L’Italia innova ma non troppo, e il Sud è indietro

Secondo un report della Commissione europea, dal 2016 in Italia c’è stato un miglioramento ma le performance in ambito R&S rimangono sotto la media dell’Unione
3 mesi fa
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Innovazione tecnologica

L’Italia innova ma non troppo. Per essere precisi è un “moderato performer in termini di innovazione”, così come viene definita dallo European Innovation Scoreboard (EIS) 2023, un report annuale realizzato dalla Commissione europea per valutare l’innovazione nell’Unione, anche a confronto con Paesi competitor, e per individuare le aree dove ogni Stato può intervenire. Parlando nel suo insieme, l’Europa tra il 2017 e il 2024 ha visto migliorare del 10% la sua performance innovativa, grazie anche alla nuova Agenda Europea per l’Innovazione, lanciata nel 2022.

Ma guardando più da vicino, dall’EIS emerge chiaramente che i membri dell’Ue procedono a velocità differenti, con gli avanzamenti maggiori laddove la situazione è già positiva. L’EIS divide infatti i Paesi in quattro categorie: Leader dell’Innovazione, Innovatori Forti, Innovatori Moderati ed Emergenti. E l’Italia appunto è ‘moderata’, collocandosi ben al di sotto la media europea negli indicatori

Collaborazioni pubblico-privato (fondamentale per trasformare la ricerca in applicazioni commerciali)
Capacità di attrazione dei sistemi di ricerca
Competenze digitali della popolazione.

Va meglio invece per Investimenti aziendali e Digitalizzazione, suggerendo la presenza di un ambiente favorevole per le start-up e le imprese esistenti che investono in tecnologia e innovazione.

Il report della Commissione: Italia sotto la media europea

La Commissione ha anche realizzato una ‘Raccomandazione per una Raccomandazione del Consiglio relativa alle politiche economiche, sociali dell’occupazione, strutturali e di bilancio dell’Italia relativa al 2024’. In sostanza un ‘country report’ che racchiude un’analisi del nostro Paese su tutta una serie di temi economici, tra cui l’innovazione, quest’ultima ormai fondamentale in un mondo sempre più tecnologico, globalizzato e ipercompetitivo.

Secondo il report, dal 2016 in Italia c’è stato un miglioramento ma le performance in ambito R&S rimangono al 90,3% della media dell’Unione europea. Un risultato poco lusinghiero, aggravato da due considerazioni: la prima è che ormai ricerca e innovazione sono imprescindibili sia per realizzare la duplice transizione tecnologica ed ecologica sia per garantire la competitività a lungo termine del Pase. La seconda è che, se l’Italia nel suo insieme fa male – solo la Lombardia si salva –, il Sud fa ancora peggio, allargando anche in questo campo il divario con il Centro-Nord.

I motivi che bloccano il potenziale di innovazione italiano, individuati dal report della Commissione, sono diversi e complessi:

investimenti pubblici in R&S bassi e stagnanti: nel 2022 sono stati pari allo 0,53% del Pil, sotto la media Ue (0,73%). Ciò ha impatti su brevetti/marchi, start-up innovative, integrazione con le catene di approvvigionamento internazionali e produttività
scarsa disponibilità di capitale umano e di competenze in ambito scientifico, tecnologico e innovativo: anche se si registra un miglioramento nel numero di laureati STEM, siamo ancora sotto i livelli europei, senza contare che in Italia nel 2023 solo il 30,6% dei giovani tra 25 e 34 anni ha completato con successo l’istruzione terziaria
bassa spesa delle imprese in R&S
spesa pubblica per la R&S finanziata dalle imprese in ritardo rispetto all’Ue
legame tra scienza e imprese poco sfruttato, specialmente nelle Pmi, e questo nonostante il numero di co-pubblicazioni scientifiche pubblico-privato sia superiore alla media dell’Ue
scarse attività di scambio di conoscenze e di collaborazione nel sistema di istruzione superiore
carriere di ricerca non appetibili, caratterizzandosi per difficoltà di accesso e scarse remunerazioni, il che ha due conseguenze. La prima, più ovvia, è la fuga di cervelli all’estero, ragazzi per la cui formazione, tra l’altro, sono stati spesi soldi pubblici. La seconda è che pochi stranieri vengono in Italia per fare ricerca e sviluppo, con effetti negativi sull’internazionalizzazione del sistema. Prova ne è la percentuale sotto la media Ue delle co-pubblicazioni internazionali.

Eppure l’Italia ha una eccellenza scientifica, come dimostra il numero di pubblicazioni scientifiche più citate, in aumento e superiore alla media Ue: un potenziale che non viene sfruttato e quindi, di fatto, è sprecato.

