Crediti Natura, l’Ue presenta il piano: “Senza adattamento, sarà come avere una crisi Covid ogni due anni”

La Commissione europea ha lanciato oggi una “Roadmap verso i Nature Credit", l'unico strumento capace di mettere d'accordo aziende e clima
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La commissaria Ue all'ambiente Jessika Roswall cammina
La commissaria Ue all'ambiente Jessika Roswall (Afp)

Forse c’è ancora una speranza per il clima. Oggi, la Commissione europea ha lanciato oggi una “Roadmap verso i Crediti natura” per incentivare gli investimenti privati in azioni che “proteggono e preservano la natura e premiare coloro che intraprendono tali azioni e vi investono”.

La Commissaria europea per l’Ambiente e la presidente della Commissione hanno annunciato il piano portando dei numeri concreti: “Sappiamo che questo modello può funzionare, perché ne abbiamo le prove. Vent’anni fa l’Unione europea ha creato un mercato del carbonio efficace. La logica è semplice: se ci si ostina a inquinare, si deve pagare; se non si vuole pagare, bisogna innovarsi. Si tratta di uno strumento efficiente, orientato al mercato, che incentiva il settore privato verso l’innovazione. E ha funzionato! In questi due decenni le emissioni di gas a effetto serra in Europa sono diminuite di quasi il 50% e l’economia è cresciuta.
Il prezzo che abbiamo fissato per il carbonio ha permesso di raccogliere 180 miliardi di euro, che sono ora reinvestiti in progetti in materia di clima e innovazione”, scrivono Jessika Roswall e Ursula von der Leyen nel Joint op-ed pubblicato ieri, 6 luglio, su Il Sole 24 Ore.

Il messaggio è chiaro: la produttività economica e la salute dell’ambiente vanno di pari passo. Proclami a parte, però, negli ultimi mesi Bruxelles ha smontato il Green Deal pezzo dopo pezzo, attirando le critiche dei Verdi e dei cittadini che credevano nell’Europa come baluardo della sostenibilità ambientale. In questo contesto, i crediti per la biodiversità rappresentano uno dei pochi strumenti per conciliare le parti e realizzare delle politiche ambientali meno ambiziose ma concrete.

Crediti biodiversità, quanto costa la crisi climatica sulle imprese europee?

Un cambio di passo è necessario se si considera che tre quarti delle imprese dell’eurozona dipendono direttamente dalla natura “per le materie prime, come il legno, il cotone e i prodotti agricoli; per i servizi ecosistemici, come i microbi e gli organismi responsabili della decomposizione grazie ai quali i terreni agricoli rimangono fertili; per la protezione dai fenomeni meteorologici estremi, grazie a coste e pianure alluvionali che proteggono infrastrutture preziose”, come si legge nell’articolo scritto a quattro mani da Roswall e von der Leyen. Un dato che trasforma radicalmente la prospettiva sugli investimenti ambientali, non più visti come un costo ma come una necessità strategica per la competitività del continente.

La Commissaria europea per l’ambiente aveva annunciato i Nature Credits già due mesi fa a Berlino, in occasione del Global Solution Summit 2025 dove Roswall ha ribadito l’impegno dell’Unione Europea a collaborare con agricoltori, imprese, banche e società civile per affrontare la crisi ambientale attraverso meccanismi di mercato innovativi.

L’idea, lanciata inizialmente da von der Leyen durante la Nature Conference di Monaco (settembre 2024), si ispira al sistema di scambio delle quote di emissione (Ets) e punta a monetizzare i benefici derivanti dalla protezione e dal ripristino della natura. Il meccanismo è semplice: aziende, istituti finanziari ed enti pubblici investono in progetti di tutela della natura e in cambio ottengono benefici tangibili come ecosistemi più puliti, riduzione dei rischi operativi e miglioramento della reputazione aziendale.

“Il rischio climatico – ricordano Roswall e von der Leyen – ha provocato un aumento vertiginoso dei premi assicurativi. Le inondazioni hanno perturbato le catene di approvvigionamento e danneggiato le infrastrutture critiche. Il calo delle popolazioni di impollinatori ha danneggiato la produzione agricola. Secondo una ricerca del Forum economico mondiale, i rischi climatici potrebbero costare alle imprese che non riescono a adattarsi fino al 7% dei ricavi annuali nel prossimo decennio, con un effetto pari più o meno a quello di una pandemia di Covid-19 ogni due anni“. Una situazione insostenibile per le aziende.

Giova ricordare che in Italia le aziende avranno l’obbligo di sottoscrivere la polizza catastrofale per gli eventi climatici estremi. Inizialmente fissato al 1°aprile dal decreto Milleproroghe 2025, l’obbligo scatterà:

  • il 1° ottobre 2025 per le medie imprese;
  • il 1° gennaio 2026 per le piccole e micro imprese.

Alcune aziende o per alcuni beni l’assicurazione non sarà obbligatoria, come spiegato nelle Faq del Ministero delle Imprese e del Made in Italy. Per le grandi aziende, l’obbligo è scattato il 31 marzo 2025, con un periodo transitorio di 90 giorni per permettere l’adeguamento. 

