Come si difende la democrazia? Un’esperta romena spiega il caso Georgescu

Il candidato ultranazionalista è ufficialmente fuori dalla corsa elettorale. Si accumulano le prove dell'esistenza di un’interferenza russa. Oana Popescu-Zamfir (Global Focus Centre) ragiona se sia meglio salvare la democrazia nelle urne o dalle urne
1 giorno fa
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Daniel Mihailescu / AFP

Călin Georgescu è stato definitivamente escluso dalle elezioni presidenziali della Romania. I sondaggi lo davano come favorito, con percentuali attorno al 40%; del resto la sua vittoria a sorpresa è stata il motivo del clamoroso annullamento del primo turno delle presidenziali lo scorso novembre. Si alza dunque la tensione nel Paese, che come il resto d’Europa è alle prese con uno scenario sempre più complesso. Sia a Est che a Ovest.

Chi è Georgescu

Il protagonista di questa vicenda era un personaggio semisconosciuto prima delle elezioni nel 2024. Ha posizioni a dir poco estreme: è nazionalista e xenofobo al punto da voler creare un etno-Stato romeno; ha assunto una postura neonazista e definito i leader condannati per aver contribuito all’Olocausto degli eroi nazionali, ma ha anche descritto la fine della dittatura comunista di Nicolae Ceausescu come un colpo di Stato. È scettico rispetto alla ricerca scientifica in generale (e ai vaccini in particolare) e ha sostenuto che “l’unica scienza è Gesù Cristo”. Vuole interrompere il sostegno all’Ucraina, è critico nei confronti dell’Unione europea e della Nato non vuole nemmeno sentir parlare, però è un fan della Russia di Vladimir Putin.

È anche per via di queste posizioni che la Commissione elettorale centrale ha respinto la sua seconda candidatura, viste le indagini penali in corso a suo carico, tra cui un’ipotesi di attacco all’ordine costituzionale e la creazione di un’organizzazione neofascista e razzista. Per non parlare della campagna elettorale condotta in piena violazione delle regole (senza dichiarare finanziamenti che probabilmente erano milionari), o dei rapporti desecretati dei servizi segreti romeni che indicano l’esistenza di una strategia di influenza estera, con ogni probabilità di stampo russo. Poi c’è il fatto che sia collegato a una rete paramilitare: in un raid a fine febbraio la polizia romena ha rinvenuto nelle case di ex mercenari diversi milioni in diverse valute, depositi di armi e munizioni, equipaggiamento militare.

Un Paese diviso

Che aria si respira in Romania? Oana Popescu-Zamfir, direttrice del centro studi romeno Global Focus ed ex Segretaria di Stato per gli Affari Europei presso il Ministero romeno del Lavoro e della Sicurezza sociale descrive a Eurofocus un Paese molto polarizzato. C’è uno schieramento “molto deluso” dal fatto che non potrà votare Georgescu il 4 maggio e un altro che ha tirato un sospiro di sollievo, perché al netto delle indagini in corso “abbiamo molte informazioni sul fatto che abbia cospirato con una potenza straniera, ovvero la Russia, per sovvertire l’ordine costituzionale e la democrazia nel suo complesso“.

Il candidato ultranazionalista non ha rispettato la legge elettorale, manipolando gli algoritmi dei social media e nascondendo finanziamenti illeciti, spiega l’esperta. E “ha collaborato con un gruppo di persone che, secondo quanto abbiamo appreso dalle autorità, stavano lavorando per realizzare l’equivalente di un colpo di Stato”, perché presumibilmente i soldi e le armi trovati dalle autorità erano destinati alla sua campagna elettorale e, potenzialmente, a proteste violente nei giorni successivi.

“Sono in molti a pensare che la democrazia romena abbia trionfato in questi giorni. Ed è la prima volta che lo Stato romeno sceglie di restare fermo sulla sua posizione pro-europea e pro-democratica dopo il cambiamento di regime del 1989; non a causa di ma nonostante le pressioni esterne, in particolare da parte di Washington”.

