I nuovi dazi su acciaio e alluminio promessi da Trump rappresentano una sfida significativa per l’industria siderurgica e metallurgica europea, in particolare per quella italiana, che rischia di perdere competitività a causa dell’aumento dei costi di esportazione. L’Unione Europea si trova ora di fronte a una scelta strategica: rispondere con contromisure economiche e diplomatiche o cercare un compromesso per evitare un’escalation protezionistica con gli Stati Uniti.
La professoressa Luisa Corrado, ordinaria di economia all’Università Tor Vergata, analizza con Eurofocus il contesto geopolitico e le possibili risposte europee. Sottolinea l’importanza di diversificare i mercati, investire in settori a maggiore valore aggiunto e utilizzare strumenti diplomatici per ridurre l’impatto delle misure protezionistiche statunitensi.
I dazi a tappeto su acciaio e alluminio entreranno in vigore a marzo. Qual è l’impatto sull’economia europea e italiana? Quali le (eventuali) soluzioni?
Penalizzerebbero soprattutto l’industria italiana, riducendone la competitività e influenzando l’occupazione e il commercio. L’Ue dispone di diversi strumenti di risposta: ricorsi al Wto, misure di ritorsione, trattative per esenzioni e nuovi accordi di libero scambio.
Le imprese italiane ed europee possono ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti, rafforzando le esportazioni verso mercati alternativi. In questo contesto, risultano fondamentali gli accordi di libero scambio già siglati dall’Ue con Paesi terzi, così come gli investimenti in metalli e semilavorati di fascia alta, come acciai speciali e alluminio aerospaziale, dove la competizione è più tecnologica che basata sul prezzo. Riorganizzare le catene di fornitura, riducendo costi e aumentando efficienza, è altrettanto strategico. Gli Stati membri e l’Unione, da parte loro, potrebbero fornire supporto finanziario alle filiere più colpite, offrendo prestiti agevolati o altri incentivi specifici, come ammortizzatori sociali e forme di assistenza per l’internazionalizzazione.
In aggiunta, la diplomazia commerciale offre l’opportunità di negoziare esenzioni su alcuni settori strategici o di stabilire quote di importazione sotto le quali i dazi non si applicano. Un esempio pratico di esenzioni settoriali si è visto durante l’imposizione dei dazi americani su acciaio e alluminio nel 2018. Dopo l’annuncio iniziale di tariffe generali, gli Stati Uniti hanno trattato con diversi Paesi per esentare temporaneamente alcuni prodotti di nicchia o specifiche categorie di acciaio considerate essenziali per il mercato statunitense (come certi acciai ad alta resistenza utilizzati nell’industria aerospaziale), evitando che le tariffe gravassero sull’intero settore. Queste esenzioni miravano a proteggere filiere o settori altamente strategici sia per i Paesi esportatori che per l’economia americana.
Possibile che la minaccia dei dazi sia una tattica negoziale (come visto nel caso di Canada e Messico)? O l’America di Trump sembra intenzionata a trattare queste industrie in maniera diversa?
L’amministrazione Trump ha spesso usato l’annuncio di dazi come strumento di pressione nelle trattative negoziali su vari fronti, commerciali e non. Recentemente, ha annunciato l’introduzione di dazi del 25% sulle importazioni da Canada e Messico, con entrata in vigore dal 1º febbraio 2025. Queste misure sono state giustificate come risposta al presunto coinvolgimento nell’immigrazione illegale verso gli Stati Uniti. Già nel 2018 Canada e Messico, durante la prima amministrazione Trump, erano stati inizialmente colpiti dai dazi su acciaio e alluminio ma successivamente esentati in cambio di concessioni vantaggiose per gli Stati Uniti. Questo approccio riflette una strategia negoziale in cui i dazi fungono da leva per ottenere cambiamenti nei comportamenti commerciali dei partners. Se le concessioni ottenute non vengono ritenute sufficienti, i dazi vengono mantenuti o addirittura inaspriti.
A tal proposito, la saga relativa a Nippon Steel influisce sulle scelte della Casa Bianca? Come?
La vicenda di Nippon Steel è un caso emblematico che la Casa Bianca potrebbe sfruttare per giustificare il proprio approccio protezionistico sui dazi sull’acciaio. Il colosso giapponese è da tempo nel mirino di chi, negli Stati Uniti, sostiene che le grandi aziende straniere – in particolare quelle asiatiche – beneficino di vantaggi competitivi considerati sleali o distorsivi per il mercato americano. Sul piano tecnologico, Nippon Steel si distingue per la produzione di acciai speciali e ad alta resistenza, utilizzati in settori avanzati come automotive, elettronica, aerospazio e cantieristica navale. Grazie a ingenti investimenti in ricerca e sviluppo e a una lunga tradizione di qualità, l’azienda è diventata un punto di riferimento nel settore, con un elevato numero di brevetti e innovazioni. A livello strategico, la compagnia ha una presenza globale con impianti produttivi e uffici commerciali in diverse regioni del mondo, collaborando sia con aziende giapponesi che internazionali.
Tuttavia, questa espansione ha portato anche a controversie commerciali, in particolare con gli Stati Uniti, dove la competizione giapponese (e più in generale asiatica) è spesso vista con diffidenza.
