Perché l’Europa non può permettersi di rimandare l’AI Act. Il punto del prof. Lapenta

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*Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Francesco Lapenta, fondatore e direttore del del John Cabot University Institute of Future and Innovation Studies

Tre modelli globali per l’intelligenza artificiale: Usa, Cina, Europa

Per anni, il dibattito globale sull’intelligenza artificiale si è mosso tra esitazioni, accelerazioni improvvise e normative incoerenti. Oggi, però, tre visioni distinte stanno prendendo forma con sempre maggiore chiarezza. Gli Stati Uniti hanno scelto un modello tecno-industriale, spinto da logiche infrastrutturali e da un approccio deregolamentato, dove gli interessi civili e militari si intrecciano sempre più. La Cina ha risposto con una strategia diversa, meno frontale ma non meno ambiziosa: una diplomazia multilaterale che si propone inclusiva, pur mirando a costruire una propria architettura normativa parallela. L’Europa, infine, ha tracciato una traiettoria diversa, fondata su controllo democratico, trasparenza istituzionale e maturità giuridica. L’AI Act rappresenta la formalizzazione di questo orientamento.

Il rischio di rinunciare al vantaggio europeo

Rinviare o indebolire questo strumento, ora, non sarebbe prudente come alcune voci da qualche settimana sembrano suggerire, ma sarebbe invece un grande passo falso. Ciò che alcuni definiscono flessibilità per favorire la competitività europea in in mondo dove lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale sembra sempre più deregolamentato corrisponderebbe, nei fatti, a un abbandono dell’unico vero vantaggio strutturale europeo: quello di essere il primo blocco geo-politico ad oggi che tenta di governare l’intelligenza artificiale attraverso la legge, non attraverso la forza. Una scelta, questa, tutt’altro che idealistica: è un calcolo strategico fondato su un’intuizione strutturale. E quando, non se, i modelli ad alte prestazioni inizieranno a rivelare le proprie fragilità sistemiche e rischi, quell’intuizione si rivelerà essenziale.

Dietro l’accordo commerciale Usa-Ue: una nuova interdipendenza

Gli eventi recenti rendono ancora più evidente la posta in gioco. L’accordo commerciale siglato tra Unione Europea e Stati Uniti, che a prima vista riguarda tariffe e dazi, nasconde in realtà un riorientamento molto più profondo. È vero: il tetto del 15% ha evitato lo scenario catastrofico del 30%, che avrebbe penalizzato duramente industrie strategiche europee. Ma dietro le cifre si intravede un’altra struttura: un nuovo assetto di interdipendenza transatlantica. L’impegno europeo a investire 600 miliardi nell’economia statunitense e ad acquistare 750 miliardi in energia americana, per non parlare dei microchip, lega il continente in maniera sempre più vincolante alla rete infrastrutturale di Washington.

Washington accelera: l’AI Action Plan di Trump

Non è solo commercio: quello dell’Europa è stato un riposizionamento strategico.
La stessa logica si ripropone nell’ambito dell’intelligenza artificiale. Il piano d’azione AI presentato dall’amministrazione Trump rappresenta una svolta decisa. Non finge più che il motore dell’innovazione sia basata sulla neutralità del mercato: ma abbraccia apertamente una visione di supremazia tecnologica nazionale guidata dai principi di interesse nazionale. I tre pilastri del piano, accelerare l’innovazione, rafforzare l’infrastruttura domestica, e imporre standard tecnici globali, mirano a qualcosa che va oltre la competitività. È una corsa per scrivere, per primi, la grammatica operativa dell’IA e construirne le infrastrutture portanti. Ciò avviene con la richiesta esplicita di eliminare “vecchie” leggi in favore di efficienza e rapidità, si rinuncia alla memoria istituzionale per inseguire il vantaggio tattico.


La diplomazia infrastrutturale della Cina

La Cina, parallelamente, ha costruito una contro-narrazione. La sua proposta di collaborazione internazionale sulla governance dell’IA non è un gesto di cortesia diplomatica, ma un’operazione strutturale. Offrendosi come facilitatore e non come dominatore, Pechino punta ad attrarre il Sud Globale e gli Stati diffidenti verso l’unilateralismo americano. Non è semplice retorica: anche questa è diplomazia infrastrutturale. La Cina sta costruendo un ecosistema alternativo, dove produzione, regolazione e soft power si fondono.

L’Europa tra regolazione e geopolitica: perché non può esitare

In questo scenario triangolato, l’Europa non può permettersi esitazioni. L’idea che una regolamentazione troppo rigida ostacoli l’innovazione non tiene conto della natura reale dei sistemi di IA contemporanei e della geopolitica che finalmente si è consolidata in modo più leggibile. La geopolitica è cambiata in queste settimane, ma non i rischi legati all’IA: ricerche come quelle condotte da Anthropic mostrano che i modelli più avanzati tendono, sotto stress, a generare false risposte, eludere controlli, e aggirare i vincoli di supervisione. Non si tratta di errori occasionali: sono caratteristiche emergenti da sistemi complessi privi di regole adeguate che se non controllati avranno conseguenze.


