Si fa sempre più delicata la questione dell’eventuale utilizzo degli asset russi congelati in Europa per garantire un prestito all’Ucraina, mentre si avvicina il redde rationem: al prossimo Consiglio europeo, in programma giovedì e venerdì, ci si aspetta che i leader prendano una decisione. Si tratta di una delle scelte più sensibili per l’Unione dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, sia sul piano politico sia su quello giuridico e finanziario, e molti analisti ne fanno una cartina tornasole della rilevanza internazionale del blocco.
Congelamento a tempo indeterminato
Intanto la scorsa settimana l’Ue ha deciso di congelare a tempo indeterminato gli asset, immobilizzati dopo l’invasione russa dell’ucraina nel 2022, prevedendo che il rinnovo della sanzione, previsto ogni 6 mesi, avvenga d’ora in poi a maggioranza qualificata e non più all’unanimità. Lo stesso varrà per decidere lo sblocco dei beni in questione.
La procedura, avviata giovedì dagli ambasciatori, segue la proposta in tal senso avanzata dalla Commissione e sostenuta dalla Danimarca, che detiene la presidenza di turno del Consiglio Ue. La norma vieta il trasferimento dei 210 miliardi di euro di attività ‘bloccati’ in Europa alla Banca centrale russa e in sostanza attiva l’art. 122 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TfUe). Questo prevede che in casi di emergenza economiche o calamità, le decisioni possano essere prese a maggioranza qualificata.
Dall’invasione russa “grave impatto economico” sull’Ue
Secondo l’interpretazione della Commissione, l’invasione russa ha provocato un “grave impatto economico” sull’intera Unione, con effetti quali “gravi interruzioni dell’approvvigionamento, maggiore incertezza, aumento dei premi di rischio, riduzione degli investimenti e della spesa dei consumatori”. A questo si aggiungono, secondo Bruxelles, attacchi ibridi sotto forma di sabotaggi, incursioni con droni e campagne di disinformazione da parte russa.
“Impedire che i fondi vengano trasferiti alla Russia è urgente per limitare i danni all’economia dell’Unione”, spiega l’introduzione della proposta di attivazione dell’art.122. Lo sblocco degli asset potrà avvenire solo quando le azioni di Mosca “avranno oggettivamente cessato di comportare rischi sostanziali” per il blocco e quando la Russia avrà pagato le riparazioni all’Ucraina “senza conseguenze economiche e finanziarie” per l’Ue.
Chi dice no: il ruolo dell’Italia
La scelta di ricorrere all’art. 122 serve a bypassare in primis l’Ungheria, filorussa, che sull’Ucraina ha sempre messo i bastoni nelle ruote, ma anche la Slovacchia, che segue la scia di Budapest, e la Repubblica ceca, dove oggi entra ufficialmente in carica il nuovo primo ministro Andrej Babiš, che ha già espresso la sua contrarietà all’uso degli asset russi in favore di Kiev. Ma le resistenze non si fermano qui. Budapest e Bratislava hanno votato contro, mentre Italia, Belgio, Bulgaria e Malta hanno espresso cautela, chiarendo di aver approvato la procedura che congela a tempo indeterminato gli asset solo “per spirito di cooperazione” e ribadendo che la decisione sul loro uso deve spettare ai leader.
Il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha parlato di “serie perplessità dal punto di vista giuridico” e del rischio di un danno d’immagine enorme per il blocco e per l’Italia in caso di una causa persa contro la Russia. Una posizione condivisa dal vicepremier Matteo Salvini, che ha definito l’operazione “un azzardo e un’imprudenza”.
Roma ha redatto un documento con Belgio, Malta e Bulgaria nel quale si invita la Commissione e il Consiglio a continuare a esplorare e discutere opzioni alternative in linea con il diritto dell’Ue e internazionale, con parametri prevedibili e che presentino rischi significativamente inferiori, per far fronte alle esigenze finanziarie dell’Ucraina, sulla base di un prestito dell’Ue o di soluzioni ponte”.
L’esecutivo europeo in verità ha già presentato delle alternative, quali il ricorso a prestiti bilaterali oppure all’emissione di debito congiunto. Un’opzione quest’ultima problematica, perché amplierebbe il già critico debito pubblico di Paesi come l’Italia e la Francia, e perché richiede l’unanimità, il che significa tornare ai veti dei Paesi filo-russi.
Il Belgio minaccia il ricorso alla Corte Ue
E poi, naturalmente, c’è la granitica opposizione del Belgio, che detiene presso la società Euroclear con sede a Bruxelles la stragrande maggior parte degli asset in questione (185 su 210 miliardi, il resto è sparso in banche private europee e in maniera residuale in altri Paesi come Giappone, Canada e Stati Uniti). Il Paese teme di dover affrontare da solo le ritorsioni di Mosca – ampiamente annunciate – e le eventuali ripercussioni sui mercati.
