L’Ai Act è entrato nella Gazzetta Ufficiale europea lo scorso 12 luglio. Cosa dobbiamo aspettarci da questo regolamento e come impatterà sull’utilizzo dell’Intelligenza artificiale da parte di cittadini e imprese europee? Lo abbiamo chiesto a Davide Montanaro, avvocato esperto di tecnologie digitali e Counsel dello Studio legale Panetta.
Ai Act è legge, tempi e impatto del regolamento
Trattandosi di un regolamento, l’Ai Act sarà direttamente e applicabile negli Stati membri che non potranno modificare le disposizioni.
Quando entra in vigore e quali sono i vari step di attuazione dell’Ai Act?
“Il primo step è il 1° agosto 2024, quando di fatto il regolamento sull’intelligenza artificiale entrerà in vigore. Dovremo attendere febbraio 2025 per vedere applicabili alcune parti dell’Ai Act, in particolare le norme sulle pratiche di intelligenza artificiale che saranno vietate.
Ad agosto 2025, invece, diventeranno applicabili anche gli obblighi per i sistemi di intelligenza artificiale e per le finalità cosiddette generali.
Lo step successivo arriverà un anno dopo, ad agosto 2026, quando diventeranno applicabili tutte le norme del dell’Ai Act, compresi gli obblighi per i sistemi ad alto rischio che sono stati definiti nell’allegato 3 del regolamento, uno dei più importanti.
Infine, nel mese di agosto 2027 diventeranno applicabili anche gli obblighi per i sistemi ad alto rischio definiti nell’allegato 1 dell’Ai Act, che diventa il regolamento 2024/1689 dell’Ue”.
Appuntamenti lontani solo all’apparenza: “Per quanto queste date ci sembrino lunghe e distanti – spiega Montanaro – in realtà non lo sono, perché ci sono diversi aspetti da tenere in considerazione, a partire dal processo di preparazione delle imprese e di tutti i portatori di interesse che sicuramente richiederà del tempo”.
In che modo l’Ai Act impatterà sull’uso dell’intelligenza artificiale e quali saranno le conseguenze per le imprese europee?
“Credo che sia utile partire dallo spirito di questo nuovo regolamento europeo, che si prefigge l’obiettivo di costruire un ambiente normativo favorevole ad uno sviluppo antropocentrico dell’Intelligenza Artificiale. L’idea di partenza e l’orizzonte finale dell’Unione europea, quindi, è creare un ambiente in cui l’uomo è al centro dell’intelligenza artificiale e quindi anche degli adempimenti correlati e degli sviluppi futuri”.
Il watermark per i contenuti Ai
Sul punto, Montanaro ricorda “il dovere di trasparenza posto dall’Ai Act” e spiega: “le persone che interagiranno con un sistema di intelligenza artificiale dovranno essere messe al corrente che di fatto stanno interagendo con un algoritmo di intelligenza artificiale, così come immagini, video, audio o testi generati con l’Ai dovranno essere marchiati con un watermark. Questi sono alcuni degli aspetti che sicuramente impatteranno sull’uso dell’intelligenza artificiale”.
Non si tratta solo di predisporre nuovi adempimenti per sviluppatori, fornitori e utilizzatori, ma anche di “fornire uno strumento in più nelle mani delle persone che utilizzeranno questi sistemi e che vedranno tutelati i loro diritti e i loro dati. Questo è un tema fondamentale perché – ricorda Montanaro – i sistemi di intelligenza artificiale vengono e verranno allenati usando enormi quantità di dati”.
Un training che non può avanzare a briglia sciolta, ma che “necessita di una precisa regolamentazione: non bisogna certamente dare in pasto all’Ai dati personali, senza ricevere alcuna garanzia. In questo senso, il regolamento pone degli argini utili allo sviluppo di un’intelligenza artificiale etica e a misura a misura d’uomo”.
Ci sono già degli strumenti per individuare i prodotti realizzati con intelligenza artificiale, ma si è visto che non funzionano così bene.
In questo senso, c’è il rischio che anche l’Ai Act ponga dei limiti facilmente aggirabili?
“Io credo che una valutazione in tal senso sia ancora immatura”, dice Montanaro all’Adnkronos. “Di fatto il regolamento sull’intelligenza artificiale non è ancora entrato in vigore e nessuna delle norme è ancora applicabile. Dovremo quindi aspettare il primo giro di boa per capire in che modo il nuovo regolamento sull’intelligenza artificiale avrà o meno raggiunto il suo obiettivo”.
Ma l’Ue non parte da zero: “l’Unione europea non ha sviluppato tutto il processo legislativo che ha portato all’Ai Act a digiuno di esperienza. C’è un altro antecedente importante del regolamento sull’intelligenza artificiale, ovvero il GDPR, il regolamento europeo sulla protezione dei dati”.
