Dark MAGA e Project 25: con Trump verso un’America più autoritaria?

4 settimane fa
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Musk
Elon Musk - Comizio Butler (Stanislav Kogiku/SOPA Images/Shutterstock/IPA/Fotogramma)

Il testa a testa Trump-Harris non c’è stato: il tycoon ha vinto largamente e ha agguantato la sua seconda presidenza degli Usa, mentre i repubblicani hanno conquistato sia il Senato e la Camera per le quali pure si votava. I giochi dunque sono fatti. Ma allo stesso tempo sono da fare. Anche per l’Europa, che ha seguito con particolare ansia la campagna elettorale e il voto. Una delle grandi domande circolate nelle ultime due settimane, e ancora di più ora, è se Trump agirà in modo (più o meno razionale) o se proseguirà la sua retorica razzista, misogina, anti immigrati e ostile all’Europa, al grido di ‘MAGA: Make America Great Again’? C’è davvero un rischio ‘democratura’ per gli Stati Uniti, intendendo l’instaurarsi oltre Atlantico di un regime politico formalmente democratico, ma sostanzialmente autoritario?

Proprio da Maga possiamo partire per capire una serie di inquietudini che serpeggiano tra chi lo osteggia – anche da questa parte dell’Atlantico -, e una certa esaltazione tra chi lo sostiene. Primo fra questi ultimi il magnate Elon Musk, che dopo aver parteggiato in passato per i democratici, è diventato il fan numero uno del candidato repubblicano.

Un mesetto fa è stato Musk a riportare in auge Maga, sdoganandolo nella sua versione ‘oscura’: il Dark Maga. In un comizio tenutosi a Butler (peraltro teatro, lo scorso 13 luglio, del tentato omicidio di Trump) il magnate si è presentato sul palco con una sua versione del cappello da baseball rosso con la scritta ‘Maga’ spesso sfoggiato dall’ex presidente: un cappellino nero con la scritta Dark MAGA. Indicandolo, Musk ha chiarito: “Come vedete, non sono un MAGA, sono un Dark MAGA!

E Trump sembra aver fatto sua la cosa: la scorsa settimana è arrivato a un comizio a Traverse City, in Michigan, indossando il solito berretto con la scritta dorata ‘Make America Great Again’, ma stavolta nero, invece che rosso.

Cos’è il Dark Maga

Il Dark Maga è una versione ‘oscura’, ovvero più radicale e cospirazionista del concetto trumpista di rendere l’America di nuovo grande. Il ‘movimento’, anche se non ha una vera struttura né una vera organizzazione, affonda le radici nelle correnti alt-right che chiedono all’ex presidente di portare avanti una versione più autoritaria degli ideali dell’estrema destra americana.

Gli Stati Uniti, tuona lo stesso Trump, non sono più ‘grandi’ per colpa della sinistra, che ha compromesso il benessere economico e sociale dei cittadini. Ecco perché, sostiene il Dark Maga, il miliardario doveva tornare al potere, anche con la forza e la violenza se necessario: il suo primo mandato è stato troppo delicato e morbido verso i detrattori; quindi, ora Trump deve “abbracciare il ruolo del cattivo”. Pochi dubbi su chi siano i nemici: i democratici ma anche la comunità Lgbtqia+, gli immigrati e le altre minoranze.

Questa sorta di ideologia è veicolata da un’estetica specifica e ben caratterizzata, che combina meme e immagini d’impatto con la retorica trumpista e con rimandi ai gruppi terroristici neonazisti.

Colori saturi e al neon, estetica pop anni ’80 e ’90, narrazioni e simboli neonazisti e accelerazionisti (‘filosofia’ che punta ad andare oltre il capitalismo spingendo su ciò che lo caratterizza), rimandi alle armi, tanto nero, oro, rosso e bianco: il tutto a servizio di messaggi radicali e distopici.

Per fare un esempio di meme ‘tipico’: Trump stile ‘Terminator’ con gli occhi laser e armato, pronto a ristabilire valori quali il suprematismo bianco e appunto la grandezza americana.

Il tutto sembra alquanto ridicolo e campato in aria, ma in realtà è molto serio. Queste immagini così estreme e caricate finiscono per perdere la loro carica di pericolosità e, facendo finta di essere innocue, riescono a fare breccia a livello di grande pubblico.

