Il 19 gennaio è la data che incombe sui 170 milioni utenti statunitensi di TikTok, la popolarissima app di social networking e condivisione video che ha catturato l’attenzione di oltre un miliardo di utenti a livello globale. Per via di una legge bipartisan approvata dal Congresso la scorsa primavera, ByteDance, l’azienda cinese che la sviluppa, dovrà venderla entro quella data – oppure TikTok verrà oscurata. Uno sviluppo che potrebbe portare altri Paesi, inclusi quelli europei, a riflettere sul confine tra libera circolazione delle idee e protezione dei propri cittadini.
Il destino di TikTok
Il caso è in mano alla Corte Suprema statunitense, che in qualsiasi momento potrebbe comunicare la decisione finale riguardo alla messa a bando di TikTok. Chi tifa per l’azienda ritiene che la legge approvata dal Congresso stia violando il celebre Primo emendamento della Costituzione Usa, che sancisce la libertà di espressione, e mettendo in pericolo il lavoro di un ecosistema di creator. Ma a giudicare dalla discussione tra i nove giudici a vita e le parti in causa, sembra che la Corte stia tendendo verso le ragioni dei critici, secondo cui il controllo cinese dell’app rappresenta un rischio inaccettabile per i cittadini e la democrazia statunitense.
La variabile trumpiana
Tra coloro che non vorrebbero vedere l’app oscurata c’è Donald Trump, che il 20 gennaio – esattamente un giorno dopo il termine – tornerà ufficialmente alla Casa Bianca. A fine dicembre il presidente entrante ha chiesto alla Corte Suprema di sospendere la scadenza del 19 gennaio per dare alla sua amministrazione “l’opportunità di trovare una risoluzione politica”. Secondo Bloomberg il governo cinese avrebbe valutato la possibilità di cedere il tutto a Elon Musk, una figura di spicco nella prossima amministrazione Usa – scenario che la società ha definito “pura finzione”. E secondo il WaPo Trump starebbe valutando di sospendere l’applicazione del divieto mediante ordine esecutivo, cosa che (se possibile) garantirebbe all’azienda fino a 90 giorni per trovare una soluzione.
Cosa succederà il 19 gennaio?
Se la Corte Suprema Usa finirà per confermare la validità della legge e la scadenza, ByteDance dovrà chiudere velocemente un accordo di vendita per cedere le sue operazioni statunitensi. Tra le opzioni spicca Project Liberty, un’organizzazione guidata dal miliardario Frank McCourt, che di recente si è offerta di acquistare a un prezzo imprecisato gli asset statunitensi di ByteDance (che non includono l’algoritmo, poiché la Cina lo considera una sua proprietà intellettuale). Finora l’azienda ha manifestato l’intenzione contraria e si starebbe preparando a “spegnere” completamente il servizio negli States, con tanto di oscuramento dell’app e rimando a una pagina web di spiegazione. Al netto di sorprese e mosse della prossima amministrazione, dunque, sembra che TikTok non sarà più disponibile negli Stati Uniti.
A livello tecnico la messa a bando avverrebbe a livello di fornitori di servizi e hosting internet, che non potrebbero più ospitare o rimandare alla piattaforma. L’app rimarrebbe sugli smartphone su cui è installata, ma agli app store verrebbe richiesto di non offrire più il download dell’app e dei suoi aggiornamenti, senza i quali il servizio si degraderebbe progressivamente fino a diventare inutilizzabile. Di per sé il divieto sarebbe aggirabile con una vpn (che può schermare la connessione di un dispositivo e dirottare il traffico dati attraverso server in altri Paesi), ma resta da vedere se la maggioranza degli utenti è pronta ad adottare soluzioni del genere pur di continuare a utilizzare il servizio. Anche perché già si assiste a una migrazione verso app alternative, tra cui la cinese RedNote.
Quali altri Paesi hanno messo a bando TikTok?
