Berlino e il maxi‑piano da 1.000 miliardi: occasione per l’Europa o rischio flop?

Esperti divisi su ottimismo e scetticismo riguardo alla crescita economica futura dell'Unione europea
2 ore fa
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Il Cancelliere Friedrich Merz
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ipa/Fotogramma)

Le prospettive di ripresa dell’Europa per il 2026 dipendono in larga misura dall’avvio del maxi‑piano tedesco di investimenti pubblici, un programma pluriennale da oltre 1.000 miliardi di euro finanziato tramite nuovo debito e destinato a infrastrutture, difesa e transizione energetica. A rilevarlo è un’indagine condotta dal Financial Times che ha coinvolto 88 economisti e che rivela una profonda spaccatura: gli esperti sono divisi tra chi intravede l’inizio di un “rinascimento europeo” e chi teme che la spinta fiscale possa svanire sotto il peso di debolezze strutturali e incertezze geopolitiche.

La scommessa tedesca per riaccendere gli “spiriti animali”

Con la Germania, la più grande economia del blocco, bloccata in recessione dalla fine del 2022, l’Europa ha urgente bisogno di un ritorno dei cosiddetti “animal spirits” (lo slancio imprenditoriale) per alimentare una ripresa trainata dalla domanda interna. Nick Kounis, capo economista di Abn Amro, ha sottolineato proprio questa necessità come motore fondamentale per il futuro. Nonostante lo stimolo tedesco, le previsioni di crescita rimangono caute:

  • Il Pil dell’Eurozona dovrebbe rallentare all’1,2% nel 2026.
  • Una lieve accelerazione è prevista per il 2027, con una stima dell’1,4%.

Queste cifre riflettono quello che James Rossiter, analista di Td Securities, ha definito un “tiro alla fune” tra l’incertezza geopolitica e una politica fiscale espansiva. Mentre Henry Cook della giapponese Mufg Bank ha osservato che la spesa solleverà meccanicamente la crescita tedesca, la vera sfida sarà capire se questo si tradurrà in una ripresa europea più ampia.

Scetticismo e ottimismo: i due volti della ripresa

Non tutti gli esperti concordano sull’efficacia del piano di Berlino. Felix Feather, economista di Aberdeen, ha avvertito che chiunque si aspetti un rimbalzo significativo per il 2026 rimarrà probabilmente deluso. Dello stesso avviso è Ben Blanchard di Absolute Strategy Research, il quale ha notato che l’ottimismo iniziale per i piani del leader del partito Cdu, il cancelliere Friedrich Merz, è già sbiadito. Il bilancio federale per il 2026 è di circa 520 miliardi, ma la riforma fiscale consentirà a Berlino di mobilitare gli oltre 1.000 miliardi in un orizzonte pluriennale. Il rischio? Che i miliardi di nuovi prestiti finiscano per finanziare il welfare esistente piuttosto che nuovi investimenti produttivi.

Al contrario, i più ottimisti come Jan von Gerich, chief strategist di Nordea, vedono un potenziale di sorpresa positiva nei consumi privati. Reijo Heiskanen, capo economista dell’istituto di credito finlandese Op Pohjola, prevede un vero e proprio “ritorno del Nord” dell’Europa.

Le minacce globali: lo choc cinese e i dazi statunitensi

L’industria europea deve però navigare in acque agitate a causa delle tensioni commerciali. Apolline Menut, economista della società di gestione patrimoniale francese Carmignac, ha messo in guardia contro la feroce concorrenza degli esportatori cinesi che minaccia di “svuotare” ulteriormente l’industria dell’Ue, definendo l’approccio dei governi europei come “troppo scarso e tardivo”.

A questo si aggiunge l’ombra dei dazi del 15% promessi da Donald Trump. Sebbene Fabio Balboni, dell’area euro del gruppo bancario Hsbc, ritenga che finora l’impatto non sia stato drammatico, avverte che potremmo aver visto solo “la punta dell’iceberg”. Ulteriori rischi provengono dai mercati finanziari: Christian Schulz, capo economista di Allianz Global Investors, segnala che una correzione brusca delle valutazioni tecnologiche statunitensi rappresenta oggi il principale rischio globale per l’Europa.

La politica monetaria e il “fattore pace”

Sul fronte monetario, la Banca centrale europea (Bce) sembra aver vinto la battaglia contro l’inflazione, che dovrebbe attestarsi al 1,9% nel 2026 prima di stabilizzarsi al target del 2% nel 2027. Sabrina Khanniche di Pictet Asset Management sottolinea che la crescita futura dipenderà meno dai tassi di interesse e molto più dall’esecuzione dei piani fiscali e dalle riforme strutturali.

Infine, un elemento decisivo potrebbe essere la fine del conflitto in Ucraina. Christophe Boucher, chief investment officer di Abn Amro Investment Solutions, sostiene che un accordo di pace credibile ridurrebbe drasticamente l’incertezza, abbassando i prezzi dell’energia e stimolando esportazioni e investimenti. Secondo Reinhard Cluse di Ubs, questo scenario, unito alla spesa pubblica, potrebbe innescare un “circolo virtuoso” per l’intero continente.

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