Il merito della scelta…

Meglio proteggere la democrazia nelle urne o dalle urne? Per Popescu-Zamfir in questa domanda conta l’inquadramento, dato che è stata falsata la corsa elettorale. “Si potrebbe dire che si tratta di preservare la democrazia nella sua forma, piuttosto che nella sua sostanza, o proteggere l’integrità del processo elettorale“. La decisione di escludere Georgescu “al momento è attualmente oggetto di un ampio dibattito. È una misura radicale, non è stata presa alla leggera e, si spera, non creerà un precedente per le elezioni future in Romania e altrove”.

A ogni modo, sottolinea l’esperta, “se lo Stato non ha compreso fino all’ultimo momento la gravità della minaccia posta da Georgescu e dai suoi alleati e se si scopre che l’integrità del processo elettorale è stata gravemente compromessa, tanto da impedire una scelta realmente libera da parte degli elettori, allora l’intervento diventa legittimo. Se un candidato ha un vantaggio sleale sugli altri grazie a mezzi illegali —come la mancata dichiarazione degli annunci politici sui social media, l’uso di bot e troll farm o l’iniezione di fondi illeciti, ci troviamo di fronte a una violazione della correttezza elettorale. Se un candidato non gioca con le stesse regole degli altri e ciò mina l’integrità dell’intero processo, allora fermare le elezioni e ripartire da zero può essere un modo per proteggere il diritto di voto”.

… e le lezioni da apprendere

Soprattutto, rimarca Popescu-Zamfir, non si sarebbe mai dovuti arrivare a questo punto. Le autorità si sarebbero dovute muovere prima, ma i decisori politici “non avevano compreso pienamente l’entità della minaccia”. È vero che la vittoria di Georgescu è stata inaspettata, che la sua campagna elettorale ha preso il volo solo nelle ultime settimane e che il ritardo tipico dei sondaggi non ha consentito agli analisti di cogliere cosa stesse succedendo. Ma è anche vero che gli addetti ai lavori già conoscevano il soggetto e i suoi associati e li monitoravano, com’è vero che operazioni di interferenza del genere sono andate in scena nel vicinato della Romania, in Moldova e Georgia, ma anche più in là, dalla Croazia alla Germania.

Da TikTok alla Chiesa ortodossa

Attribuire l’ascesa di Georgescu esclusivamente ai social media sarebbe riduttivo, spiega. È vero che l’amplificazione dei suoi contenuti su TikTok ha avuto un ruolo importante, ma l’operazione si è svolta anche offline, porta a porta, addirittura nei luoghi di culto. “Alcune parrocchie della Chiesa ortodossa romena hanno fatto attivamente campagna per lui, tanto che la Chiesa centrale di Bucarest ha dovuto intervenire contro i membri più radicali, di cui era perfettamente a conoscenza“, evidenzia l’esperta. Non è chiaro fino a che punto il Patriarca nella capitale fosse a conoscenza del fenomeno, spiega: sulla vicenda pesano la presenza di “sacche di radicalismo” in alcune regioni svantaggiate del Paese come la Dobrugia e la Transilvania, la debolezza della guida della Chiesa ortodossa romena e possibilmente un suo tentativo di bilanciamento tra spinte moderate e radicali.

Le geometrie politiche

A gennaio l’Alleanza per l’unione dei romeni (Aur), il principale partito nazionalista romeno, ha indicato Georgescu come candidato alla presidenza, nonostante vi si fosse distanziata nel 2022 per via dei suoi commenti estremi. Pur essendo più moderato, il leader e nuovo candidato presidenziale George Simion, potrebbe finire per intercettare parte dei suoi voti. Ma anche questo è un dilemma per la destra nazionalista romena, puntualizza Popescu-Zamfir.