In particolare, in contesti politici che attribuiscono grande rilevanza alla salvaguardia dell’industria locale – come nel caso delle amministrazioni americane più protezionistiche – la presenza di grandi gruppi stranieri con elevate quote di mercato è talvolta interpretata come concorrenza sleale, generando tensioni e controversie davanti agli organismi internazionali, oltre a pressioni per l’imposizione di barriere tariffarie.
Di conseguenza, il governo americano tende a menzionare le dispute con Nippon Steel (o con altre società similari) per rafforzare la narrazione secondo cui i produttori esteri, in particolare in Asia, mettono sotto pressione i prezzi e minacciano la sopravvivenza dei produttori locali, non dovendo seguire le stesse regole. Questo contribuisce ad alimentare la convinzione che i dazi siano uno strumento legittimo per riequilibrare il mercato e tutelare occupazione e investimenti statunitensi.
Si aspetta che l’Ue reagisca con contro-tariffe o che adotti una strategia di appeasement? Quale ritiene più efficace?
La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha dichiarato che i dazi ingiustificati annunciati dall’amministrazione Trump contro l’UE non rimarranno senza risposta e scateneranno contromisure ferme e proporzionate per salvaguardare i nostri lavoratori, aziende e consumatori.
In passato, l’Unione Europea ha mostrato una preferenza, almeno inizialmente, per la via negoziale al fine di prevenire un’escalation di guerre commerciali. Tuttavia, quando nel 2018 i dazi statunitensi su acciaio e alluminio divennero effettivi, Bruxelles rispose in modo abbastanza rapido con misure di ritorsione specifiche nei medesimi settori. Questa doppia strategia, da un lato la diplomazia e dall’altro una reazione speculare, rappresenta la sintesi del modus operandi europeo: da una parte si cerca di alleviare la tensione tramite canali diplomatici (attraverso negoziati o ricorsi al Wto), dall’altra si dimostra determinazione con ritorsioni proporzionali nel caso in cui il dialogo non porti a risultati. Quanto all’efficacia, molto dipende dal contesto e dalla posizione politica della controparte.
Se gli Stati Uniti sono decisi a utilizzare i dazi come strumento di pressione e non lasciano spazio per trattative, una risposta determinata può impedire che l’Ue appaia debole, dissuadendo ulteriori azioni unilaterali. Questo è stato uno degli obiettivi nel 2018, ad esempio, dei dazi sull’importazione di prodotti simbolo di alcuni Stati americani, selezionati per colpire specifiche sensibilità politiche, come nel caso delle motociclette Harley-Davidson – simbolo del Wisconsin. D’altro canto, un approccio troppo aggressivo potrebbe innescare una spirale che compromette entrambe le economie, specialmente se l’escalation si allarga oltre il settore siderurgico, generando potenziali spirali inflazionistiche.
Ue e Usa avevano raggiunto un accordo per sospendere le tariffe su acciaio e alluminio in vista di un futuro accordo su una coalizione per l’acciaio e l’alluminio sostenibili, in chiave anti-dumping cinese (Gassa). Ritiene che l’amministrazione Trump sia interessata a portare avanti questa strategia o pensa che possa prevalere l’isolazionismo?
Nel periodo dell’amministrazione Biden si era instaurato un canale di comunicazione tra Stati Uniti e Unione Europea per eliminare i dazi su acciaio e alluminio (introdotti da Trump nel 2018) e iniziare un percorso comune verso un accordo globale focalizzato su standard ambientali più sostenibili e la lotta contro il dumping cinese, ossia la pratica di vendere acciaio e alluminio a prezzi inferiori ai costi di produzione, che distorce i mercati internazionali e crea pressioni sulle industrie europee e americane. L’obiettivo era che una solida cooperazione transatlantica, basata su valori condivisi e regole comuni, avrebbe reso difficile la posizione di Pechino senza arrecare danni reciproci alle economie di Ue e Usa.
Il ritorno a un approccio protezionista da parte dell’amministrazione Trump potrebbe mettere in discussione i progressi fatti nella cooperazione commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea. Durante il suo primo mandato, Trump ha privilegiato una politica di barriere tariffarie e dazi generalizzati, piuttosto che la costruzione di alleanze strutturate contro la Cina. La sua strategia si basava su una visione fortemente nazionalista e bilaterale, in linea con il principio di “America First”, mirando a negoziare accordi vantaggiosi per gli Stati Uniti senza vincolarsi a partnership multilaterali a lungo termine.
Se l’amministrazione Trump riprendesse questa impostazione, è probabile che l’accordo sulla filiera siderurgica sostenibile con l’Ue venga accantonato, a favore di un approccio più unilaterale. Tuttavia, resta il nodo della Cina, che continua a essere percepita come un nemico commerciale comune. Questo potrebbe generare un’incertezza strategica: da un lato, gli Stati Uniti potrebbero utilizzare il dialogo con Bruxelles per aumentare la pressione su Pechino e ridurre il dumping cinese; dall’altro, Trump potrebbe ritenere più efficace una politica isolazionista, basata su pressioni dirette su singoli partner commerciali piuttosto che sulla creazione di un fronte comune con l’Ue. Visti i precedenti, è plausibile che la seconda opzione prevalga.
A meno di un’inversione di tendenza, la politica “America First” rischia di ostacolare gli sforzi per un patto transatlantico sull’acciaio e alluminio sostenibili, lasciando l’Unione Europea a dover gestire la concorrenza cinese con strumenti propri, senza un sostegno coordinato da parte di Washington.