Usare o non usare gli asset russi congelati dall’Unione europea? E come? Questo è il dilemma. Nel 2022, dopo l’aggressione all’Ucraina, l’Ue ha immobilizzato le attività finanziarie russe, principalmente della Banca Centrale Russa, nell’ambito delle sanzioni che ha messo in campo contro la Federazione. Si tratta di risorse ingenti, oltre 200 miliardi di euro, attualmente detenute dall’istituto finanziario Euroclear, che ha sede a Bruxelles. La Russia ne resta proprietaria, ma non può esercitare diritti su quegli asset.
Da allora, la questione di cosa farne torna ciclicamente alla ribalta, portando con sé una serie di considerazioni di natura giuridica e finanziaria, nonché politica, da una parte molto tecniche ma dall’altra di grande importanza per come proseguirà la guerra.
Giovedì scorso è stato il cancelliere tedesco Friedrich Merz a riproporre, sul Financial Times, il dilemma. Merz ha dato il proprio sostegno al progetto della Commissione per utilizzare i beni russi immobilizzati. Venerdì scorso ne hanno parlato gli ambasciatori dell’Ue, e il cancelliere ha fatto sapere di voler proporre la questione al Consiglio europeo informale a Copenaghen mercoledì prossimo (1 ottobre) e poi,in occasione del Consiglio europeo di fine ottobre, di voler conferire “il mandato per preparare questo strumento in modo giuridicamente sicuro” .
Ma qual è il problema di usare questi asset?
Gli asset congelati sono scivolosi
I rischi collegati all’uso degli asset congelati sono molteplici. Il primo è che confiscarli significherebbe violare il principio di immunità sovrana: uno Stato non può in genere appropriarsi dei beni di un altro Stato senza rischiare di violare le norme internazionali.
Inoltre decisioni retroattive generano il rischio di contestazioni e contenziosi: chi detiene i beni – in questo caso la Russia – potrebbe reclamare danni e chiedere compensazioni.
Ancora, c’è un problema di credibilità finanziaria e fiducia nei mercati: se l’Ue iniziasse a confiscare asset statali stranieri, ciò potrebbe minare la fiducia degli investitori internazionali nell’inviolabilità della proprietà e nella stabilità del diritto internazionale. E potenzialmente altri Paesi potrebbero replicare politiche simili contro asset stranieri occidentali, scatenando turbolenze finanziarie globali. La stessa fiducia nell’euro come valuta di riserva potrebbe uscirne minata.
Giovedì scorso la Commissione ha respinto la richiesta dei legislatori dell’Unione di sequestrare 200 miliardi di euro di beni immobilizzati, proprio perché la confisca dei fondi violerebbe il diritto internazionale e rischierebbe di provocare una forte ritorsione da parte di Mosca.
Ma se questi sono i problemi, tutti estremamente delicati, dall’altra gli asset sono un’opportunità per rifornire Kiev di risorse che i Paesi europei altrimenti non potrebbero offrire. Ecco perché si sta cercando un modo legale per poterli usare, ferma restando che la proprietà rimane in capo alla Russia.
Cosa propone la Commissione
L’escamotage che propone la Commissione si basa sul fatto che la grande maggioranza degli asset russi congelati è liquida, attualmente detenuta in un conto deposito presso la Banca Centrale Europea. Finora l’Unione ha utilizzato gli interessi generati da questi asset liquidi per rimborsare la sua quota del prestito del G7 di 45 miliardi di euro all’Ucraina.
L’idea è dunque che i russi rimangano proprietari ma che l’Ue dia un’obbligazione, un prestito, a breve termine e senza cedola, a Euroclear, in cambio del quale potrà usare la liquidità del fondo per 140 miliardi e prestarli all’Ucraina.
Il prestito dovrebbe essere distribuito in tranche e utilizzato per la “cooperazione europea in materia di difesa” e “per coprire le esigenze di bilancio” di Kiev, il cui deficit sta crescendo, ha affermato la Commissione in una nota.
L’Ucraina rimborserà il prestito solo una volta che la guerra sarà finita e che la Russia avrà pagato le riparazioni del dopoguerra. A quel punto, l’Ue rimborserebbe Euroclear. L’idea di un “prestito per le riparazioni” era stata lanciata dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen nel suo discorso sullo stato dell’Unione il 10 settembre.
Per far sì che l’operazione non sua considerabile come una confisca vera e propria, tale prestito dovrebbe esser garantito dai Paesi membri. La proposta della Commissione prevede basarsi su garanzie specifiche bilaterali degli Stati.
Merz: un prestito solo per usi militari
Merz sul Financial Times ha fatto sapere di sostenere il piano della Commissione, pur sottolineando che la Germania è e rimane cauta sulla questione della confisca degli asset congelati. Ma allo stesso tempo il cancelliere ha precisato che occorre “ricercare soluzioni per rendere disponibili i fondi alla difesa dell’Ucraina”.
“A mio avviso, dovrebbe ora essere sviluppata una soluzione praticabile che, senza intaccare i diritti di proprietà, ci consenta di mettere a disposizione dell’Ucraina un prestito senza interessi di quasi 140 miliardi di euro in totale”, che dovrebbe essere garantita con il bilancio pluriennale europeo. Inoltre, il prestito servirebbe per la difesa di Kiev, quindi solo per aiuti militari, e sarebbe rimborsato “solo quando la Russia avrà risarcito l’Ucraina per i danni causati durante questa guerra”.
Merz di fatto evidenzia la necessità per l’Europa di trovare molti più soldi per l’Ucraina, considerando le politiche di Trump, che intende disimpegnarsi dalla sicurezza del Vecchio Continente, e la sua inaffidabilità. La scorsa settimana, parlando all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il presidente degli Stati Uniti ha detto che Kiev potrà riprendere i territori invasi dalla Russia, con l’aiuto dell’Europa. Una frase da molti letta come la conferma del distacco americano.
Maggioranza qualificata
C’è poi la questione Ungheria: il Paese, stretto alleato di Mosca, potrebbe bloccare ogni decisione in merito all’uso degli asset russi, dando sostanzialmente a Putin un diritto di veto. Ecco perché la Commissione ha suggerito di modificare le regole di rinnovo delle sanzioni passando dall’unanimità alla maggioranza qualificata, sfruttando le deroghe previste dall’articolo 31(2) del Trattato sull’Unione europea in alcuni casi in materia di politica estera e di sicurezza comune.
L’Ungheria non è l’unico ostacolo: al seguito c’è la Slovacchia, ma cautela viene anche dal Belgio, che avendo ‘in casa’ gli asset russi teme ritorsioni da Mosca. “Prendere i soldi di Putin e lasciare i rischi a noi. Questo non accadrà, voglio essere molto chiaro”, ha dichiarato il premier Bart De Wever la scorsa settimana a New York, a margine dell’Unga. Si tratta comunque di una posizione ben diversa da quella di Orbán e Fico, dato che il Belgio è schierato a favore dell’Ucraina.
Intanto, da parte russa, il piano di prestito viene visto senza mezzi termini come un “furto”, con Mosca che minaccia ritorsioni.