Il Consiglio Europeo di ottobre si è svolto in un clima di crescente urgenza attorno al tema della migrazione, con i leader dei 27 Stati membri impegnati a trovare soluzioni concrete e condivise per affrontare una questione che domina il dibattito politico europeo. Dalla crisi del 2015, quando milioni di persone cercarono rifugio in Europa, la gestione dei flussi migratori continua a sollevare interrogativi su solidarietà, sicurezza e rispetto dei diritti umani. L’obiettivo del vertice era chiaro: individuare una risposta comune a quella che è stata definita una “sfida europea“. Tuttavia, il percorso verso una politica migratoria condivisa e sostenibile è ostacolato da profonde divisioni tra gli Stati membri, divergenze su come gestire i rimpatri e un crescente dibattito sull’efficacia della collaborazione con Paesi terzi.
La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha posto la questione al centro del vertice di ottobre, ricordando che, sebbene la protezione dei migranti sia una priorità, questa non deve necessariamente avvenire sul suolo europeo. Il suo discorso ha gettato le basi per un nuovo approccio alla migrazione, volto a esternalizzare la gestione dei flussi migratori e a collaborare più strettamente con i Paesi terzi.
Un approccio “innovativo” alla migrazione
Durante il vertice, la presidente von der Leyen ha delineato un piano che segna una svolta rispetto alle politiche migratorie del passato. Il piano si basa su tre pilastri fondamentali: la protezione per i migranti in Paesi terzi sicuri, un’accelerazione dei rimpatri per chi non ha diritto di rimanere nell’Ue e il lavoro con organizzazioni internazionali come l’UNHCR e l’OIM per rafforzare la gestione dei flussi migratori al di fuori dell’Europa. Questo segna un cambiamento nella politica comunitaria, che non mira più solo a gestire i flussi all’interno delle sue frontiere, ma cerca di esternalizzare le procedure di protezione, come indicato dalla stessa von der Leyen: “Non necessariamente la protezione deve avvenire in Ue”.
La menzione delle “soluzioni innovative” sui rimpatri ha richiamato l’attenzione su progetti come quelli avviati dall’Olanda, che sta esplorando la possibilità di stabilire hub di asilo in Uganda per i migranti a cui è stato negato lo status nell’Ue. Sebbene la proposta olandese sia ancora in fase preliminare, l’idea di esternalizzare il processo di rimpatrio riflette una crescente tendenza nell’Ue a cercare accordi con Paesi terzi per ridurre la pressione sui propri confini.
Il “modello Italia-Albania”
Tra le soluzioni innovative discusse durante il vertice, il cosiddetto “modello Italia-Albania”, promosso dalla presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni, emerge come uno degli esempi di questa nuova strategia. L’intesa firmata tra Roma e Tirana prevede la creazione di centri per migranti in Albania, dove i richiedenti asilo respinti dall’Italia potranno essere trasferiti in attesa della loro espulsione o di altre soluzioni. L’accordo è stato descritto come un tentativo di disincentivare le partenze irregolari e di contrastare il traffico di esseri umani, attraverso una stretta collaborazione con un Paese terzo considerato sicuro.
Il primo ministro albanese Edi Rama ha accolto i primi migranti irregolari al porto di Shengjin, una mossa che, secondo la premier Meloni, segna un “cambio di passo” nella lotta ai trafficanti. Questo modello ha ricevuto l’appoggio del Partito Popolare Europeo (PPE), con il sostegno di figure come Antonio Tajani, ministro degli Esteri italiano. Tuttavia, il modello ha diviso i leader europei. Se da una parte alcuni, come il primo ministro portoghese Luis Montenegro, hanno lodato l’iniziativa come un modo per disincentivare l’immigrazione illegale, dall’altra figure come il belga Alexander De Croo hanno sollevato dubbi sull’efficacia e sui costi di tali soluzioni, storicamente considerate onerose e di difficile implementazione su larga scala.
Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha escluso l’applicabilità del modello per Paesi di grandi dimensioni come la Germania, mentre altre nazioni, come la Polonia, hanno insistito sull’importanza di prevedere misure eccezionali per gestire flussi particolari, come quelli provenienti dalla Bielorussia.
