Potrebbe aprirsi formalmente il 25 giugno il processo di adesione dell’Ucraina all’Unione europea. Secondo fonti bene informate citate da Politico, Bruxelles starebbe spingendo per l’avvio dei negoziati. L’ostacolo principale è l’opposizione da parte del governo ungherese, preoccupato per le proprie minoranze presenti nel Paese slavo che da oltre due anni è in guerra contro la Russia. Senza l’ok dell’Ungheria, non è possibile procedere con la convocazione della Conferenza intergovernativa (CIG) con l’Ucraina, primo passo per l’apertura dei negoziati.
Ricordiamo che negli ultimi due anni il presidente ungherese Victor Orbán ha più volte minacciato di bloccare le decisioni sui finanziamenti dell’Ue a Kiev, sui negoziati di adesione e sulle sanzioni contro la Russia. In questo quadro, la diplomazia sta lavorando alacremente e – sembra – con segnali incoraggianti, per trovare una soluzione tra i due Paesi. Al momento, Kiev avrebbe risposto a un elenco di undici punti stilato da Budapest e sarebbe in attesa della risposta dell’Ungheria.
Dopo le elezioni e prima del semestre ungherese alla guida del Consiglio
La data del 25 giugno non è casuale: cade infatti tra due importanti eventi. Innanzitutto è successiva alle elezioni che rinnoveranno il Parlamento europeo, ed è opinione condivisa che l’Ungheria non voglia che il tema dell’entrata ucraina nell’Ue diventi materia elettorale. Allo stesso tempo è precedente all’assunzione il primo luglio, da parte di Budapest, del semestre alla guida del Consiglio europeo, in modo da non doversene occupare e trovare le cose già fatte. D’altra parte anche l’Ucraina e i suoi sostenitori nell’Ue hanno chiesto che la conferenza intergovernativa si tenga prima del cambio di presidenza del Consiglio.
Attualmente tale presidenza è in mano al Belgio, che per l’appunto ha fissato al 25 giugno la CIG. Ma prima, i 27 Paesi europei devono trovare un accordo sul quadro negoziale inviato dalla Commissione a marzo. Senza tale accordo, infatti, è inutile parlare di CIG. In ogni caso, i negoziati procedono, e una nuova bozza dovrebbe essere inviata nelle prossime settimane.
Come funziona l’adesione all’Ue
L’Ue prevede espressamente (nel Trattato sull’Unione Europea) la possibilità di accogliere nuovi membri, fenomeno che è già avvenuto più di una volta nella sua storia e che l’ha portata al numero attuale di 27 Paesi dai 6 che la fondarono nel 1957. È il cosiddetto ‘allargamento’.
Per aderire all’Ue, tuttavia, occorre rispettare alcuni criteri, detti ‘di Copenaghen’, e cioè avere:
• istituzioni stabili in grado di garantire la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti umani, la tutela delle minoranze (criterio politico)
• un’economia di mercato affidabile e la capacità di far fronte alla pressione concorrenziale del mercato dell’Ue (criterio economico)
• la capacità di assumere gli obblighi derivanti dall’adesione all’Ue, compresa la capacità di attuare efficacemente le norme, gli standard e le politiche che ne costituiscono il corpus legislativo (l’acquis) e l’adesione agli obiettivi dell’unione politica, economica e monetaria (criterio di riforma).
Alla base, inoltre, deve esserci il rispetto di valori fondamentali dell’Ue come la dignità umana, la libertà, l’uguaglianza e una società fondata sul pluralismo, sulla non discriminazione, sulla parità di genere.
Il processo di adesione in sé è formato da tre momenti:
Candidatura
Il Paese europeo che voglia entrare nell’Unione deve presentare una domanda di adesione al Consiglio dell’Ue, che chiede alla Commissione europea di verificare la capacità del candidato di soddisfare i criteri di Copenaghen.
