Te la insegno io l’intelligenza artificiale: il piano di OpenAI per dare una scossa tecnologica all’Europa

Dall’”AI Erasmus” agli investimenti in infrastrutture, fino (ovviamente) alle partnership tra settore pubblico e aziende private (tipo… OpenAI) per accelerare l’adozione della rivoluzione di questo secolo
1 giorno fa
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Sam Altman Fatto Con Ai
Sam Altman - generato con AI

L’Unione europea, non serve una grande profondità di analisi, è indietro nello sviluppo e nell’adozione dell’intelligenza artificiale. Manca un tessuto “tech” in grado di tenere testa all’innovazione e agli investimenti delle big americane, e le istituzioni possono solo provare ad adottare regole, non avendo i fondi per incidere né il potere di decidere la politica industriale di 27 Stati con diverse caratteristiche e aspirazioni. Nella settimana in cui la Commissione ha presentato il suo AI Continent Action Plan, OpenAI, una delle principali aziende a livello mondiale nello sviluppo di modelli linguistici avanzati, ha pubblicato un ambizioso EU Economic Blueprint che traccia una rotta per dare una scossa a questa parte dell’Atlantico.

Di cosa parla il piano, che si trova qui in versione pdf?

1. Infrastrutture per la crescita

Uno dei punti centrali del documento è la necessità di investire in modo sostanziale in infrastrutture adatte allo sviluppo dell’AI. Non più solo strade e fabbriche, ma supercomputer, reti a fibra ottica, data center alimentati da fonti rinnovabili e centri di ricerca, distribuiti su tutto il territorio europeo. OpenAI sottolinea in particolare l’esigenza di:

  • Aumentare la capacità di calcolo (compute) del 300% entro il 2030, con un’attenzione speciale a un’infrastruttura geograficamente ben distribuita.
  • Potenziare la disponibilità di energia pulita per alimentare i data center in modo sostenibile.
  • Facilitare l’accesso a grandi quantità di dati (sia pubblici, sia industriali) per addestrare i modelli.
  • Investire su formazione e talento con programmi di specializzazione e “AI Erasmus” capaci di attrarre e mantenere ricercatori ed esperti in Europa.

Questi elementi, secondo OpenAI, rappresentano la base indispensabile per consentire la nascita di un vero “ecosistema AI” europeo, capace di competere globalmente e sostenere la crescita economica locale.

2. Regole chiare ma non ostacolanti

Il secondo principio richiede un quadro normativo più semplice ed efficiente. OpenAI invita l’Unione Europea a:

  • Evitare frammentazioni all’interno del Mercato Unico, per non costringere le imprese a destreggiarsi tra 27 discipline differenti.
  • Rendere coerenti le numerose normative digitali già esistenti, eliminando quelle ridondanti.
  • Rafforzare l’AI Act, ossia la prima legislazione europea sull’AI, ma mantenendo un equilibrio che tuteli i cittadini senza allontanare startup e investitori.

In sostanza, la proposta è quella di un contesto regolatorio che non soffochi l’innovazione. OpenAI riconosce la centralità di proteggere i consumatori, specialmente i più giovani, ma esorta l’Europa a lavorare su un unico impianto di regole, più snello e armonizzato.

3. Adozione diffusa in ogni settore

Il terzo asse evidenzia la necessità di rendere l’AI più accessibile a imprese, enti pubblici, istituzioni scolastiche e cittadini. Con 100 milioni di cittadini europei che da qui al 2030 possano frequentare corsi gratuiti online.

L’ambizione è duplice:

  • Spingere l’impiego dell’AI nelle aziende, incluse PMI e startup, offrendo incentivi (fiscali e di altra natura) e acceleratori economici dedicati.
  • Promuovere l’AI nel settore pubblico, dove le procedure di appalto e la burocrazia spesso rallentano l’innovazione.

I progetti concreti includono partnership tra governi e giganti tecnologici per digitalizzare la sanità e la pubblica amministrazione, oltre a programmi di formazione capillari per dare a studenti e docenti una base di competenze AI già dalle scuole superiori.

