Un annuncio arrivato a notte fonda ha scosso Bruxelles e, per estensione, l’intera diplomazia europea: il Belgio riconoscerà lo Stato di Palestina durante la prossima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in agenda a New York dal 9 al 23 settembre. Contestualmente, il governo federale ha deciso di imporre una serie di sanzioni contro Israele, accusato di violare il diritto internazionale e di alimentare la crisi umanitaria a Gaza. A rendere pubbliche le misure è stato il ministro degli Esteri Maxime Prévot, leader dei centristi Les Engagés, che da settimane spingeva per un cambio di passo radicale rispetto alla linea finora adottata dai partner di coalizione. “La Palestina sarà riconosciuta dal Belgio durante la sessione ONU! E sanzioni ferme sono prese nei confronti del governo israeliano”, ha scritto Prévot in un post sui social. Una dichiarazione che, oltre a dare un segnale forte all’opinione pubblica internazionale, cristallizza la frattura aperta dentro e fuori il Paese sulla gestione del conflitto israelo-palestinese.
Le condizioni poste da Bruxelles e il pacchetto di sanzioni contro Israele
Il riconoscimento di uno Stato di Palestina, secondo quanto dichiarato dal ministro degli Esteri Maxime Prévot, non sarà immediato né incondizionato. Il Belgio subordina la formalizzazione della decisione a due passaggi chiave: la liberazione di tutti gli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas e l’esclusione definitiva del movimento armato dalla gestione dei futuri assetti istituzionali palestinesi. Una clausola che rivela il tentativo di Bruxelles di muoversi su un crinale delicato: da un lato esercitare pressione sul governo di Benjamin Netanyahu, dall’altro evitare che il gesto possa essere interpretato come una legittimazione della violenza di Hamas.
Parallelamente, il governo belga ha varato un pacchetto di dodici sanzioni mirate contro Israele. Tra le misure principali figurano il divieto di importare prodotti provenienti dagli insediamenti nei Territori occupati, la revisione delle politiche di appalto pubblico con aziende israeliane e la limitazione dell’assistenza consolare ai cittadini belgi che vivono all’interno degli insediamenti considerati illegali dal diritto internazionale. Verranno inoltre valutati divieti di sorvolo e transito, azioni giudiziarie contro individui coinvolti in violenze, e l’inserimento nella lista dei “persona non grata” di due ministri israeliani di estrema destra – con ogni probabilità Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich – insieme a leader di Hamas e a coloni accusati di atti di violenza.
“Non si tratta di sanzionare il popolo israeliano, ma di fare in modo che il suo governo rispetti il diritto internazionale e umanitario, intervenendo per modificare la situazione sul terreno”, ha sottolineato Prévot. Una dichiarazione che mira a delimitare il perimetro dell’iniziativa, evitando di trasformarla in un attacco generalizzato e sottolineando piuttosto la volontà di incidere sulle scelte politiche dell’esecutivo di Gerusalemme.
La strategia belga nel contesto Ue
La svolta belga non nasce dal nulla. Già in luglio, il presidente francese Emmanuel Macron aveva annunciato l’intenzione di riconoscere la Palestina all’Assemblea Onu, innescando una dinamica a catena che ha visto oltre una dozzina di Paesi occidentali dichiarare di voler seguire lo stesso percorso. Francia, Regno Unito, Canada e Australia figurano tra i governi che hanno dichiarato il proprio sostegno a un riconoscimento formale, con l’obiettivo di rafforzare la prospettiva di una soluzione a due Stati e di aumentare la pressione diplomatica su Israele.
All’interno del Belgio, la decisione è stata preceduta da settimane di tensioni tra i partiti di governo. Les Engagés avevano minacciato di bloccare l’attività dell’esecutivo se i partner nazionalisti fiamminghi e liberali avessero continuato a opporsi a una linea più dura verso Israele. La minaccia ha spinto a una serie di riunioni di crisi, culminate con l’annuncio delle nuove misure. Il risultato evidenzia come la politica estera sia diventata terreno di scontro interno, ma anche occasione per rafforzare l’immagine internazionale del Paese, che punta a proporsi come attore di mediazione e di equilibrio in un contesto sempre più polarizzato.
