Serve un Digital Omnibus che guardi al futuro delle imprese e che punti ad un mercato europeo sempre più in espansione. È questo l’appello che rivolgono start up e politici italiani nell’ambito dell’evento “Appello per un Digital Omnibus più ambizioso ed efficace per l’Innovazione e la competitività europea” che si è tenuto alla Camera dei deputati, oggi 3 dicembre 2025.
L’iniziativa è stata promossa dagli onorevoli Andrea Volpi e Antonio Giordano, in collaborazione con Italian Tech Alliance, l’Associazione Nazionale Giovani Innovatori (Angi), Zest, e Ai Salon, e ha visto la partecipazione di una vasta coalizione di attori italiani dell’innovazione. La richiesta che viene rivolta all’esecutivo del blocco dei 27 Stati membri è quella di sviluppare una riforma strutturale del quadro normativo digitale europeo, con particolare attenzione all’Ai Act.
Un intervento “serio e incisivo – spiega Volpi – per semplificare il quadro normativo europeo. Solo così – aggiunge il deputato – potremo assicurare un terreno fertile per la competitività e l’innovazione delle imprese e delle startup italiane ed europee”.
“La nostra linea è chiara – ha aggiunto l’onorevole Antonio Giordano, segretario del partito conservatore europeo (Ecr) -: tutela e sicurezza dei cittadini europei, insieme al pieno sostegno all’innovazione. Oggi l’Europa rischia un cortocircuito: una regolazione molto avanzata sull’Ai, senza una corrispondente forza tecnologica e produttiva. Serve riequilibrare l’azione europea: meno ossessione per il dettaglio, più capacità di competere e crescere. Come forza di governo e come conservatori europei, ribadiamo un principio: diritti garantiti e, allo stesso tempo, libertà di innovare difesa e promossa. È l’impegno che confermiamo e che porteremo avanti”.
I limiti del Digital Omnibus
Il “Digital Omnibus Regulation” è il nuovo pacchetto normativo presentato dalla Commissione europea. Si tratta di un intervento organico il cui obiettivo dichiarato è razionalizzare l’intero ecosistema delle norme digitali dell’Unione. Lo scopo è quello di semplificare, armonizzare e rendere coerente un quadro regolatorio che si è stratificato progressivamente negli ultimi anni attraverso numerosi strumenti normativi, tra cui il Regolamento generale sulla protezione dei dati (Gdpr), il Digital Services Act e, più recentemente, l’Ai Act.
Questa proliferazione di regolamenti, sebbene ispirata alla tutela dei diritti e allo sviluppo tecnologico, ha generato un sistema complesso che ha relegato l’Unione europea a spettatrice nella dinamica globale della trasformazione digitale e dell’intelligenza artificiale, concentrando gli sforzi su quello che è stato percepito come un eccesso di regolamentazione anziché una prospettiva che guarda alla sperimentazione, allo sviluppo e alla crescita.
Come evidenziato dal Manifesto presentato alla Camera e richiamando le parole di Christine Lagarde e Mario Draghi, “l’Europa ha già perso l’opportunità di essere first-mover nell’Ai”. Dal 2019, l’Ue ha approvato oltre 70 nuove normative in ambito digitale, arrivando a contare oltre 100 leggi e 270 regolatori digitali attivi. A causa del Gdpr, il costo dei dati per le aziende europee è aumentato di circa il 20% rispetto agli Stati Uniti, scoraggiando gli investimenti. Di conseguenza, la quota di capitalizzazione del mercato tech globale dell’Europa è crollata dal 20% al 4% dagli anni 2000 ad oggi.
In questo contesto, infatti, l’Ai Act ha aggiunto un ulteriore livello di complessità normativa, introducendo nuovi obblighi con standard ancora non definiti e un intero capitolo volto a regolare la tecnologia in sé, a prescindere dall’uso che se ne faccia.
I promotori dell’Appello sostengono che si tratti di una modifica superficiale di un impianto che richiederebbe, invece, interventi strutturali. Per le startup, la semplificazione non è un mantra ideologico, ma una condizione necessaria per investire, crescere e trattenere competenze nel continente.
Le voci delle Start up italiane
Le voci dell’ecosistema dell’innovazione hanno sottolineato l’approccio regolatorio europeo come troppo “timido e burocratico”. Roberto Magnifico, Partner e Board Member di Zest Innovation, ha sintetizzato l’appello chiedendo ambizione istituzionale: “Le startup italiane sono pronte a fare la loro parte, ma le istituzioni devono dimostrare la stessa ambizione”. Per questo, gli innovatori chiedono “un ampliamento complessivo del Digital Omnibus che permetta di intervenire su tutte le criticità emerse, a partire dall’Ai Act”.
L’urgenza deriva dalla crisi di competitività, con l’Europa che, secondo Luca Visconti, Ceo di HEU, startup Ai che lavora in ambito legale, procede con il “freno a mano tirato”. Visconti ha evidenziato la stratificazione normativa: dal 2019, “l’Ue ha approvato oltre 70 normative digitali, arrivando a contare più di 100 leggi sul tech”. Uno scenario che “ha contribuito al crollo della quota di capitalizzazione del mercato tech globale dell’Europa, passata dal 20% al 4% in vent’anni”. Il Ceo di HEU ha avvertito che se l’Europa non svilupperà propri Llm (Large Language Models), che sono “contenitori di cultura”, rischia di affidarsi a categorie e valori non europei, diventando un continente che “rinuncia a raccontarsi”.
La critica si è poi concentrata specificamente sull’Ai Act, percepito come un freno. Gabriele Ferrieri di Angi ha chiesto una riforma coraggiosa, specialmente sul Capitolo V riguardante i modelli Gpai, che “pone limiti e regole alla tecnologia in sé, a prescindere dall’uso che se ne faccia”. A fargli eco è Lorenzo Luce, Ceo della startup Big Profiles.ai, che ha avvertito che se si dovessero attendere dieci anni per migliorare l’Ai Act, come è successo per le modifiche al Regolamento sulla privacy, “l’Italia e l’Europa sarebbe fuori dalla competizione”. Luce ha accusato l’atto di “azzoppare un’industria sul nascere”, concludendo che le startup non chiedono solo finanziamenti, ma di “essere lasciati liberi di concorrere in un mercato globalizzato”. Questa dicotomia è stata riassunta da Alessandro Ramponi, Ceo e co-founder di Tropico Security, con ha ricordato la formula: “Gli Usa creano, la Cina replica, l’Ue regolamenta” per sottolineare la necessità di restare al passo cambiando anche l’approccio culturale.
Le difficoltà pratiche sono state ampiamente documentate. Antonio Ruscitti, ceo e co-founder di Dishup, ha notato che nella sola San Francisco nascono 20 aziende l’anno, contro solo 1 in Europa, suggerendo che negli Stati Uniti la non regolamentazione è vista come “un’opportunità”, mentre in Europa la sua assenza è percepita come qualcosa “da cui difenderci”. E che la burocrazia sia particolarmente pesante anche in altri settori, lo ha spiegato Giulia Di Tomaso, Cto di Heremos, startup che lavora nell’health tech, la quale ha sottolineato che l’approvazione del comitato etico per l’uso dell’Ai può richiedere “tra i sei mesi e un anno”, rallentando così le scoperte in ambito medico. Infine, Lucia Viola della startup Comunico ha espresso la speranza che le istituzioni abbiano il “coraggio” di fare qualcosa di concreto per semplificare il loro lavoro e dare la necessaria spinta alle start up e alle imprese italiane e europee.