E qui il movimento conquista il suo primo obiettivo: uscire dalla nicchia dei forum e dei social on line, tra complottisti e agitatori, per entrare nel mainstream travestendosi da agnello, attraverso immagini apparentemente assurde, ridicole ed esagerate. In questo modo si fanno arrivare al vasto pubblico opinioni e pensatori di matrice fascista, neonazista e ultraradicali, apparentemente depotenziati.

A tal proposito, un interessante articolo di Tim Squirrell su Institute for Strategic Dialogue già nel 2022 sottolineava la responsabilità dei media, che contribuiscono a far circolare e normalizzare posizioni estremiste. Ma nel 2024, va anche notato che un mentre fino a poco tempo fa Dark MAGA non era stato pubblicamente appoggiato da Trump, l’endorsement di Musk al comizio di Butler e quello da parte di Trump stesso la scorsa settimana dimostrano che il candidato presidente sta strizzando l’occhio ai suoi sostenitori più radicali, e che di fatto Dark Maga può crescere di dimensione e consenso e spingersi nella vita reale. E a chi liquida la cosa come un mucchio di nerd con problemi, basta ricordare due parole: Capitol Hill, e l’assalto al governo Usa.

Insomma, Musk che sdogana con orgoglio la propria appartenenza al Dark Maga e Trump che lo lascia intendere sono già una normalizzazione mainstream del fenomeno.

Un’agenda concreta: Project 25 e The Heritage Foundation

Tuttavia, senza arrivare agli estremismi più radicali, nelle ultime settimane c’è anche qualcos’altro di molto concreto di cui si è parlato, anche in Europa.

Si chiama Project 25 ed è un documento di 922 pagine stilato da uno dei più importanti think tank americani conservatori, The Heritage Foundation, insieme a circa 100 organizzazioni conservatrici. Si tratta di una sorta di ‘manuale’ con indicazioni dettagliate sulla via che dovrebbe seguire un nuovo presidente Usa repubblicano per riparare ai danni fatti dalla ‘sinistra radicale’ (così definita) e creare una ‘nuova America’.

Già, perché il piano, spiega la Fondazione, si rivolge a qualunque presidente americano. Ma anche se non cucito su misura per Trump, il documento sembra comunque calzargli a pennello. Questo nonostante Trump, fin dallo scorso luglio, abbia preso la distanza dal manuale, scrivendo sulla sua piattaforma Truth Social: “Non so nulla del Progetto 2025. Non ho idea di chi ci sia dietro. Non sono d’accordo con alcune delle cose che dicono e alcune delle cose che dicono sono assolutamente ridicole e abominevoli”.

E se da una parte è cosa comune che i think tank statunitensi di ogni orientamento politico propongano agende e misure ai candidati alla presidenza, nel 2018, dopo due anni del primo mandato Trump, la stessa Heritage Foundation ha affermato che il 64% delle sue raccomandazioni erano state realizzate dall’amministrazione in corso. Qualche esempio: l’abbandono degli Accordi di Parigi sul clima, l’aumento della spesa militare, l’aumento delle trivellazioni offshore. CBS News ha fatto un controllo capillare identificando almeno 270 proposte del Project 2025 che corrispondono alle politiche passate di Trump e alle sue attuali promesse.

Altro elemento di contatto, moltissimi ex dipendenti dell’amministrazione Trump hanno lavorato al Project 2025: da Paul Dans, ex capo dello staff presso l’ufficio per la gestione del personale durante la presidenza del tycoon, direttore del progetto Transizione Presidenziale 2025 (ma avrebbe lasciato Heritage ad agosto) a Spencer Chretien, ex assistente speciale di Trump e ora direttore associato del progetto.

Il Progetto dispone anche di un budget di 22 milioni di dollari, da devolvere al presidente che deciderà di implementare l’agenda proposta dalla Fondazione.

Guardiamo più da vicino di cosa si tratta, allora.

L’Heritage Foundation è stata fondata nel 1973, il suo primo ‘Project’ risale al 1981, quindi all’amministrazione di Ronald Reagan per il quale aveva redatto un manuale politico di oltre tremila pagine dal titolo: “Mandate for leadership”.