La Commissione stila dunque delle raccomandazioni in base alle quali il Consiglio decide se concedere o meno lo status di Paese candidato e avviare i negoziati formali per l’adesione all’Unione. Questa decisione deve essere approvata da tutti gli Stati membri.
Negoziati di adesione
Durante i negoziati di adesione il Paese candidato si prepara ad attuare le leggi e le norme dell’Ue, mentre la Commissione monitora i suoi progressi in tal senso e ne tiene informati sia il Consiglio e il Parlamento europeo.
Adesione
Al termine dei negoziati, la Commissione formula un parere sulla preparazione del Paese a diventare uno Stato membro. Se il Paese è pronto, viene elaborato un trattato di adesione con annesso Atto relativo alle condizioni di adesione e agli adattamenti dei trattati, che illustra nel dettaglio i termini e le condizioni dell’adesione stessa, compresa la data in cui il Paese entrerà ufficialmente nell’Unione.
Questo trattato deve essere quindi approvato dalla Commissione europea, dal Consiglio europeo e dal Parlamento europeo prima di essere firmato e ratificato da tutti gli Stati membri dell’Ue e dal Paese candidato.
Come si vede, si tratta di un processo lungo e accidentato. Non è un caso che attualmente ci siano molti Stati candidati e ‘sospesi’ da anni: Turchia (dal 1999), Macedonia del Nord (2004), Montenegro (dal 2010), Serbia (dal 2012) e Albania (dal 2014). Anche Ucraina, Moldavia, Bosnia ed Erzegovina (dal 2022). Anche la Georgia ha fatto domanda, nel 2023, ma in questo caso la Commissione non ha dato parere favorevole.
Problemi legati all’entrata nella Ue dell’Ucraina
L’invasione russa dell’ucraina e il conseguente scoppio della guerra alle porte dell’Unione ha sicuramente accelerato la volontà del Paese slavo di aderire ‘al club’ e il relativo processo. Ma nonostante l’onda emotiva portata con sé dal conflitto, ci sono molti punti da considerare.
Sicurezza
Il primo è proprio la guerra, il cui esito appare ancora incerto e con esso il futuro assetto dell’area. Quello che è sicuro è che in ogni caso rimarrebbe un contenzioso territoriale tra i due Paesi, che peraltro condividono migliaia di km di confine. Il che significa che, se l’Ucraina diventasse un membro dell’Unione, anche gli altri Stati diventerebbero ‘parte in causa’ di tale contenzioso, con tutti i pericoli annessi e connessi, visto che la Russia ha già dato e continua a dare prova di essere pronta all’uso della forza.
Anche nel momento in cui ci fosse un armistizio, se Mosca dovesse poi riaccendere le ostilità (cosa già avvenuta dal 2014 a oggi), gli Stati dell’Ue sarebbero obbligati a intervenire ai sensi delle clausole di solidarietà e mutua assistenza dei Trattati europei. Per essere chiari, l’Europa si troverebbe in una situazione di vera e propria guerra sul campo, non più solo commerciale o politica. E se non intervenisse in difesa dell’Ucraina, si aprirebbe comunque una grave falla di coerenza e stabilità all’interno delle sue istituzioni.
L’avvio stesso dei negoziati per l’adesione potrebbe, secondo alcuni analisti, ostacolare il raggiungimento di una tregua tra Kiev e Mosca, dato che per quest’ultima l’entrata dell’Ucraina nell’Unione significherebbe anche l’entrata nel campo occidentale e dunque implicherebbe la perdita della ‘neutralità’ che invece la Russia vuole.
Senza contare che il Paese entrerebbe nell’Unione con un esercito forte, moderno e ben attrezzato. E che già negli ultimi anni la spesa militare europea ha subito un continuo incremento, tanto che, secondo i dati dell’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma, l’attuale spesa militare in Europa centrale e occidentale è superiore a quella dell’ultimo anno della Guerra Fredda. Nel 2023, l’investimento nel settore è arrivato a 552 miliardi di euro, con una crescita del 16% rispetto al 2022 e del 62% rispetto al 2014, significativamente anno dell’annessione russa della Crimea.