In ogni caso i Paesi contrari, anche contando Italia, Bulgaria e Malta, non hanno i numeri per bloccare la maggioranza qualificata, per la quale bastano almeno 15 Stati che rappresentino il 65% della popolazione dell’Ue. Ma la mossa non sarebbe indolore per la coesione del blocco, e, soprattutto, la Commissione non vuole procedere senza avere il Belgio dalla propria parte. Tuttavia, in queste ultime settimane la trattativa non si è sbloccata, e il premier Bart De Wever rimane inamovibile, tanto da aver minacciato di fare ricorso alla Corte di Giustizia Ue se verrà deciso di utilizzare i beni russi – su questo seguito ieri da Budapest.
Il nodo Belgio e i rischi legali
Il Belgio continua a ritenere insufficienti le garanzie finora prospettate dalla Commissione sull’uso degli asset come garanzia per un prestito a Kiev. Va detto che alle legittime perplessità del Paese poche capitali hanno espresso la propria volontà a dividere gli oneri della decisione – tra essi la Germania -, e che la Banca centrale europea ha escluso di poter fornire garanzie dirette, perché ciò esulerebbe dal suo mandato. La presidente Christine Lagarde mercoledì scorso ha però dato il suo endorsement, nonostante le perplessità, definendo la proposta “la più fattibile e coerente con il diritto internazionale ed europeo”.
Va anche detto che le capitali non sono nemmeno disponibili a finanziare Kiev con debito pubblico, ovvero, come dicevamo, una delle alternative all’uso degli asset prospettata da von der Leyen.
Intanto, dal prossimo aprile, l’Ucraina rischia di rimanere senza finanziamenti, con un buco di bilancio stimato in 71,7 miliardi di euro e un abbisogno civile e militare che secondo i calcoli del Fondo monetario internazionale ammonterebbe a circa 70 miliardi l’anno.
Orbán: “Dittatura di Bruxelles”
Il premier ungherese Viktor Orbán ha attaccato frontalmente l’iniziativa. “Bruxelles sta attraversando il Rubicone”, ha detto, accusando l’Ue di eliminare “con un tratto di penna” il requisito dell’unanimità “in modo chiaramente illegale”. A suo avviso, con la decisione di procedere a maggioranza qualificata “lo Stato di diritto nell’Ue giunge al capolinea” e l’Unione si avvia verso una “dittatura dei burocrati, ovvero da una dittatura di Bruxelles”. Curioso che a dirlo sia il primo ministro ungherese, da tempo sotto accusa per il deterioramento dello stato di diritto nel suo Paese e per avervi istituito una ‘democratura’, cioè una dittatura mascherata da democrazia.
Quanto a Babiš , il premier ceco ha chiarito in un video pubblicato sui social: “Non forniremo garanzie per nulla, né stanzieremo denaro; l’Europa deve trovare modi alternativi per sostenere l’Ucraina”.
Mosca: “Un ladrocinio, faremo ricorso”
Da Mosca la risposta è durissima. La portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova ha definito il congelamento degli asset “un vero e proprio ladrocinio” e ha annunciato che “le azioni di ritorsione non tarderanno ad arrivare“, secondo l’agenzia di stampa russa Interfax.
La Banca centrale russa a sua volta ha affermato che qualsiasi uso, diretto o indiretto, dei beni congelati è “illegale e contrario al diritto internazionale, incluso il principio dell’immunità sovrana degli asset”. L’istituto di Mosca ha annunciato ricorsi davanti a tribunali nazionali, internazionali e arbitrali, oltre a un’azione contro Euroclear, chiedendo un risarcimento per i danni subiti a causa dell’impossibilità di disporre dei propri fondi.
Unione europea tra incudine e martello
L’Ue si trova così stretta tra l’incudine e il martello. Se utilizza gli asset, Mosca ha già minacciato ritorsioni legali e “pagamenti in natura”, mentre le divisioni interne tra le capitali rischiano di esacerbarsi (Orbán ha parlato di “danni irreparabili”). Inoltre, potrebbero esserci una reazione del presidente degli Stati Uniti e ripercussioni sui mercati finanziari. Se non li utilizza, l’evidente frammentazione e la palese indecisione del blocco rischierebbero di avere conseguenze interne ed esterne di lunga portata, e sostanzialmente di dare ragione a Trump, secondo cui l’Ue è debole e confusa. Non solo, ma una mancata decisione farebbe perdere all’Unione una delle pochissime leve negoziali a sua disposizione rispetto alle trattative per il cessate il fuoco tra Mosca e Kiev, dalle quali Putin e Trump hanno tutto l’interesse ad escluderla. Senza contare che gli Usa intendono usare a proprio profitto gli asset, d’accordo con Mosca, ‘alla faccia’ di Kiev e degli europei.
Ma mentre il tempo stringe, oggi la capa della diplomazia del blocco, Kaja Kallas, ha dichiarato che finanziare l’Ucraina tramite un prestito garantito dai beni congelati della Russia sembra ora “sempre più difficile”.
