Commissione europea vs big tech Usa. Una battaglia che va avanti da tempo e che si combatte a suon di leggi, regolamenti, ricorsi e carte bollate. Minimo comun denominatore: il rispetto della concorrenza e dunque dei diritti dei cittadini e delle imprese. Obiettivo: evitare che i giganti della tecnologia abusino delle loro posizioni dominanti nel mondo digitale.
Ue contro Microsoft
L’ultimo atto delle ostilità si è consumato proprio oggi. L’Unione europea accusa Microsoft di violare le norme sull’antitrust per quanto riguarda Teams: l’azienda avrebbe ottenuto un “vantaggio indebito” raggruppando l’app di videoconferenza con Office, danneggiando in questo modo altre realtà come Slack e Zoom.
“Siamo preoccupati che Microsoft possa dare al proprio prodotto di comunicazione Teams un vantaggio indebito rispetto ai concorrenti, legandolo alle sue popolari suite di produttività per le aziende”, ha dichiarato Margrethe Vestager, commissario europeo per la concorrenza, aggiungendo: “Se confermata, la condotta di Microsoft sarebbe illegale secondo le nostre regole di concorrenza. Microsoft ha ora l’opportunità di rispondere alle nostre preoccupazioni”.
L’azienda ha risposto tramite il suo presidente Brad Smith: “Dopo aver disaggregato Teams e adottato i primi passi di interoperabilità, apprezziamo l’ulteriore chiarezza fornita oggi e lavoreremo per trovare soluzioni per affrontare le restanti preoccupazioni della commissione”.
Microsoft dunque sta cercando di risolvere il caso per evitare accuse formali di violazione della legge e una potenziale multa fino al 10% dei suoi ricavi globali annuali.
Le accuse arrivano mentre la società si sta occupando della questione delle sue partnership con le start-up di intelligenza artificiale, in primis OpenAI, su cui peraltro l’Ue sta valutando se avviare un’indagine completa. Ad aprile, Microsoft ha offerto alcune concessioni per evitare azioni da parte delle autorità antitrust, tra cui la disaggregazione di Teams da altri software come Office al di fuori dell’Europa. Evidentemente, per la Commissione non è abbastanza.
Ue contro Apple
Le accuse a Microsoft arrivano a ruota dopo un altro intervento, giunto ieri, il primo nell’ambito del Digital Markets Act (DMA): la Commissione ha accusato Apple di danneggiare la concorrenza con il suo App Store. Nel dettaglio, contesta le policy che non consentono agli store concorrenti di distribuire le proprie app (e di funzionare sull’iPhone).
Apple ha difeso le sue pratiche per anni, poi a gennaio ha introdotto delle modifiche per rispondere al Digital Markets Act, peggiorando le cose in quanto ha imposto delle commissioni che di fatto scoraggiano la concorrenza. Tim Sweeney del concorrente Epic Games, da anni in lotta contro l’app store di Cupertino, ha definito il comportamento di Apple una “conformità dannosa“.
E dunque sono arrivate le accuse dell’Unione europea.
ll Digital Markets Act alla sua prima prova
Si tratta di un momento molto importante, perché per la prima volta entra in gioco il DMA, la legge sui mercati digitali approvata nel 2022 e diventata esecutiva lo scorso marzo con l’obiettivo di rendere i mercati del settore digitale più equi e aperti alla concorrenza.
Per il DMA, i gatekeeper, ovvero le piattaforme internet di accesso, che hanno in mano i ‘rubinetti’ e possono decidere chi passa e chi no, devono comportarsi in modo equo on line e dare spazio agli altri operatori.
I gatekeeper sono grandi piattaforme digitali che forniscono un servizio digitale tra quelli previsti dal regolamento e definito ‘servizio di piattaforma di base’, come ad esempio motori di ricerca online, app store e servizi di messaggistica. Queste aziende hanno:
• una forte posizione economica, un impatto importante sul mercato interno e sono attivi in diversi paesi dell’Ue
• una forte posizione di intermediazione, ovvero collegano un’ampia base di utenti a un gran numero di imprese
• una posizione radicata e duratura sul mercato, cioè stabile nel tempo.
Il 6 settembre 2023 la Commissione europea ha designato per la prima volta sei gatekeeper: Alphabet, Amazon, Apple, ByteDance, Meta, Microsoft. In totale, sono stati designati 22 servizi di piattaforma di base forniti da tali gatekeeper.
Ue contro i gatekeeper
E praticamente con tutti e sei c’è qualche problema. A marzo la Commissione ha fatto sapere che stava indagando anche su Alphabet e Meta Platforms per verificare se rispettino il DMA, mentre ad Amazon ha solo inviato una richiesta di informazioni.
Ci sono parecchi precedenti: Bruxelles ha già inflitto oltre otto miliardi di euro di multe solo a Google per aver abusato della sua posizione dominante sul mercato. In particolare, nel 2018, la società è stata multata per 4,3 miliardi di euro per aver abusato della posizione dominante del suo sistema operativo mobile Android per promuovere il motore di ricerca di Google. Multa ridotta a 4,1 miliardi di euro in appello.
L’azienda inoltre sta contestando davanti alla Corte Europea di Giustizia una multa di 2,4 miliardi di euro del 2017 per aver abusato del suo potere nello shopping online e una multa di 1,5 miliardi di euro del 2019 per “pratiche abusive” nella pubblicità online.
L’Ue poi aveva già attenzionato Apple, accusandola di bloccare i rivali dal suo sistema di pagamento contactless per iPhone, e ha multato Microsoft per 561 milioni di euro nel 2013 per aver imposto il suo browser Internet Explorer agli utenti di Windows 7.
Inoltre ha nel mirino anche Meta per aver collegato il suo servizio di social media Facebook al suo servizio di annunci economici Facebook Marketplace.
Microsoft e Apple ora ovviamente possono difendersi, anche perché le sanzioni previste dal DMA sono molto alte: fino al 10% del fatturato globale dell’azienda, che nel caso di Apple sarebbe di 38 miliardi di dollari, con il rischio di salire al 20% “in caso di ripetute violazioni”.
La difesa delle big tech si incentra sul fatto che le loro norme e i loro comportamenti siano mirati a garantire la sicurezza e la privacy per i propri utenti, che altrimenti sarebbero a rischio.
Davide (Ue) contro Golia (big tech)
Mentre i procedimenti vanno avanti, quello che conta è che, dopo due decenni di crescita quasi illimitata e non regolamentata, le più grandi piattaforme tecnologiche del mondo sono ora attenzionate, e non solo dall’Unione europea: un alleato in questo senso, con tutte le differenze esistenti (in primis la mancanza di una normativa antitrust dedicata al mondo digitale), sono gli Stati Uniti, che a loro volta hanno cominciato a portare in giudizio le big tech.
Un cambiamento condiviso tra le due sponde dell’Atlantico e che potrebbe segnare un momento di svolta nel rapporto di potere tra le democrazie occidentali e le aziende tecnologiche.
Ma la sfida è tutta in salita: intanto perché il ritmo burocratico e l’approccio dei regolatori occidentali sono troppo lenti per poter competere con le svelte aziende digitali, abituate a tempi velocissimi e a un mondo ultra-dinamico (che peraltro hanno contribuito a forgiare). Inoltre, ancora più grave, l’Unione europea non ha le risorse necessarie per portare avanti indagini, controlli e contenziosi di tale portata. A Bruxelles si sentono Davide contro Golia. Finirà allo stesso modo?