È il concetto di “coopetizione” – strategia che combina elementi di cooperazione e competizione – il cuore del nuovo rapporto del Centro Economia Digitale, presentato martedì alla Farnesina. Un approccio, come spiega ad Adnkronos il presidente del Ced Rosario Cerra, attraverso cui aziende, ma anche Stati, possono collaborare per creare più valore a monte e continuare a competere con soluzioni diverse a valle in modo da favorire l’innovazione. Tra gli ospiti della conferenza anche Diego Ciulli, Head of Government Affairs and Public Policy di Google Italia, che è intervenuto sottolineando come il mondo tecnologico sia (necessariamente) coopetitivo.
Raggiunto da Eurofocus, Ciulli offre una visione concreta di questo paradigma. Se oggi possiamo utilizzare applicazioni di intelligenza artificiale è grazie a un complesso sistema di tecnologie sottostanti, dalle infrastrutture di rete al cloud computing, dai dati alle – cruciali – competenze, ricorda. E nessun singolo attore possiede tutte queste risorse, né sarebbe ragionevole per un ente come una pubblica amministrazione affidarsi a un player solo. Dunque i sistemi devono garantire interoperabilità, “che è l’antenato informatico della coopetizione”.
L’esempio “più colossale” che offre il dirigente è BlueRaman, l’immenso sistema di cavi sottomarini che l’italiana Sparkle insieme a Google sta stendendo attraverso il Mediterraneo e fino all’India. A livello tecnico “sono tante coppie di cavi: su alcuni viaggiano i dati per il cloud privati di Google, altri forniscono la banda allocata da Sparkle. Ma è la stessa linea, stesa dalla stessa nave”. O ancora, il Polo Strategico Nazionale italiano, infrastruttura di cloud sicura per la Pa – dove aziende nazionali come Leonardo e Tim lavorano con fornitori concorrenti come Microsoft e la stessa Google in uno “sforzo costante di coopetizione”.
Fare rete per fare la Rete
Non si può non pensare ai recentissimi incidenti nel Mar Baltico, dove i cavi internet sono obiettivi vulnerabili di operazioni di guerra ibrida. La risposta al problema sicurezza è, per Google, “scontata: la ridondanza”. Più cavi per potenziare la rete e redistribuire il traffico: terreno fertile per esempi di coopetizione, perché i partenariati tra aziende telco, aziende tecnologiche e governi aumentano la sicurezza e la potenza complessive della Rete in una somma che è superiore alle sue parti. Per esempio, l’infrastruttura sottomarina “alleggerisce i costi delle telco stesse: oggi il 99% della strada che un bit di informazione percorre da un server Google a un cellulare spesso avviene su infrastruttura costruita da Google stessa”.
Tra privacy e sovranità
Naturale che in coalizioni del genere sia essenziale l’aspetto sicurezza – declinato in sovranità tecnologica per quanto riguarda lo Stato italiano. Ciulli vede nella partnership tra Google e Tim un modello: Google ha creato due “cloud region” sul territorio nazionale (data center a Milano e Torino) a cui hanno accesso i dipendenti Tim e dove i clienti possono conservare dati criptati, senza che Google conservi le chiavi di decrittazione. Per dirla come il ministro della difesa Guido Crosetto: infrastrutture di questo genere garantiscono “data power” italiano pur essendo basate sulla collaborazione internazionale.
Sarebbe troppo oneroso e poco efficiente(a livello tecnico e di sicurezza) trattare tutti i dati in questo modo, sottolinea il dirigente Google; ma ha senso farlo per i dati più sensibili. Questa la direzione imboccata dallo Stato italiano, a cui va l’onere di identificare i soggetti fidati con cui cooperare. Il resto dei dati continua a viaggiare su infrastrutture più tradizionali, sorrette a loro volta dall’impalcatura di fiducia che esiste tra Roma (assieme alle altre capitali europee) e Washington.
Le sponde dell’Atlantico
Non serve ricordare quanti e quali siano i servizi digitali statunitensi di cui gli europei si servono a piene mani. Serve però ricordare che sullo sfondo c’è il rapporto transatlantico – che ha assunto nuova rilevanza, e presenta nuovi rischi, con la rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Per esempio, il suo ritorno getta nuova incertezza sulla saga del Data Privacy Framework – l’accordo Ue-Usa sulla protezione dei dati personali, che prevede strutture di ricorso negli States per gli europei, ma che deve ancora superare la prova della Corte europea.
“C’è sempre stata grande volontà politica di cooperare, da ambo le sponde”, rileva Ciulli, sottolineando il “fortissimo bisogno di collaborazione e fiducia reciproca”. Non da ultimo, per aumentare le difese contro i cyberattacchi e garantire i supporti che servono alla sovranità tecnologia europea. Soprattutto nel mondo di oggi, continua, “rimane fondamentale il rapporto tra aziende americane e imprese e PA europee”. In ottica di coopetizione e per sviluppare le tecnologie del futuro.
Lo sguardo verso l’IA…
A ottobre in casa Google (DeepMind) è arrivato un Nobel alla chimica assegnato a Demis Hassabis – uno dei progenitori dell’intelligenza artificiale moderna – e John Jumper. I due hanno presentato al mondo un sistema di previsione del piegamento delle proteine che ha potenziato in maniera esponenziale la possibilità di scoprire nuovi medicinali. Viene da chiedersi in quali altri settori l’IA può causare un impatto del genere. Domanda che Eurofocus gira a Ciulli: “Alphafold è davvero una rivoluzione come probabilmente non ne vedremo altre”, sorride, “ma ci aspettiamo impatti di grande portata in altri ambiti”.
Si profilano sviluppi importanti nel settore energetico, spiega il dirigente, segnatamente in termini di sostenibilità ed efficienza. “Abbiamo già visto con test interni che l’IA applicata al consumo di energia dei data center lo riduce anche di decine di punti percentuali”. Altro ambito chiave è la manifattura industriale – perché oltre ai chatbot “il grande salto arriva dall’IA applicata ai processi produttivi”. Ricordando che negli Usa la produttività media annua è cresciuta di almeno un terzo rispetto a quella europea, la prospettiva di implementare l’IA ad alcune filiere e guadagnare un 8% in più può “già essere una rivoluzione” per recuperare competitività e tornare a crescere in Europa.
… e il Made in Italy
“Voglio vedere queste dinamiche all’opera sulla nostra manifattura”, continua Ciulli. Se l’Italia è leader globale in certi ambiti, come la meccanica industriale e il tessile, “dobbiamo avere l’ambizione di essere i migliori anche sul versante tecnologico di questi settori – e renderci esportatori delle tecnologie che sviluppiamo”. Per farlo servono partenariati tra realtà esperte e aziende tecnologiche, perché l’una non può fare a meno dell’altra: da una parte la conoscenza e l’esperienza settoriale, dall’altra gli strumenti tecnologici, che possono essere “raffinati” in applicazioni specifiche solo da chi sa cosa sta facendo. Google ha già all’attivo “decine di collaborazioni in corso, dalle acciaierie alla finanza, passando per i panettoni”. Ora si lavora sullo scalare queste nuove soluzioni: “vediamo dove porta”.