Anche sul provvedimento entrato in vigore nel 2018 c’era molto scetticismo: “Ciò che si diceva all’epoca sul GDPR fa da eco a quello che sento dire oggi sull’Ai Act. Anche allora – ricorda Montanaro – si temeva che le norme avrebbero impedito all’economia di crescere, pensando che senza la libertà di poter utilizzare i dati in un certo modo, il PIL ne avrebbe risentito. Adesso sentiamo dire le stesse cose sull’Ai Act, ma, a mio avviso, è ancora presto per trarre giudizi”, spiega.
Limiti troppo fragili? No, è una scelta di elasticità
Le disposizioni che molti considerano delle maglie troppo larghe sono, invece, utili per dare elasticità al regolamento europeo.
“La norma è utile ed efficace quando è generale e astratta. Anzi, proprio la generalità e l’astrattezza del provvedimento consentono alla norma stessa di essere applicabile anche a fronte di un’evoluzione del contesto. Una caratteristica fondamentale se pensiamo alla enorme velocità con cui questa tecnologia si evolve”, ci dice Montanaro, che aggiunge: “Sarebbe sbagliato pensare che una norma di così grande portata possa regolare nello specifico una determinata tecnologia a determinate condizioni. Se facessi una fotografia dello stato attuale sarebbe inutile perché tra sei mesi verrebbe superata dai fatti.
Da questo punto di vista – osserva – il GDPR è un esempio perfetto perché è un regolamento ‘tecnologicamente neutro’: chiaramente parla di tecnologia e prova a dare delle regole, ma non entra nel dettaglio della tecnologia e della pratica concreta, proprio perché la norma ha bisogno di essere interpretata e applicata nel caso specifico. Sotto questo aspetto, ritengo che l’articolo 1 dell’Ai Act offra una descrizione chiara di quale sia lo spirito della norma”.
L’Ue arriva per prima sotto il profilo normativo. Potremo mai arrivare primi anche da un punto di vista tecnologico ed economico o l’Ai aumenterà il gap con Usa e Cina?
“Sicuramente, la norma di per sé non è l’elemento chiave che permetterà al nostro tessuto economico e sociale di accrescere la propria potenza di fuoco rispetto al settore dell’intelligenza artificiale. Occorre, però, fare i conti con la realtà e la realtà ci dice che in altre parti del mondo lo sviluppo tecnologico avanza ad una velocità diversa, molto più alta rispetto a quella europea”, riconosce Montanaro.
“È un tema di politica industriale e di politica economica che potrebbe incentivare sul territorio europeo uno sviluppo sempre più attento e anche più veloce dell’Ai, favorendo le imprese. C’è però un tema importante: dobbiamo provare a riconoscere qual è il nostro ruolo nel mondo; l’Unione europea potrà mai competere con la Cina dal punto di vista industriale? Oggi strumenti che permettano di rispondere a questa domanda non li ho, ma posso ragionare su altri aspetti, che riguardano la frammentazione interna all’Ue”.
La frammentazione è nemica della competitività
Davide Montanaro spiega dove, dal suo punto di vista, l’Ue dovrebbe intervenire per cercare di ridurre il gap con Usa e Cina e di avere ancora ruolo importante nel mercato. “Ancora oggi l’Unione europea continua ad essere frammentata tra i Ventisette. Politiche economiche, industriali sono ancora fortemente caratterizzate da scelte di tipo nazionale. Questo approccio non favorisce una risposta globale agli input che arrivano dalla Cina o dagli Stati Uniti”.
Una posizione che rimanda all’annosa questione: consolidare o non consolidare? Da tempo Mario Draghi ed Enrico Letta si sono esposti sul tema, spiegando che l’Ue deve organizzare una risposta economica e produttiva unica per non perdere ulteriore competitività.
Su queste pagine abbiamo visto come un recente studio della DG Comp vada in tutt’altra direzione, invitando le istituzioni europee a incentivare la concorrenza per rilanciare la produttività (se vuoi approfondire questo tema, leggi: “Altro che campioni, all’Ue serve più concorrenza: la DG Comp contraddice Draghi”).
Insomma, bene il regolamento, ma ora, sostiene Montanaro, serve più coraggio.
“Abbiamo già visto in passato come lo strumento del regolamento, che implica delle stesse norme in tutti i Paesi membri, abbia offerto una risposta potente, decisiva e incisiva nella regolamentazione di alcuni settori strategici. Io credo che occorra estendere lo spirito ‘unitario’ da cui nasce un regolamento anche sul fronte imprenditoriale e di politica economica, abbandonando la frammentazione attuale”.
Ai Act, un motivo di orgoglio
Infine, Montanaro ricorda: “Non è detto che gli Stati Uniti conserveranno la leadership che hanno sempre avuto in tempi in termini tecnologici, mentre il fatto che l’Unione europea sia diventata leader nel campo della regolamentazione è una cosa di cui dovremmo vantarci. Questo, infatti, significa che l’Ue mette al primo posto la tutela delle persone, che è poi lo spirito con il quale il regolamento sull’intelligenza artificiale ha visto la luce, così come anche in passato, altri importanti regolamenti che abbiamo già citato. Ritenere questo impegno un aspetto secondario sarebbe sbagliato”.