Il paradosso europeo: leader nelle intenzioni, in ritardo nell’esecuzione

La strategia europea per la transizione verde presenta alcune contraddizioni evidenti. Come sottolineato nel Rapporto Draghi sulla competitività, l’Europa eccelle nelle ambizioni ma fatica nell’implementazione. Il Green Deal, lanciato nel 2019 con l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, ha prodotto un impressionante corpus legislativo ma si scontra con la realtà. Le elezioni europee di giugno 2024 hanno rafforzato il fronte dell’ultradestra e, per poter ottenere il secondo mandato, von der Leyen è dovuta scendere a compromessi con queste forze che considerano le politiche green una minaccia alla competitività delle imprese europee. Anche il suo partito, il Ppe, ha aumentato la pressione sul Green Deal, ottenendo una proroga di due anni sulla rendicontazione non finanziaria.

Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca ha ulteriormente complicato il cammino europeo verso la concreta adozione di politiche green: la guerra commerciale Usa ha rimesso la produttività (di breve termine) in cima alle priorità dell’Ue soppiantando la sostenibilità ambientale. Persino Paesi come Francia e Germania hanno chiesto a Bruxelles di cancellare gradualmente il Green Deal.

La seconda Commissione von der Leyen ha dovuto riconoscere questa criticità, tanto da proporre all’inizio del 2025 una “Direttiva Omnibus” per semplificare e rinviare alcune disposizioni che rischiavano di soffocare le imprese. Importanti decisioni sono arrivate anche per le aziende dell’automotive, che potranno essere multate per emissioni eccessive solo a partire dal 2027 e non più da quest’anno.

Nel primo trimestre del 2025, per la prima volta il continente ha registrato deflussi netti dai prodotti finanziari Esg, segnale di una crescente sfiducia degli investitori verso un mercato appesantito da eccessive complessità normative.

Intanto, il pianeta continua a bruciare e l’Europa è, per motivi geografici, la regione più colpita dal surriscaldamento globale. Smantellare del tutto le politiche green significherebbe consegnare le aziende al fallimento. Lo scrivono Roswall e von der Leyen nel loro Joint op-ed, lo ribadisce Virginia Castellucci ai microfoni di Prometeo 360.

L’investimento verde come opportunità economica

Il quadro finanziario dell’Ue per il periodo 2021-2027 destina il 30% del budget totale – circa 322 miliardi di euro – ad azioni legate al clima. A questi si aggiungono i 750 miliardi del Next Generation EU, con almeno il 37% dedicato all’azione climatica. Cifre che dimostrano come l’Europa abbia compreso che la transizione verde non è solo una necessità ambientale ma un’opportunità di crescita economica.

I Crediti natura si inseriscono in questa logica, offrendo nuove opportunità di reddito per agricoltori, silvicoltori, pescatori e comunità locali. Il meccanismo prevede che le azioni positive per la natura vengano valutate e certificate da organizzazioni indipendenti, garantendo credibilità agli investitori e trasparenza nel processo.

“Perché i crediti natura funzionino, abbiamo bisogno di un sistema di misurazione rigoroso e di metodologie valide per valutarne i risultati. Abbiamo bisogno di solide strutture di governance e di un accesso equo per gli attori locali. Abbiamo bisogno di prevedibilità per attrarre gli investitori locali. Abbiamo bisogno di sistemi di verifica e di una reale trasparenza per evitare il greenwashing. E dobbiamo evitare oneri amministrativi pesanti, facendo in modo che partecipare sia facile e attraente”, scrivono Roswall e von der Leyen che certificano con i numeri le prospettive dei Nature Credits: “La domanda di crediti natura è in crescita nell’Ue e a livello mondiale […] Secondo il Forum economico mondiale, la domanda globale di crediti natura potrebbe raggiungere i 180 miliardi di dollari entro il 2050. La gamma di potenziali acquirenti è ampia, perché la prospettiva è attraente”.

L’Europa, l’ambiente e la Cina

Come sottolineato dall’ex presidente della Bce, Mario Draghi, senza un cambio di passo nella velocità e nell’efficacia dell’implementazione, l’Europa continuerà a perdere terreno. La sfida è trasformare le buone intenzioni in risultati concreti, sostituendo la stratificazione normativa con investimenti strategici diretti. Occorrono politiche che bilancino gli interessi immediati delle imprese e la sostenibilità ambientale, puntando sulla sinergia di questi aspetti. Un equilibrio difficile da trovare, ma indispensabile soprattutto in questo contesto storico caratterizzato dalla guerra commerciale e dal multilateralismo economico. I Crediti natura rappresentano un primo passo in questa direzione, ma non basta la tattica, occorre una strategia chiara e condivisa dalle aziende e dalle forze politiche.

Intanto, Stati Uniti e Cina stanno rafforzando le loro basi produttive. Pechino, in particolare, sta trasformando la sostenibilità ambientale da necessità a vantaggio competitivo. L’Europa deve fare altrettanto, se non vuole diventare irrilevante nel panorama mondiale.

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