“. “Una grande incertezza continua a caratterizzare le politiche commerciali, alimentata da una sequenza di annunci, sospensioni e contenziosi, nonché dall’imprevedibilità degli esiti dei negoziati tra gli Stati Uniti e i principali partner commerciali”, sottolinea Palazzo Koch.

Particolarmente significativo il dato sul primo trimestre 2025: per la prima volta in tre anni si è contratto il Pil negli Stati Uniti, a riprova dei rischi per l’economia americana richiamati dagli esperti nel contesto della politica protezionista della Casa Bianca. Bisogna sottolineare, tuttavia, che questa accelerazione dell’import è “destinata ad essere provvisoria”, come spiega ancora Bankitalia: “L’anticipo degli acquisti dall’estero in vista dell’entrata in vigore di nuovi più alti dazi, poi annunciati il 2 aprile, ha generato un marcato aumento delle importazioni“.

Le conseguenze a livello globale

Gli analisti economici sottolineano che l’incertezza commerciale sta già producendo effetti negativi sull’economia globale. Le aziende multinazionali stanno posticipando investimenti e decisioni strategiche, mentre i mercati finanziari mostrano crescente volatilità in correlazione con gli annunci di politica commerciale, come sottolineato anche dal giornalista e scrittore americano Alan Friedman ai nostri microfoni.

Il fenomeno dell’anticipazione degli acquisti osservato negli Stati Uniti nel primo trimestre 2025 rappresenta un esempio di come le aspettative sui dazi possano distorcere i normali flussi commerciali, creando inefficienze e instabilità nei mercati globali.

Negoziati fino all’ultimo istante?

Mentre Bruxelles aspetta novità da Washington, la strategia europea appare orientata a sfruttare ogni margine di manovra diplomatica disponibile, consapevole di “non poter fare a meno del mercato americano“, come sottolineato a maggio dall’ex presidente della Bce, Mario Draghi:  “Quasi un quinto del nostro valore aggiunto totale proviene dalle esportazioni, il doppio rispetto agli Stati Uniti. Oltre 30 milioni di posti di lavoro sono sostenuti dalle esportazioni, pari a circa il 15% dell’occupazione”. 
Questa apertura, “aumenta notevolmente l’esposizione della nostra crescita e occupazione alle azioni politiche dei nostri partner commerciali e ai cicli politici che hanno origine al di fuori dell’Europa. E la nostra principale esposizione è verso gli Stati Uniti“, ha ricordato a maggio l’ex presidente della Bce.