Perché la Nasa vuole costruire un reattore nucleare sulla Luna

L'agenzia spaziale Usa vuole accelerare gli sforzi e battere sul tempo Cina e Russia, che stanno collaborando per realizzare una Stazione Internazionale di Ricerca Lunare. Ma i tagli di Trump potrebbero ostacolare il progetto
2 ore fa
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Uomo sulla Luna

La corsa allo Spazio non si ferma, anzi è ripresa più forte che mai. E la Nasa spinge sull’acceleratore, puntando a costruire per prima un reattore nucleare sulla Luna, avamposto per la successiva conquista di Marte. Il segretario ai Trasporti degli Stati Uniti Sean Duffy, che Trump un mese ha nominato anche amministratore ad interim dell’agenzia spaziale statunitense, ha appena firmato due direttive: una riguarda il nostro satellite, l’altra la Stazione Spaziale Internazionale.

“Vincere la seconda corsa allo Spazio”

La prima direttiva Duffy riprende il ‘Fission Surface Power Project’ della Nasa, che puntava ad avere un sistema di reattori nucleari da 40 kilowatt pronti per la Luna entro il 2030. Ma ingrandisce il progetto inziale e ne sottolinea l’importanza strategica. L’obiettivo delineato ora dall’ex conduttore di Fox News prevede di avere un reattore nucleare da 100 kw da lanciare entro il 2030: un fattore chiave per far ritornare l’uomo sulla Luna, e in vista di una successiva espansione sul Pianeta rosso.

Il motivo è presto detto: “Si tratta di vincere la seconda corsa allo Spazio“, ha affermato un alto funzionario della Nasa a Politico. Cina e Russia, infatti, sono a loro volta impegnate in questa partita, e stanno anche collaborando per creare una fonte di energia atomica sulla superficie lunare entro il 2030, propedeutica alla loro Stazione Internazionale di Ricerca Lunare, anch’essa da realizzare rapidamente.

Ma arrivare primi, sottolinea Duffy nella direttiva, è di enorme importanza strategica, perché significherebbe poter “dichiarare una zona di divieto”, di interdizione, collegata all’impianto nucleare, andando a limitare anche pesantemente l’accesso americano al satellite. La corsa allo spazio perciò non è più soltanto una questione di prestigio: è una nuova forma di dominio, a 384.400 km dalla Terra.

“Siamo in una corsa verso la Luna, una corsa con la Cina. E per avere una base sulla Luna, abbiamo bisogno di energia”, ha dichiarato Duffy ai giornalisti durante una conferenza stampa il 5 agosto. “Se vogliamo sostenere la vita sulla Luna, per poi andare su Marte, questa tecnologia è di importanza critica”, ha spiegato, riferendosi all’energia di fissione di superficie. Questa, si legge sul sito della Nasa, “può fornire energia abbondante e continua indipendentemente dalle condizioni ambientali sulla Luna e su Marte”.

Non a caso il 2030, anno auspicato per il lancio del reattore, è anche la tempistica che si è data la Cina per avere il primo astronauta a passeggio sulla Luna.

I tagli di Trump non risparmiano la Nasa

La direttiva impone alla Nasa di designare un responsabile per l’iniziativa e di ottenere il contributo dell’industria entro 60 giorni, ma per il resto, al momento, non ci sono troppi dettagli. Anche una base lunare americana pare al di là da venire: la prossima missione della Nasa per riportare l’uomo sulla Luna, denominata Artemis III e programmata ormai quasi dieci anni fa, è fissata al 2027, mentre un insediamento stabile è previsto nel 2037. Ma queste date sono considerate ottimistiche.

Anche perché l’agenzia spaziale statunitense non è stata risparmiata dai tagli voluti da Trump: –24% sul bilancio Nasa del 2026. Il presidente Usa d’altronde intende puntare sui voli spaziali con equipaggio, infatti la sua amministrazione ha proposto l’aumento dei fondi per questo tipo di voli andando a sforbiciare da altre parti, soprattutto sulle missioni scientifiche, che vedrebbero dimezzare le risorse a propria disposizione.

Pensionare la Stazione Spaziale Internazionale

Duffy ha anche firmato una seconda direttiva, che punta a sostituire più rapidamente la Stazione Spaziale Internazionale, ormai vecchia (la sua dismissione è prevista nel 2030), con una gestita da privati e a scopi commerciali. Anche in questo caso, c’è Pechino che incombe: se il piano non andasse in porto, la Cina rimarrebbe l’unico Paese ad avere una stazione spaziale con equipaggio permanente in orbita.

La Nasa dunque intende modificare i contratti in modo flessibile e con meno burocrazia: la direttiva Duffy prevede di assegnare un contratto ad almeno due aziende entro sei mesi. Diverse società si stanno mobilitando. Tra esse: Axiom Space, Vast e Blue Origin.

Unione europea indietro

Mentre anche India e Giappone si danno da fare, l’Europa arranca. Attraverso la European Space Agency (Esa) e le agenzie istituzionali, l’Ue è attiva in progetti di esplorazione spaziale con equipaggio, sia attraverso collaborazioni internazionali che con programmi propri, con particolare attenzione allo sviluppo di tecnologie e alla ricerca scientifica. Ma rimane dipendente dalla Nasa e dalle partnership con altri Paesi. Ad esempio, il programma Artemis Moon, al quale sono affidate molte delle ambizioni lunari dell’Europa, è alla mercè delle decisioni dell’amministrazione Trump che, come abbiamo visto, ha già deciso di colpire il bilancio dell’agenzia spaziale.

E come dimostra Starlink – il blocco non dispone di una propria rete satellitare che possa competere con Usa e Cina -, anche in questo caso l’Unione rischia di rimanere schiacciata tra le superpotenze, senza una strategia autonoma e con un ruolo sempre più marginale.