Afghanistan, Giordania, Kirghizistan, India, Iran, Nepal, Siria, Uzbekistan. La piattaforma è vietata de jure anche in Somalia e nello stato americano del Montana, ma il divieto non è applicato. E paradossalmente TikTok non è disponibile in Cina e Hong Kong, dove ByteDance offre una versione locale, Douyin, conforme ai dettami censori del Partito comunista cinese. Del resto, nei Paesi più autoritari tra quelli sopracitati l’app è stata messa a bando per incompatibilità ideologica con il regime in carica.
In quelli più democratici, invece, prevale la logica securitaria: ridurre il potenziale accesso di Pechino ai dati e alle menti di milioni di utenti, specie quelli più giovani, nella consapevolezza che ogni azienda cinese è soggetta al controllo del Partito. Queste sono le motivazioni che hanno indotto una serie di Paesi occidentali a vietare l’uso di TikTok sui dispositivi governativi (Australia, Austria, Belgio, Canada, Danimarca, Estonia, Francia, Irlanda, Lettonia, Malta, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Regno Unito, Stati Uniti e Taiwan, oltre alle istituzioni dell’Ue e al personale della Nato).
Lo scenario europeo
La possibile sospensione di TikTok non è più una questione speculativa in Europa dopo la decisione dell’Albania di bandire l’app per un anno, il 2025, anche se il divieto deve ancora entrare in vigore. La scelta è stata motivata dall’uccisione di un adolescente in seguito a una lite tra coetanei nata su TikTok. Il governo albanese ha giustificato il provvedimento sottolineando come la piattaforma contribuisca a diffondere violenza tra i giovani e a promuovere comportamenti dannosi, evidenziando l’approccio leggero che TikTok ha nei confronti della moderazione dei contenuti.
Dentro l’Unione europea, l’app è al centro di diverse indagini – una relativa al suo ruolo nelle elezioni romene, rimandate per via delle ingerenze russe, e una serie di procedure a livello della Commissione europea per verificarne la conformità al Digital Services Act (Dsa), che definisce standard rigorosi per le piattaforme online di una certa dimensione. Queste indagini dovrebbero essere esenti dalla diatriba nascente tra Washington e Bruxelles in materia di libertà di parola, moderazione e regolamentazione delle Big Tech, che sono appunto americane.
Il capitolo Dsa
È questa l’ascia che si potrebbe abbattere su TikTok. Le indagini in corso si stanno focalizzando sulla diffusione di contenuti dannosi rivolti ai minori, la mancanza di trasparenza sugli algoritmi che promuovono contenuti, e l’utilizzo di pubblicità mirata nei confronti di utenti minorenni, vietata dalla norma. Le risposte regolatorie spaziano da una serie di correttivi tecnici a multe pari al 6% del fatturato annuo globale, ma in caso di violazioni ripetute il Dsa prevede la sospensione (temporanea) del servizio.
TikTok potrebbe dunque impegnarsi ad allinearsi al Dsa sulla base dei risultati delle indagini, cosa che probabilmente richiederà maggiore trasparenza e migliori pratiche di moderazione (specie nel campo dei minori) a fronte di costi operativi più alti. Ma se l’app risultasse non conforme o responsabile di rischi significativi, come l’interferenza elettorale o la condivisione di dati con la Cina, l’ipotesi di un bando totale comparirebbe sul tavolo. Qui la questione interseca il rapporto tra Bruxelles e Pechino, che è in fase di raffreddamento anche per via di una serie di tensioni commerciali: ci sono pochi incentivi nell’aprire un altro fronte.
Il portavoce della Commissione sulle materie digitali Thomas Regnier ha più volte reiterato che queste indagini sono ancora in corso, e che le decisioni politiche potranno essere prese solamente dopo il loro completamento. Appuntamento rimandato, dunque, aspettando i risultati dei vari processi. Ma la decisione statunitense, in un senso o nell’altro, fornirà un impulso anche al Vecchio continente – e sugli sviluppi inciderà la natura dei rapporti che si svilupperanno tra l’amministrazione Trump da una parte, le istituzioni e le capitali europee dall’altra. Perché se da una parte l’establishment Washington si aspetta che gli alleati facciano fronte comune contro la Cina, dall’altra ci sono il riguardo del prossimo presidente per TikTok e la sua indifferenza per la rete di alleanze statunitensi.