La differenza di valori
Un altro problema è la pesante eredità socio-economica che l’Ucraina, ex Stato del blocco sovietico, porta inevitabilmente con sé. Un aspetto che il Paese condivide con gli altri candidati all’ingresso nell’Unione, che presentano in vario grado problemi e difficoltà legate a corruzione, governo, controllo dei confini, aderenza alle normative Ue, e in generale caratteristiche troppo lontane dalla media europea.
Considerando ciò, aprire un processo di adesione destinato a fallire o a rimanere ‘appeso’ per decenni porta con sé molte questioni, come dimostra il caso della Turchia. La differenza di valori tra i Paesi infatti ha reso gli allargamenti precedenti complessi e faticosi, e molti Stati dell’Unione sono giunti alla conclusione che i prossimi andrebbero gestiti diversamente.
Tanti abitanti, tanto peso politico
L’Ucraina conta quasi 40 milioni di abitanti, cosa che la collocherebbe al quinto posto tra i Paesi più popolosi dell’Unione. In sostanza, avrebbe un certo peso decisionale sia perché disporrebbe di parecchi seggi nell’Europarlamento, sia perché in Consiglio si decide con voto ponderato, sia perché avrebbe un commissario nella Commissione.
Stando così le cose, la questione russo-ucraina potrebbe diventare centrale nell’agenda politica dell’Unione, togliendo spazio ad altre priorità e obiettivi, infilando l’Unione in una spirale di voti incrociati in funzione anti-russa. Ne è un esempio proprio l’Ungheria, che con meno di 10 milioni di abitanti negli ultimi anni è comunque riuscita a bloccare molte politiche dell’Unione.
La questione agricola
Un altro problema è legato alla questione agricola, centrale per l’Unione europea e oggetto di dibattiti e accese proteste. L’Ucraina è detta il granaio d’Europa, infatti è il primo esportatore mondiale di olio di girasole (50% delle esportazioni mondiali), il terzo di orzo (18%), il quarto di granturco (16%) e il quinto di frumento (12%).
La guerra con la Russia ha causato un calo del 29% della produzione ucraina di cereali ma allo stesso tempo l’Europa ha deciso lo stop ai dazi sulle importazioni alimentari dal Paese. Questo ha creato tensioni e malcontento: i coltivatori europei infatti sostengono che così si crei una concorrenza sleale nei loro confronti e che i prezzi si deprimano, oltre al fatto che i prodotti ucraini non rispettano certi standard, in particolare le dimensioni delle aziende agricole o l’uso di prodotti fitosanitari.
In risposta alle tensioni e alla rabbia degli agricoltori, sfociate nella protesta dei trattori che lo scorso febbraio ha tenuto banco per giorni in vari Paesi, lo scorso aprile l’Europarlamento ha nuovamente prorogato lo stop ai dazi fino a giugno 2025 ma concordando una limitazione: oltre certi volumi di importazione, verranno reimposti i dazi. I meccanismi di salvaguardia – i freni d’emergenza’ – riguardano avena, mais, zucchero, miele, semole, uova e pollame, rimangono perciò esclusi grano e orzo.
Inoltre è previsto l’obbligo per la Commissione di intervenire entro 14 giorni (invece di 21) se verranno raggiunte le soglie per l’attivazione dei meccanismi di salvaguardia nel caso di perturbazioni di mercato, prendendo in considerazione gli effetti sui mercati anche dei singoli Paesi.
Molteplici dunque sono gli aspetti che entreranno in gioco durante i negoziati per l’entrata dell’Ucraina nell’Unione europea, in attesa delle elezioni del prossimo 6-9 giugno, il cui esito potrebbe introdurre ulteriori variabili.