Da una parte ha senso proporsi come sostituto al candidato escluso e capitalizzare sul fenomeno Georgescu, cavalcando l’onda del malcontento e facendo campagna contro la “censura” delle istituzioni. Dall’altra occorre considerare il rischio di alienare gli elettori meno radicali e più semplicemente anti-establishment. Georgescu stava intercettando un voto di protesta, dovuto all’insoddisfazione di molti romeni nei confronti delle istituzioni e della classe politica incapace di generare dei candidati attraenti. È quello il il problema alla radice, sottolinea la direttrice del Global Focus Center.

Per quanto riguarda il campo liberale e pro-europeo, nel breve termine “potrebbe finire per rafforzarsi” anche solo perché riaccoglierebbe le persone che si sono accorte dell’estremismo di Georgescu e hanno cambiato idea. Sul lungo termine, però, le cose sono più complesse, spiega l’esperta. I casi sono due. “Nei nei prossimi mesi un’indagine approfondita deve far luce su tutti i dettagli rilevanti, inclusa l’estensione dell’interferenza russa, affinché si traggano le giuste lezioni e si prevenga il ripetersi di uno scenario simile”. Ma è possibile che le autorità si limitino a tirare un sospiro di sollievo e vadano avanti senza guardarsi indietro, continuando a ignorare i problemi strutturali che hanno contribuito alla creazione del fenomeno, avverte.

Il risvolto internazionale

Nel lungo periodo esiste il rischio che l’influenza russa diventi un elemento più normalizzato in Romania, avverte Popescu-Zamfir. Il contesto è quello di un’instabilità regionale crescente e di un’amministrazione statunitense imprevedibile, specie a valle delle aspre critiche del vicepresidente J.D. Vance rispetto all’annullamento delle elezioni. “È sorprendente che gli Stati Uniti, storici alleati della Romania, stiano esercitando pressioni non per rafforzare la democrazia e lo stato di diritto, ma nella direzione opposta. In questo contesto, cresce il timore che l’influenza russa sia ineluttabile, soprattutto se gli stessi americani, indirettamente, la consolidano”.

Come può un piccolo Paese non finire schiacciato tra superpotenze? I romeni hanno preso nota dell’intensa pressione statunitense sull’Ucraina, che a sua volta lotta contro l’influenza russa. Tanto dipenderà dall’esito della guerra, continua l’esperta. Anche perché la Romania è in prima fila, ma molti altri Paesi europei potrebbero presto trovarsi nella stessa situazione: la Russia interferisce già apertamente nel vicinato romeno, in Moldova e Georgia, ma il copione si ripete in tutta Europa, e Mosca non sembra intenzionata a cambiare tattica.

La dimensione è europea

“Il problema principale è che oggi è sempre più difficile distinguere tra influenza esterna e agenti interni: Mosca non è più solo una minaccia esterna, ma un attore presente nelle economie e nelle politiche europee. Lo vediamo nei finanziamenti ai partiti politici in Francia, nei legami economici con la Germania, nell’influenza su Italia e Grecia, nel ruolo degli oligarchi russi in Austria e nella City di Londra”, puntualizza Popescu-Zamfir.

“Nel contesto dei nostri tentativi di preservare la democrazia e gli standard democratici, operare diventa molto difficile, perché la linea è molto sottile. Diventa complesso definire dove si stanno limitando i diritti dei propri cittadini e dove si stanno prendendo misure legittime per prevenire un problema di sicurezza nazionale. E penso che questo sia un dibattito che dobbiamo avere all’interno dell’Ue e della Nato, perché questa sarà la nostra realtà nel futuro molto prossimo”.

L’augurio di Popescu-Zamfir è che gli altri Paesi dell’Ue possano guardare all’esperienza romena come punto di partenza per affrontare questo dilemma con maggiore serietà. Si tratta di adattare le democrazie a sopravvivere in un momento in cui c’è chi lavora per sovvertirne il funzionamento. “Dobbiamo porci questi problemi insieme. E secondo me non abbiamo ancora tutte le risposte”.