Le profonde divisioni interne all’Ue
Un aspetto centrale del vertice è stata la crescente polarizzazione tra gli Stati membri sull’approccio da adottare in materia di migrazione. Paesi come la Polonia e l’Ungheria continuano a opporsi con fermezza a qualsiasi forma di redistribuzione obbligatoria dei migranti all’interno dell’Ue. In particolare, è stato riconosciuto che la Polonia, che fronteggia flussi migratori orchestrati dalla Bielorussia come forma di pressione geopolitica, si trova in una situazione particolare che richiede misure specifiche.
Allo stesso tempo, altri Paesi nordici, come la Danimarca e i Paesi Bassi, hanno insistito affinché Paesi come l’Italia e la Grecia rispettino il regolamento di Dublino, che impone ai Paesi di primo ingresso la responsabilità di gestire le richieste d’asilo. Tuttavia, la questione dei cosiddetti ‘Dublinanti’ – migranti che, dopo essere sbarcati nel Sud Europa, cercano di spostarsi verso il Nord – non è stata affrontata nelle conclusioni ufficiali del Consiglio Europeo, segno della sua estrema complessità.
Cooperazione con i Paesi di origine e transito
Il vertice di ottobre ha anche sottolineato l’importanza di rafforzare la cooperazione con i Paesi di origine e transito dei migranti. La creazione di partenariati globali “mutualmente vantaggiosi” è stata vista come una delle chiavi per affrontare le cause profonde della migrazione, come povertà, conflitti e cambiamenti climatici, ma anche per contrastare con maggiore decisione la tratta di esseri umani.
Paesi come Tunisia, Egitto e Mauritania sono già al centro di accordi bilaterali che mirano a migliorare la gestione delle migrazioni e a ridurre le partenze irregolari. Tuttavia, queste collaborazioni presentano notevoli sfide, tra cui l’instabilità politica dei Paesi di origine e il rischio che tali accordi possano trasferire il problema della gestione dei migranti fuori dai confini europei, senza risolvere le cause strutturali che alimentano le migrazioni.
Il nodo dei rimpatri e l’abuso del diritto di asilo
Un altro punto centrale delle discussioni è stato il miglioramento delle politiche di rimpatrio. Attualmente, i rimpatri dall’Ue rimangono limitati, con molti migranti che non riescono a essere rimpatriati a causa della mancanza di accordi con i Paesi d’origine o di ostacoli legali. Il Consiglio Europeo ha chiesto una maggiore determinazione a tutti i livelli per facilitare i rimpatri, utilizzando tutti gli strumenti disponibili, inclusi la diplomazia, il commercio e la politica dei visti.
Altrettanto importante è stato il richiamo del Consiglio alla necessità di contrastare l’abuso del diritto di asilo da parte di Paesi terzi come Russia e Bielorussia, che, secondo l’Ue, stanno strumentalizzando i migranti per destabilizzare i Paesi europei. In risposta, il Consiglio ha espresso solidarietà alla Polonia e agli altri Stati membri coinvolti, e ha ribadito l’importanza di controllare efficacemente le frontiere esterne dell’Unione Europea.
Migrazione e politica: un equilibrio fragile
Il vertice ha inoltre evidenziato la crescente politicizzazione della migrazione in molti Stati membri, dove la questione è strettamente legata alla sicurezza interna e all’identità nazionale. Da un lato, i Paesi del Mediterraneo chiedono maggiore solidarietà e supporto finanziario per far fronte alle ondate migratorie, dall’altro, gli Stati dell’Europa orientale e settentrionale insistono sulla protezione delle frontiere e sulla necessità di rimpatriare coloro che non soddisfano i criteri per l’asilo. Questa polarizzazione riflette la difficoltà di trovare una risposta comune e condivisa a una questione che tocca sensibilità politiche, culturali e sociali diverse all’interno dell’Unione.
La presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, ha sottolineato l’importanza di un approccio bilanciato: “Senza una politica di rimpatri non ci può essere una politica migratoria coerente”. Un’affermazione che riflette la crescente consapevolezza che un approccio incompleto alla migrazione rischia di rafforzare politicamente chi promuove politiche di chiusura totale.