La missione dell’Heritage Foundation è chiaramente espressa sul loro sito, ed è “quella di formulare e promuovere politiche pubbliche basate sui principi della libera impresa, del governo limitato, della libertà individuale, dei valori tradizionali americani e di una forte difesa nazionale”. Quattro i pilastri dichiarati per raggiungere questi obiettivi:

• un’agenda politica per la prossima amministrazione presidenziale
• un database di selezione del personale che potrebbe far parte della prossima amministrazione
• un programma formativo denominato “Presidential Administration Academy”
• un manuale di azioni operative da intraprendere entro i primi 180 giorni di mandato.

Cosa prevede Project 25 e perché è considerato ‘pericoloso’

Lanciato nell’aprile 2023, il piano ‘Mandate for Leadership – The Conservative Promise’ prevede un accentramento importante di poteri nelle mani del presidente Usa, portando sotto il suo diretto controllo l’intero ramo esecutivo dello stato federale, secondo la controversa “teoria dell’esecutivo unitario”. Da qui le critiche e le accuse di pericolosità e di voler realizzare un programma autoritario.

Ecco in sintesi alcune delle misure contenute nel manuale.

I dipartimenti (i ‘ministeri’ Usa), le agenzie per la sicurezza e altri enti federali non sarebbero più indipendenti. Ad esempio, il Dipartimento di Giustizia e l’Fbi dovrebbero passare sotto l’autorità del presidente.
• Il Dipartimento dell’Educazione verrebbe chiuso e nelle scuole non si potrebbero più usare termini come “orientamento sessuale”, “identità di genere”, “aborto” e “diritti riproduttivi”. Inoltre, i genitori avrebbero più potere degli insegnanti, nell’ottica di combattere l’ideologia “woke”.
• I programmi per la promozione e la difesa dei diritti LGBT+ e della diversità di genere dovrebbero essere revocati nelle scuole e nel governo.
• Il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani dovrebbe “mantenere una definizione di matrimonio e famiglia basata sulla Bibbia” e affermare “con orgoglio che uomini e donne sono realtà biologiche” e che “uomini e donne sposati sono la struttura familiare ideale e naturale perché tutti i bambini hanno il diritto di essere cresciuti dagli uomini e dalle donne che li hanno concepiti”.
I dipendenti pubblici dovrebbero essere schedati e scelti, grazie anche all’AI, in base alla fedeltà ai valori espressi dal Progetto. Al primo mandato Trump l’Heritage aveva fornito quasi 70 dipendenti, e attualmente ha preparato un database di oltre 10mila nomi.
• L’immigrazione sarebbe limitata, con l’aumento delle tasse per gli immigrati e l’eliminazione dei visti per le vittime della tratta di esseri umani. Per i clandestini è prevista la deportazione, e su questo va ricordato che Trump promette il “più grande programma di deportazioni nella storia americana“. Il policy book raccomanda di terminare il muro al confine con il Messico e di potenziare la polizia di frontiera.
• L’aborto non sarebbe vietato a livello nazionale, ma l’agenda chiede alla Food and Drug Administration di revocare la sua approvazione alla pillola abortiva mifepristone, diffusissima, e prevede restrizioni all’accesso. Il progetto prevede anche una maggiore attività dei gruppi pro-life e di vietare la pornografia.
Il sistema sanitario sarebbe sempre più privato, lo stesso vale per il welfare
• Partendo dalla negazione dei cambiamenti climatici, agenzie federali ‘colpevoli’ di diffondere allarmismi verranno smembrate. Quella dell’allarmismo infatti sarebbe “un’industria”, “dannosa per la futura prosperità degli Stati Uniti“, così come sono ritenuti dannosi gli accordi sul cambiamento climatico. Il documento chiede di “fermare la guerra al petrolio e al gas naturale”.
• In campo economico, tra le proposte ci sono riduzioni fiscali per le imprese e i redditi, abolizione della Federal Reserve, possibilità di un ritorno alla convertibilità del dollaro in oro.
• Il manuale arriva a chiedere di eliminare o riformare le linee guida dietetiche governative, in quanto – si sostiene – influenzate da temi come il cambiamento climatico e la sostenibilità. Allo stesso modo, si raccomanda l’abbandono da parte del futuro governo della promozione della salute pubblica per bambini e adulti.

