Perché il potente principe saudita Mohammed bin Salman, per gli amici MBS, all’ultimo momento non si è presentato al vertice del G7 in Puglia? E quali sono i rapporti tra le ricche e a volte litigiose monarchie del Golfo e l’Unione Europea? Ne ha parlato al podcast di Eurofocus Cinzia Bianco, ricercatrice dello European Council on Foreign Relations, e autrice insieme a Matteo Legrenzi de “Le monarchie arabe del Golfo” (Il Mulino).
Giorgia Meloni ha trasformato il G7 pugliese in una specie di G20 senza Russia e Cina. C’erano infatti India, Sudafrica, Brasile, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Argentina. All’ultimo momento però ha dato buca il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. Come mai?
Effettivamente è stata un’assenza notevole, nel senso che Mohammed bin Salman ha sicuramente interesse ad essere parte di queste conversazioni e a questi livelli. Ma in questo particolare frangente, l’Arabia Saudita e la sua leadership devono muoversi in una maniera particolarmente prudente. Se il rapporto con gli Stati Uniti e l’Europa è leggermente migliorato rispetto allo scorso autunno, Riad continua ad avvicinarsi a Cina e Russia. E quindi partecipare al G 7 dove l’invitato speciale era Volodymir Zelensky, dove si sarebbe parlato a lungo di Ucraina, e poi magari non partecipare al Global Peace summit in Svizzera che iniziava subito dopo, sarebbe stata una mossa politicamente difficile da gestire, quindi è probabile che MBS abbia deciso di saltare entrambi gli appuntamenti per evitare complicazioni politiche.
C’è un’ulteriore elemento: sembra che le condizioni di salute del padre, re Salman, che sono critiche ormai da anni, siano ulteriormente peggiorate. E che dunque il passaggio di consegne tra padre e figlio potrebbe avvenire a breve. Ovviamente la successione ha per MBS la precedenza su qualsiasi altra questione, sia essa regionale o globale.
Quali sono i rapporti tra Unione europea, sia come istituzione sia in termini di Stati Membri, con le monarchie del Golfo? È una relazione solo legata all’energia o si parla anche di altro?
Sono dei rapporti che hanno vissuto una fase estremamente dinamica. Prendiamo come punto d’inizio di questa nostra analisi il 2018, anno dell’assassinio di Jamal Khashoggi, giornalista saudita la cui morte è attribuita da più parti ai servizi segreti di Riad, probabilmente con indicazione da parte della leadership. In quel momento Mohammed bin Salman passa, dal punto di vista europeo, dall’essere un potenziale rinnovatore e dunque un interlocutore estremamente interessante, a una figura molto problematica dal punto di vista della reputazione.
Tuttora è visto, giustamente, come un innovatore, ma da quel momento in poi c’è un nuovo tema per gli europei: avere a che fare con lui ha un costo reputazionale molto importante.
Arriva poi il Covid, che è un momento di pausa strategica un po’ per tutti, e poi l’invasione russa dell’Ucraina. Quello è un momento in cui l’Arabia Saudita, così come il Qatar e gli Emirati arabi Uniti, acquistano una certa leva dal punto di vista globale proprio per le loro risorse energetiche, per la capacità (in particolare del Qatar) di subentrare come fornitori di petrolio e gas naturale. Grazie alle loro forniture l’Europa può tenere in piedi un mercato ed evitare un ulteriore fiammata dei prezzi, così da limitare anche i guadagni del regime di Putin. La situazione cambia, il pragmatismo ha la meglio, e dunque vediamo un nuovo sforzo di coinvolgimento.
In questa fase le monarchie del Golfo diventano anche interlocutrici sui temi della sicurezza e stabilità della regione mediorientale?
Sì, soprattutto in una fase in cui Egitto, Siria, Iraq, Libano, e altri stati che sono stati in varie fasi interlocutori privilegiati, si trovano invece in una situazione drammatica. L’Unione Europea pubblica per la prima volta una strategia per Golfo, e si dota di strumenti di policy e di diplomazia. E lancia una serie di iniziative, sia da parte degli stati membri che dell’Unione stessa, che hanno creato un nuovo clima, più costruttivo e propositivo. Con varie possibilità di cooperazione. Tra queste, il fatto che il Golfo emerga come fornitore in breve tempo di quantità significative di energia verde per facilitare la transizione energetica europea, a prezzi abbastanza contenuti. L’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre e poi la guerra di Israele a Gaza e tutti i focolai di instabilità ad essa legati hanno invece rimesso in crisi il dialogo sulla sicurezza regionale. Sarà un lavoro ancora complicato, ma il trend è sicuramente positivo.