Solo la Lombardia è al passo con l’Europa, Sud sempre più lontano

L’innovazione italiana, fiacca e bloccata, si inserisce nel contesto di un’economia caratterizzata da una crescita lenta rispetto alla media dell’Ue e dal forte divario Nord-Sud. Basti pensare che negli ultimi 20 anni tutte le regioni, tranne la provincia autonoma di Bolzano, hanno perso costantemente terreno rispetto alla media europea in termini di PIL pro capite. E al Sud in modo pesantissimo: secondo i dati della Banca d’Italia (2023), tra il 2007 e il 2022 il PIL è diminuito del 10% nelle regioni meridionali e del 6,2% al Centro, mentre è aumentato lievemente nel Nord-ovest (+0,8%) e nel Nord-est (+1,7%). Per essere concreti, nel 2022, sei regioni meridionali avevano un PIL pro capite a parità di potere d’acquisto inferiore al 75% della media dell’Ue. Le differenze regionali insomma sono aumentate.

Un fenomeno dovuto (anche) ai divari di produttività del lavoro, ampi e addirittura in aumento tra le regioni settentrionali più sviluppate e il resto del Paese. Il peggioramento della produttività del lavoro è stato continuo e importante negli ultimi due decenni. Nel 2022 la produttività del lavoro variava dal 136% della media Ue di Bolzano all’81% della Calabria (facendo 100 la media Ue) ed era superiore al 107% in tutte le regioni settentrionali e nel Lazio, ma inferiore al 95% in tutte le regioni meridionali, nelle Marche e in Umbria.

La bassa produttività si combina a sua volta con i preoccupanti tassi di occupazione dell’Italia meridionale: nel 2022, in Sicilia, in Calabria e in Campania lavorava meno della metà della popolazione tra i 20 e i 64 anni, rispettivamente il 46,2%, il 47% e il 47,3%.

Tra i motivi di questo stato di cose, ci sono il calo demografico nel Sud, soprattutto per quanto riguarda i giovani e le persone qualificate, il basso livello di istruzione, strettamente legato alla capacità di innovare, e la specializzazione settoriale della base imprenditoriale. Tutto ciò indica una ridotta capacità del Paese, in particolare delle aree meno sviluppate, di cogliere le tendenze di crescita in settori dinamici e avanzati. Lo dimostra anche il fatto che la quota di occupazione nei settori ad alta tecnologia sia vicina alla media dell’Ue al Nord e al Centro, ma meno della metà al Sud e nelle Isole.

Risultato: la capacità di innovazione nelle regioni meridionali e insulari dell’Italia è nettamente inferiore a quella del resto d’Italia, con solo la Lombardia e il Lazio che sovraperformano rispetto al Paese.

Innovazione Italia Country Report Commissione

Possibili soluzioni

Tanti i problemi delineati dal report, ma non tutto è perduto. Intanto, il Piano per la ripresa e la resilienza (PNRR) ha mobilitato importanti risorse finanziarie e ha introdotto misure per migliorare l’appeal delle carriere di ricerca. Investimenti come progetti di grande interesse nazionale e il sostegno a giovani ricercatori e dottorati innovativi, ad esempio, sono concepiti per migliorare la ricerca scientifica e ampliare il bacino di capitale umano nella R&I. Inoltre, il Piano punta a sostenere la mobilità dei professionisti più qualificati in R&I tra il settore pubblico e quello privato, e a semplificare la gestione dei fondi per la ricerca.

Il PNRR comprende poi misure che possono rafforzare i legami tra scienza e imprese. Tra queste, l’abolizione nel codice della proprietà industriale riformato del ‘privilegio del professore’ (la regola che dà agli accademici piuttosto che alle università la proprietà su tutti i brevetti che creano, ndr) avrà un impatto positivo sulla promozione dell’innovazione, oltre a finanziare il miglioramento delle attività di proprietà industriale, come i programmi di proof of concept (in pratica una verifica teorica, attraverso prototipi o simulazioni, delle potenzialità di sviluppo di un’idea e i relativi investimenti, ndr).

Altre misure mirano a rafforzare i centri di trasferimento tecnologico e a sostenere la creazione di “leader nazionali di R&S” sulle tecnologie abilitanti fondamentali.

A completamento di questo processo, l’OCSE, in un recente studio, ha raccomandato, tra le altre cose, di istituzionalizzare ulteriormente il ruolo degli uffici per il trasferimento di tecnologie al fine di rafforzare le attività di scambio di conoscenze e di collaborazione.

Ci sono poi i fondi della politica di coesione, che per il periodo 2021-2027 mettono sul piatto oltre 6,3 miliardi di euro per sostenere la ricerca e l’innovazione, in particolare nel Sud Italia.