4. Sviluppo responsabile e valori europei

L’ultimo principio è la sintesi dell’approccio di OpenAI: l’AI deve rispettare le persone e le peculiarità dei sistemi democratici occidentali. Molta attenzione è dedicata alla protezione dei giovani, alla personalizzazione delle impostazioni e, più in generale, a misure che tutelino i diritti fondamentali e la privacy.

Non si parla molto di tutela del diritto d’autore. Non è un caso, visto che Sam Altman, co-fondatore e Ceo di OpenAI, ha detto che se gli Stati Uniti non riformano la tutela della proprietà intellettuale, la Cina vincerà la corsa tecnologica. In poche parole, se il “New York Times” e gli altri continueranno a fare causa a OpenAI per tutelare i propri contenuti che sono stati ingoiati e assorbiti dai Large language model, sarà Pechino a ingoiare l’Occidente. Secondo Altman (e non solo), le grandi aziende americane dovrebbero avere campo libero per addestrare i loro modelli sempre più mastodontici.

Se il manuale del diritto d’autore non è in cima alla pila dei libri sul comodino di OpenAI, troviamo altri consigli da azienda “buona”:

  • OpenAI spiega come integrare filtri e tecnologie per evitare abusi, come la diffusione di contenuti illegali e la creazione di deepfake dannosi.
  • Vengono proposti strumenti di alfabetizzazione digitale per far comprendere meglio le potenzialità e i limiti dell’AI, sia agli studenti sia ai cittadini di tutte le fasce d’età.
  • L’azienda promuove il coinvolgimento degli utenti finali nelle scelte di funzionamento dei modelli, incoraggiando un’AI “personalizzabile” che rifletta gusti e valori degli individui, nel rispetto di standard di sicurezza e trasparenza.

I punti più controversi del piano

Sebbene il Blueprint di OpenAI presenti una visione articolata e ambiziosa per il futuro dell’AI in Europa, vi sono alcuni aspetti che suscitano perplessità, oltre al già citato “buco” in tema di copyright:

  1. Dominio di un attore esterno
    L’iniziativa è sì rivolta all’Europa, ma proviene da un’azienda americana di dimensioni e influenza enormi. C’è il rischio che buona parte dell’infrastruttura (come i data center e i supercomputer) finisca per dipendere fortemente da investimenti e competenze estere, riducendo l’autonomia tecnologica dell’Ue.
  2. Concentrazione del potere sul fronte regolatorio
    OpenAI suggerisce un quadro normativo semplificato, che di per sé è un obiettivo condivisibile. Tuttavia, se questa semplificazione si traducesse in un’ingerenza eccessiva delle grandi aziende nella definizione delle regole, verrebbe meno uno dei principi cardine dell’Ue: la concorrenza leale e il controllo pubblico sulle distorsioni nell’economia digitale.
  3. Focus su investimenti “miliardari”
    Il piano sottolinea la necessità di svariati miliardi di euro per costruire infrastrutture e formare personale. Non è chiaro, però, come verrebbero distribuiti i benefici: si rischia di ampliare il divario tra Paesi e regioni più attrezzati (che attirano maggiori investimenti) e quelli che non dispongono già di solide basi tecnologiche o industriali.
  4. Rischio di marginalizzare l’approccio etico su scala locale
    Il piano richiama più volte lo sviluppo “responsabile” dell’AI, ma non chiarisce in che modo le differenti sensibilità etiche dei singoli Stati, o di diversi gruppi della società civile, possano venire integrate. Sebbene l’Ue abbia principi comuni, spesso culture e normative nazionali divergono anche su questioni eticamente delicate.

Il Blueprint di OpenAI è un interessante spunto di riflessione su come l’Europa possa recuperare un po’ di terreno perduto. Certo, l’adozione di un piano elaborato da un grande attore statunitense richiede un dibattito critico: occorre valutare con attenzione l’impatto di investimenti così grandi e la reale tutela dei valori e dell’autonomia europea, dalla privacy alla protezione del diritto d’autore.