L’allargamento dell’Unione Europea entra in una fase che non consente più ambiguità: con l’avvio dell’Eu Enlargement Forum, la Commissione mette sul tavolo un insieme di scadenze, verifiche e priorità che segnalano un cambio di passo rispetto al passato recente. Nel giro di pochi mesi si sono accumulati documenti, dichiarazioni e valutazioni tecniche che convergono su un dato evidente: se l’Ue vuole arrivare a una nuova ondata di adesioni entro la fine del decennio, deve assumere decisioni operative già adesso, mentre i Paesi candidati devono produrre risultati verificabili su riforme giudiziarie, governance e allineamento normativo. La giornata al palazzo Charlemagne espone questa dinamica senza filtri, perché i protagonisti — commissari, capi di governo, ministri, rappresentanti della società civile — espongono ciascuno il proprio punto di vista su un processo che non è più gestibile come un esercizio diplomatico graduale, ma come un dossier politico che incrocia sicurezza europea, stabilità regionale e sostenibilità istituzionale. Nel linguaggio asciutto delle sessioni di lavoro si intravede un’aspettativa precisa: il prossimo ciclo politico europeo dovrà essere giudicato anche sulla capacità di trasformare impegni e valutazioni tecniche in negoziati sostanziali e, infine, in nuovi membri effettivi.
La nuova agenda
La Commissione ha impostato il forum con il motto “Completare l’Unione, mettere al sicuro il nostro futuro”. Non è un semplice slogan: il pacchetto annuale sull’allargamento presentato il 4 novembre ribadisce che l’espansione dell’Unione è un processo strategico e che, come ha ricordato l’Alto Rappresentante Kaja Kallas, “l’ingresso di nuovi Paesi nell’Ue entro il 2030 è un obiettivo realistico. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, nel suo messaggio video al Forum ha insistito sul fatto che, “in tempi di incertezza geopolitica, l’allargamento è più di una scelta per la pace: è un investimento nella nostra sicurezza collettiva e nelle nostre libertà”.
La cornice politica delineata dalla Commissione affianca la dimensione geopolitica alle riforme interne: la guerra in Ucraina, la competizione con attori globali e le frizioni interne all’Unione spingono verso un allargamento costruito su basi più robuste. In questa logica “entrare” significa anche “non mettere a rischio il funzionamento dell’Unione”. Per questo Marta Kos, commissaria all’allargamento, ha aperto la discussione sul tema più sensibile: “Dobbiamo discutere apertamente quali garanzie inserire nei futuri trattati di adesione per assicurare ai cittadini che l’integrità della nostra Unione sia protetta”.
Il cambio di approccio è evidente. Non si tratta più soltanto di seguire un calendario tecnico, ma di garantire che nuovi ingressi non producano stalli decisionali o arretramenti sullo Stato di diritto. Il Forum diventa così un momento di verifica della compatibilità tra ambizioni dei candidati, resilienza istituzionale dell’Ue e capacità di adattare i trattati a un’Unione destinata a superare i trenta membri.
Paesi candidati e traiettorie divergenti
Al cuore del forum ci sono i Paesi candidati, che attraversano fasi molto diverse nei rispettivi percorsi. Secondo il pacchetto “Enlargement 2025”, il Montenegro “è il più avanzato nel processo di adesione all’Ue” e l’Albania vive un “momento senza precedenti”. Ucraina e Moldova vengono riconosciute come Paesi che “hanno compiuto i maggiori progressi nelle riforme” nel 2025.
Questo non elimina le differenze: ogni dossier presenta condizioni, ritmi e criticità proprie. Marta Kos ha ricordato che “l’Ucraina ha dimostrato il proprio impegno verso il cammino europeo, avanzando su riforme chiave”. Il confronto con gli altri candidati lo conferma: il Montenegro, pur tecnicamente più avanti, deve dimostrare di poter chiudere capitoli negoziali e non solo mantenerli aperti. Per l’Albania, la Commissione parla di progressi rilevanti, ma all’interno di un’agenda intensa e con margini temporali ridotti.
La Moldova ha ricevuto segnali positivi: il suo impegno è stato riconosciuto anche in un contesto segnato da pressioni esterne e fragilità interne. La domanda resta se riuscirà a mantenere continuità quando l’attenzione politica iniziale si attenuerà. L’Ucraina, impegnata nel conflitto, avanza su riforme nonostante un contesto eccezionalmente difficile, ma la ricostruzione e la lotta alla corruzione rimangono elementi critici.
Diversa la situazione dei candidati più lenti: per la Georgia, la Commissione ha parlato di “Paese candidato solo di nome”; la Serbia riceve richiami sullo Stato di diritto; la Bosnia-Erzegovina è sollecitata ad adottare leggi fondamentali prima di aprire i negoziati. Le traiettorie dunque divergono nettamente, e questa asimmetria incide sulla percezione di affidabilità dell’intero processo.
L’Unione è pronta?
L’allargamento non riguarda solo chi entra: riguarda un’Unione che deve prepararsi a gestire una composizione più ampia senza compromettere la propria capacità decisionale. Il Forum insiste su questa esigenza, richiamando un “approccio credibile, inclusivo e lungimirante” che tuteli coerenza interna e funzionamento delle istituzioni. Secondo Marta Kos, “l’Ue deve prepararsi” a una nuova fase di integrazione, rivedendo le proprie regole per evitare che l’unanimità diventi un vincolo paralizzante.
La Commissione sta lavorando a una valutazione preventiva sull’impatto che i futuri allargamenti avranno su politiche chiave, bilancio e governance. Il principio richiamato da Bruxelles è che non ci saranno “Paesi di serie A e Paesi di serie B”, ma che serviranno clausole di tutela capaci di restare invisibili quando tutto funziona e di attivarsi quando nuovi Stati membri non rispettano gli obblighi comuni.
Questa direzione coincide con la linea già indicata dal Parlamento europeo, che il 22 ottobre ha approvato un rapporto sulle conseguenze istituzionali dell’allargamento. Il relatore Sandro Gozi ha sintetizzato così la necessità di riforma: servono “garanzie solide”, capaci di proteggere l’integrità dell’Unione e di superare veti e rigidità del sistema attuale, mantenendo la possibilità per gli Stati più determinati di avanzare senza essere bloccati da chi preferisce rallentare.
Il Forum, dunque, mette l’Ue di fronte alla propria capacità di adattamento: essere pronta significa non solo accogliere nuovi membri, ma garantire che l’intero sistema resti in grado di funzionare.