Il cuore dell’AI Act: articoli pensati per i rischi sistemici

L’AI Act, per quanto possa essere giustamente criticato, è pur sempre il primo strumento legale complesso al mondo che cerca di portare la necessaria chiarezza istituzionale ai rischi ed a gli strumenti per mitigare i rischi dell’IA, ed è stato scritto con una chiara consapevolezza. I suoi articoli chiave, il 9, 10, 14, 15, 29 e 52, rispondono direttamente a rischi sistemici prevedibili: verifiche preliminari obbligatorie, tracciabilità documentale, verificabilità tecnica e misure di mitigazione codificate. Questi strumenti non sono barriere burocratiche. Sono ciò che consente agli ordinamenti giuridici di reggere l’urto dell’evoluzione tecnologica senza implodere. Sono l’ossatura della fiducia pubblica in un contesto dove la complessità supera spesso la comprensione immediata.


Deregolamentare oggi, crollare domani? Le fragilità del modello Usa

Gli Stati Uniti, nel breve termine, possono guadagnare slancio attraverso la deregolamentazione. Ma nel lungo termine, rischiano di costruire su fondamenta fragili. Il modello cinese, pur contestabile, dimostra che integrare governance, strategia industriale e visione geopolitica offre vantaggi strutturali. L’Europa, a sua volta, deve riconoscere che la regolazione è un asset strategico. Come è accaduto per le norme di Basilea o per il Gdpr, ciò che all’inizio genera resistenza finisce per imporsi come riferimento globale proprio perché affronta rischi che i mercati, da soli, non sanno gestire.

Normare per innovare: perché l’AI Act abilita, non ostacola

Chi definisce l’AI Act un ostacolo all’innovazione, semplicemente interpreta male la relazione tra tecnologia e regolazione. Il capitale normativo non limita: abilita. Rende possibile la coordinazione, la responsabilità condivisa e la scalabilità sostenibile. Articoli apparentemente tecnici, come quelli sull’interoperabilità (46), il monitoraggio post-mercato (61), o la tracciabilità (15), sono in realtà dispositivi per garantire stabilità sistemica. Senza di essi, l’Europa naviga senza zavorra istituzionale in acque sempre più agitate, e la posizione dell’Europa se mantenuta stabile, avrà enormi vantaggi anche nelle relazioni con gli Stati Uniti in primis, ma con molti altri paesi nel mondo.

Un modello democratico, non un segno di debolezza

Mentre Washington accelera sul piano industriale e Pechino costruisce la sua rete normativa, l’Europa sta offrendo ciò che oggi manca a entrambi: un modello democratico e tecnicamente solido. Non è un segno di debolezza, ma una distinzione strategica. E se la letteratura recente sull’allineamento dell’IA ha ragione anche solo in parte, i rischi sistemici non saranno marginali: saranno determinanti. In quel momento, una struttura regolatoria legittimata sarà non solo utile, ma indispensabile. Gli Stati Uniti, prima o poi, si troveranno a dover affrontare le conseguenze strutturali del proprio approccio deregolamentato. E quando accadrà, avranno bisogno di partner regolatori maturi con cui costruire un’armonizzazione delle regole, che sono parte stesso dell’innovazione dell’IA. L’expertise normativa dell’Europa, codificata nell’AI Act, non è solo un patrimonio interno. È capitale negoziale per plasmare ciò che verrà. Rinviare significherebbe non guadagnare tempo, ma perdere posizione.

La legittimità come capitale negoziale europeo

Ma, soprattutto, la legittimità non si improvvisa. Gli Stati Uniti possono dominare attraverso la scala. La Cina può mobilitare attraverso il controllo statale. Solo l’Europa sembra per ora di tentare di regolamentare l’IA da una prospettiva di responsabilità democratica. E questa differenza conta, per gli attori civici, per i paesi terzi, per chi cerca modelli alternativi al dominio e al controllo. L’AI Act dà forma concreta a quella legittimità. Rimandarlo ora significherebbe indebolire la credibilità dell’Europa, dissipare il suo vantaggio di first mover, e inviare un segnale di incertezza proprio mentre altri consolidano le proprie architetture. Significherebbe anche accettare regole concepite altrove, con priorità non europee.

Il tempo delle esitazioni è finito

Per concludere. L’accordo commerciale tra Trump e von der Leyen dimostra che il dialogo resta possibile. Ma un partenariato senza parità è solo un’adesione passiva. L’Europa deve arrivare al tavolo con qualcosa di più dei buoni propositi: deve portare gli strumenti che solo lei ha avuto la lungimiranza di costruire. Il tempo delle esitazioni è finito. L’AI Act non è una nota tecnica a piè di pagina. È ad oggi l’unica architettura di governance democratica dell’IA. Senza di esso, l’Europa non compete, ma si piega ed adatta alla capacità normativa di altri. Con esso, guida, negozia, e supporta vecchi e nuovi partner. Non per velocità o volume, ma per profondità istituzionale e scala del tempo. E questo nei prossimi cinque-dieci anni potrebbe essere l’unico vantaggio davvero duraturo per l’Europa, e per il mondo.