Sul piano europeo, Bruxelles sostiene la sospensione dell’accordo di associazione Ue-Israele, in particolare delle sezioni relative a ricerca e sviluppo. La Commissione ha già rilevato violazioni degli obblighi in materia di diritti umani, ma la proposta è rimasta congelata a causa dell’opposizione tedesca e di altri Stati membri contrari a misure punitive. Il sostegno belga, dunque, rappresenta un tassello importante in un dibattito che divide profondamente le cancellerie europee e che rischia di mettere in evidenza una frattura sempre più marcata tra Paesi del Nord e del Sud dell’Unione sulla politica mediorientale.
La reazione di Israele e le implicazioni sul piano internazionale
La mossa belga arriva in un momento di altissima tensione. Il governo di Netanyahu ha già bollato le decisioni di altri Paesi come un atto che “alimenta l’antisemitismo, premia il terrorismo di Hamas e punisce le sue vittime”. La posizione di Gerusalemme si fonda sulla convinzione che il riconoscimento unilaterale della Palestina rischi di indebolire i negoziati e legittimare un attore armato ancora operativo nella Striscia. Le parole del premier israeliano si inseriscono in un contesto in cui la guerra a Gaza è entrata nel suo ventiduesimo mese e continua a provocare migliaia di vittime civili, mentre gli ostaggi rapiti il 7 ottobre 2023 restano al centro di una delicatissima trattativa internazionale.
Il fatto che il Belgio abbia incluso nella lista dei “non graditi” due ministri simbolo della destra radicale israeliana – già sanzionati da Paesi come Regno Unito e Olanda – non farà che acuire lo scontro diplomatico. Si tratta di figure accusate di alimentare la violenza dei coloni in Cisgiordania e di usare toni incendiari contro i palestinesi. Per Gerusalemme, la loro delegittimazione all’estero rappresenta una ferita simbolica, ma per i governi europei che li hanno inseriti nelle black list è un segnale preciso di disapprovazione.
Sul piano internazionale, la decisione belga si aggiunge a un fronte sempre più ampio di Paesi occidentali che scelgono di imprimere un’accelerazione sul dossier palestinese, in linea con l’iniziativa franco-saudita per preservare la possibilità di una soluzione a due Stati. L’Onu, con l’apertura della sessione generale, diventerà il palcoscenico principale di questo confronto, che metterà alla prova la tenuta delle alleanze e la capacità delle istituzioni multilaterali di incidere su un conflitto che sembra avvitarsi senza sbocchi immediati.
Antisemitismo e Hamas, la doppia linea di Bruxelles
Oltre al pacchetto di sanzioni e al riconoscimento della Palestina, il governo belga intende rafforzare la risposta interna contro i rischi di radicalizzazione e antisemitismo. Nel suo messaggio, Prévot ha sottolineato che “ogni antisemitismo o glorificazione del terrorismo da parte dei sostenitori di Hamas sarà denunciato con maggiore fermezza”. Il ministro ha chiarito che verranno mobilitati i servizi di sicurezza e coinvolti i rappresentanti delle comunità ebraiche per intensificare le misure di prevenzione e protezione.
Il riferimento a Hamas è altrettanto netto. Bruxelles ha promesso di sostenere a livello europeo nuove misure specifiche contro il gruppo armato, parallelamente all’impegno per la ricostruzione della Palestina. L’obiettivo è marcare la distanza tra il riconoscimento dello Stato palestinese e qualsiasi forma di legittimazione di Hamas, indicato come responsabile tanto delle stragi del 7 ottobre quanto del protrarsi della crisi degli ostaggi.
La postura scelta dal Belgio si muove quindi su due piani: da un lato esercitare una pressione diretta sul governo Netanyahu attraverso sanzioni mirate, dall’altro neutralizzare ogni rischio che il riconoscimento della Palestina venga interpretato come un lasciapassare per l’estremismo. In questo equilibrio precario, la lotta all’antisemitismo e il rifiuto della glorificazione del terrorismo diventano la linea rossa che Bruxelles intende rendere esplicita, dentro e fuori i propri confini.