The Heritage Foundation e l’Europa: Italia e Ungheria

Le idee non hanno confini, e quelle dell’Heritage Foundation trovano in Europa terreno fertile per attecchire. Due Paesi su tutti. Il primo è l’Ungheria: l’Heritage Foundation è stata ospite del Danube Institute, un think tank vicino al premier Viktor Orbán, il quale a sua volta durante un suo viaggio ha visitato la Fondazione e al contempo snobbato il presidente Biden.

Il secondo Paese: l’Italia. L’Heritage Foundation si è espresso favorevolmente nei confronti del governo Meloni. E Francesco Giubilei, presidente di Nazione Futura, noto think tank italiano conservatore, ha incontrato più volte gli esponenti della Fondazione proclamando la vicinanza delle idee tra le due organizzazioni.

Un esempio di tale vicinanza è un incontro organizzato lo scorso 17 ottobre presso la Camera dei deputati: un evento dal titolo: “Collaborazione strategica, Italia e Usa dopo le elezioni di novembre“, organizzato congiuntamente da Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli, Heritage Foundation e Nazione Futura, in collaborazione col Dipartimento Esteri della Lega Salvini Premier.

Lo shock Trump potrebbe avere effetti benefici

Mentre la maggioranza dell’Europa faceva il tifo per Kamala Harris, e qualcuno no – citofonare Orban – ci sono anche voci secondo cui ‘non tutto il Trump viene per nuocere’. Secondo alcuni funzionari sentiti da Politico, la vittoria del miliardario potrebbe essere la sveglia che ci vuole al blocco. Infatti una presidenza che si preannuncia ostile all’Europa, o nella migliore delle ipotesi di indifferenza, obbliga i Ventisette a superare le divisioni e a “prendersi la responsabilità di se stesso”, come ha spiegato la scorsa settimana il ministro francese per l’Europa Benjamin Haddad alla televisione francese: a prescindere dall’esito delle elezioni del 5 novembre, quindi anche se avesse vinto Harris, “gli europei devono prendere in mano il proprio destino”.

In particolare, nel campo della difesa, è ora che l’Unione si regga sulle proprie gambe, e Trump potrebbe essere lo shock che avvierebbe, volenti o nolenti, un processo in tal senso. Trump infatti non intende sostenere oltre l’Ucraina e minaccia di portare gli Usa fuori dalla Nato, costringendo l’Europa a ripensare se stessa.

Allo stesso modo, il tycoon potrebbe essere un alleato nella ‘guerra’ contro la Cina. Se da una parte l’Europa rischia di trovarsi a combattere su due fronti, Pechino e Washington, calcolando che Trump ha tutte l’intenzione di inasprire i dazi anche con il Vecchio Continente (l’ha già fatto nel suo primo mandato), dall’altra il blocco potrebbe a sua volta puntare sul protezionismo, strategia apprezzata in Francia. La stessa von der Leyen vorrebbe un approccio più duro verso la Cina ma si è scontrata finora con la resistenza di alcuni Stati membri, vedi la Germania, e l’elezione di Trump potrebbe farle gioco.

Lo stesso ruolo di ‘sveglia’ il tycoon potrebbe averlo in campo tecnologico o nella creazione di un mercato unico: un’Usa ostile obbligherebbe l’Ue a darsi una mossa e obbligarla a implementare il Rapporto Draghi e quello Letta. Idem per il clima: il sostegno di Trump alla fonti fossili e i suoi passi indietro nella strategia climatica a stelle e strisce potrebbero spingere gli altri attori internazionali, in primis l’Ue, a impegnarsi maggiormente in questo campo.

In definitiva, anche se gli occhi europei sono puntati sugli Stati Uniti, il futuro dell’Europa “dipende prima di tutto da noi”, ha postato ancor prima del voto Usa su X il premier polacco Donald Tusk. È tempo, ha aggiunto, che “l’Europa finalmente cresca e creda nelle proprie forze. Qualunque sia il risultato, l’era dell’esternalizzazione geopolitica è finita“.

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