L’Europa sta già ripensando l’AI Act?

A poco più di un anno dall’entrata in vigore, Bruxelles valuterebbe aggiustamenti alla legge simbolo sull’intelligenza artificiale. Ma la “semplificazione” rischia di diventare un passo indietro
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Intelligenza Artificiale

A poco più di un anno dalla sua entrata in vigore, l’AI Act resta il banco di prova della politica digitale europea. La legge, pensata per fissare criteri di sicurezza e responsabilità nell’uso dell’intelligenza artificiale, è entrata in vigore nell’agosto 2024 ma le sue norme principali diventeranno operative solo nel 2026. È in questo intervallo che si sta giocando la partita politica più delicata.

Secondo una bozza interna della Commissione europea visionata dal Financial Times, Bruxelles starebbe valutando di introdurre un “periodo di grazia” per l’applicazione di alcune disposizioni e di includere queste modifiche nel cosiddetto “pacchetto di semplificazione digitale” atteso per novembre. La proposta, ancora informale, rientra nel lavoro di revisione che punta a rendere più coerente l’intero impianto normativo sul digitale e ad alleggerire gli oneri per le imprese.

L’AI Act, tuttavia, non è una legge qualunque. È il testo che ha sancito l’ambizione europea di stabilire standard globali per lo sviluppo e l’uso dell’intelligenza artificiale, in un equilibrio tra innovazione e tutela dei diritti. Toccarlo significa rimettere mano a un simbolo della “sovranità tecnologica” del continente. Alcuni commissari ritengono necessario un aggiustamento tecnico per evitare che l’Europa resti indietro rispetto ai concorrenti globali. Altri avvertono che un rinvio, anche parziale, potrebbe indebolire la credibilità politica dell’Unione proprio mentre gli altri blocchi economici accelerano.

Il dibattito, concentrato nelle ultime settimane all’interno della Commissione, ruota attorno a una domanda di fondo: fino a che punto l’Europa può difendere la propria identità regolatoria senza sacrificare la competitività? La decisione prevista per novembre dovrà chiarire se la “semplificazione” sarà un intervento di manutenzione o un vero cambio di rotta.

Tra burocrazia e competitività: il punto di rottura dell’AI Act

L’industria europea dell’intelligenza artificiale guarda con attenzione al confronto interno alla Commissione. Le imprese più piccole lamentano da tempo costi di adeguamento elevati e richieste di documentazione che, per chi opera con risorse limitate, rischiano di diventare un ostacolo. I grandi gruppi, invece, temono che una revisione improvvisa della normativa generi incertezza e penalizzi gli investimenti già avviati per conformarsi alle regole.

Le consultazioni pubbliche avviate negli ultimi mesi hanno messo in evidenza un problema ricorrente: la sovrapposizione fra normative diverse. L’AI Act interagisce con le regole su privacy, sicurezza informatica e responsabilità civile, creando spesso ambiti grigi che richiedono interpretazioni. Da qui la richiesta, avanzata da più settori industriali, di una maggiore chiarezza operativa e di un coordinamento più stretto tra le diverse autorità di vigilanza.

Sul piano politico, gli Stati membri si muovono su linee non coincidenti. Alcuni Paesi considerano l’AI Act uno strumento di protezione del mercato interno e una garanzia di trasparenza per i cittadini. Altri chiedono maggiore flessibilità per evitare un freno all’innovazione. Il risultato è una divisione che riflette due visioni dell’Europa digitale: quella che punta a costruire regole per ridurre i rischi e quella che teme di non riuscire a tenere il passo dei rivali globali.

La Commissione, stretta tra queste posizioni, sta valutando se introdurre meccanismi di transizione che consentano alle imprese di adattarsi gradualmente alle nuove disposizioni. L’obiettivo dichiarato è non rinunciare ai principi di fondo del regolamento, ma rendere la sua applicazione più sostenibile. Resta da capire se la revisione potrà davvero conciliare due esigenze che, per natura, procedono in direzioni opposte.

La politica industriale dietro la semplificazione

Il dibattito sull’AI Act ha superato i confini della tecnica legislativa. È diventato un tema di politica industriale e di equilibrio geopolitico. L’Unione europea si trova in una posizione complessa: rivendica la propria autonomia normativa, ma è inserita in un contesto globale dove Stati Uniti e Asia spingono per approcci opposti. L’uno più deregolato e orientato al mercato, l’altro fondato su una gestione centralizzata della tecnologia.

Questa tensione influisce sulla strategia complessiva dell’Unione. Da un lato c’è l’intenzione di difendere un modello di innovazione “responsabile”, che garantisca sicurezza, trasparenza e diritti. Dall’altro c’è la consapevolezza che un eccesso di vincoli può tradursi in fuga di competenze, rallentamento della ricerca e riduzione degli investimenti. Per molti governi, la priorità è mantenere la capacità di competere in un settore che in pochi anni determinerà la produttività e la sicurezza economica del continente.

La Commissione insiste nel presentare la revisione come parte di un programma più ampio di “semplificazione digitale”, volto a ridurre il carico amministrativo e a uniformare le procedure. È una formula che consente di intervenire senza ammettere esplicitamente una retromarcia, ma il risultato politico non cambia: l’Europa sta ridefinendo i confini della propria ambizione normativa.

In questo contesto, anche le relazioni internazionali giocano un ruolo. Le pressioni commerciali, le partnership industriali e i rapporti con i partner strategici condizionano la portata delle decisioni europee. L’AI Act, nato come progetto di autonomia, è diventato uno dei terreni su cui si misura la capacità dell’Unione di agire come attore globale, non solo come spazio regolato.