Etichette troppo diverse per ogni Stato, istruzioni d’uso in 24 lingue, ostacoli burocratici che frenano le imprese, professionisti costretti a rifare esami per lavorare in un altro Paese. È questo il paradosso del mercato unico europeo: esiste sulla carta, ma nei fatti continua a essere una somma di 27 mercati nazionali separati. Ora Bruxelles prova a cambiare rotta. Il “Simple Market Package”, lanciato dal commissario europeo alla Prosperità Stéphane Séjourné, punta a scardinare queste barriere invisibili e ridare fiato a un’Unione che rischia di restare indietro rispetto a Stati Uniti e Cina. Obiettivo dichiarato: rendere l’Europa un terreno fertile per le imprese e una piattaforma di crescita competitiva. Ma quanto è davvero rivoluzionario questo piano?
Un cambio di metodo
Fino ad oggi, la Commissione europea ha tentato di rafforzare il mercato unico con interventi “orizzontali”, ovvero regole generali valide per tutti. Ma questo metodo, per quanto nobile, ha spesso fatto i conti con la realtà concreta di mercati nazionali che restano impermeabili. Stéphane Séjourné lo dice chiaro: “Ora si passa alla pratica quotidiana, con un approccio settoriale“. Questo significa intervenire chirurgicamente sui nodi che frenano la libertà di movimento per beni, servizi, capitali e persone.
Il piano d’azione prevede l’eliminazione di dieci barriere specifiche che penalizzano le imprese: si va dal riconoscimento delle qualifiche professionali alla normativa frammentata per l’apertura di una sede in un altro Paese, fino alla giungla delle etichettature. In molti casi, vendere un prodotto in Europa implica costi aggiuntivi per adattarsi a norme locali, come se si trattasse di mercati esteri, non partner dell’Unione.
L’intervento della Commissione, in questo senso, rappresenta un cambio di paradigma: non più grandi proclami sulla “libertà di circolazione”, ma azioni concrete su settori chiave come l’edilizia, i servizi finanziari, quelli postali. Per fare questo, ogni Paese dovrà nominare uno “sherpa del mercato unico”, figura incaricata di garantire l’applicazione coerente delle norme e facilitare il dialogo tra governi e Commissione. L’Europa prova così a riprendersi il suo spazio economico, smettendo di lasciarlo in balia delle resistenze nazionali.
Il “28° regime” e la sfida digitale
Uno dei pilastri del nuovo pacchetto è la creazione del cosiddetto “28° regime europeo”, un’iniziativa volontaria che sarà proposta nel primo trimestre del 2026 e che dovrebbe permettere alle imprese di espandersi in tutta l’Ue senza dover affrontare 27 regimi normativi diversi. È, in pratica, una scorciatoia europea per le imprese: un sistema parallelo semplificato, uniforme, digitale. La Commissione prevede anche un progetto pilota che consenta di avviare un’azienda in 48 ore. Oggi, in alcuni Stati membri, ci vogliono settimane, se non mesi.
In parallelo, si punta sulla digitalizzazione di tutto ciò che oggi rappresenta un ostacolo fisico o cartaceo: certificati di conformità, istruzioni d’uso, documenti legali. L’idea è quella di sostituire il “libretto di istruzioni da 50 pagine in 24 lingue” con un semplice QR code, che garantisca l’accesso alle stesse informazioni nella propria lingua, ma in formato digitale.
Questa digitalizzazione progressiva non è solo una questione di comodità: è una strategia per aumentare la competitività e abbattere costi superflui. Secondo le stime della Commissione, anche un modesto aumento del 2,4% nel commercio interno tra Paesi Ue sarebbe sufficiente a compensare un calo del 20% delle esportazioni verso gli Stati Uniti, se dovuto a tariffe. In un mondo in cui la geopolitica sta riscrivendo le regole del commercio globale, Bruxelles cerca nella semplificazione il suo cavallo di battaglia.
Professioni, etichette e costruzioni
Tra le dieci barriere prioritarie da rimuovere, ce ne sono alcune meno visibili, ma altrettanto determinanti. Una su tutte: il riconoscimento delle qualifiche professionali. In teoria, un ingegnere o un architetto francese dovrebbe poter lavorare liberamente in Italia, Spagna o Germania. In pratica, la burocrazia lo costringe spesso a lunghe attese o a ripetere esami. Per questo il pacchetto prevede una semplificazione radicale, anche attraverso la digitalizzazione dei riconoscimenti. Se necessario, il processo partirà da una “coalizione dei volenterosi” — un gruppo di Stati pronti ad adottare la riforma prima degli altri.
Un’altra barriera poco percepita ma assai costosa è quella dell’etichettatura. Oggi, per vendere lo stesso shampoo o lo stesso snack in più Paesi, un’impresa deve spesso cambiare il packaging, tradurre contenuti, rispettare regolamenti discordanti. Il risultato? Costi elevati, tempi lunghi, mercati di fatto chiusi. Il “Simple Market Package” propone un’armonizzazione delle etichette per evitare che un prodotto debba essere riadattato più volte, ostacolando l’economia di scala.
Sul fronte dei servizi, poi, particolare attenzione è dedicata al settore delle costruzioni. La Commissione intende garantire la disponibilità di servizi edilizi in tutto il mercato unico, superando le regolamentazioni nazionali che oggi limitano la libera circolazione degli operatori. Questo è particolarmente cruciale per le grandi opere infrastrutturali transfrontaliere e per i progetti legati alla transizione verde e digitale. Bruxelles vuole un mercato in cui non siano solo le merci a circolare, ma anche le competenze e i mestieri.
Pmi, cuore pulsante dell’economia europea
Se il pacchetto di semplificazione guarda alle grandi aziende in cerca di nuovi mercati, non dimentica il tessuto vitale dell’economia europea: le piccole e medie imprese. Per queste, la frammentazione normativa è spesso una condanna. Molte imprese di successo restano confinate entro i confini nazionali semplicemente perché espandersi costa troppo o è troppo complicato. Stéphane Séjourné lo dice senza giri di parole: “Oggi le imprese si internazionalizzano prima di europeizzarsi. Ma questo non è più sostenibile”.
Una delle novità più rilevanti è la definizione europea delle “small midcaps”, ovvero quelle imprese con meno di 750 dipendenti. Una fascia che, fino ad oggi, è rimasta in una sorta di limbo: troppo grande per accedere alle agevolazioni per le microimprese, troppo piccola per beneficiare delle strategie dedicate alle multinazionali. Dare loro un’identità giuridica specifica significa creare strumenti su misura per la fase di espansione: accesso agevolato a capitali, semplificazione normativa, incentivi alla digitalizzazione.
La Commissione punta anche ad accompagnare le pmi attraverso sportelli unici digitali e servizi transfrontalieri standardizzati. E avverte: la semplificazione non sarà solo volontaria. Se gli Stati membri non collaboreranno, Bruxelles è pronta a usare lo strumento delle infrazioni in modo “più sistematico”. Insomma, non si può più ostacolare il mercato unico per ragioni di comodo. Serve un impegno politico condiviso, perché, come dice Sejourné, “i primi partner economici degli europei devono essere gli europei stessi”.