I concessionari di Stellantis scrivono a von der Leyen: “Le auto elettriche non si vendono”

Chiedono a von der Leyen di posticipare almeno al 2027 l’entrata in vigore della riduzione dei limiti sulle emissioni auto
2 giorni fa
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Carlos Tavares Ceo Stellantis Fotogramma
Il ceo di Stellantis Carlos Tavares_fotogramma

Stellantis resta ottimista sulle auto elettriche, i suoi concessionari di tutta Europa no. Per questo, in una lunga lettera indirizzata a Bruxelles, chiedono alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen di posticipare almeno al 2027 l’entrata in vigore della riduzione dei limiti sulle emissioni auto, attualmente fissata al 2025.

I rivenditori europei di AbarthAlfa RomeoCitroenDsFiatLancia, JeepOpel e Peugeot denunciano una “forte riluttanza da parte dei clienti ad acquistare le auto Bev” essenzialmente per due ragioni:

  • i prezzi sono ancora troppo alti;
  • le colonnine di ricarica sono ancora troppo poche.

“Ciò – si legge nella missiva – ci pone in una posizione contraria a quella del produttore che rappresentiamo, che rimane ottimista circa il rispetto di queste severe normative Ue”.

Il riferimento è a Carlos Tavares, ceo di Stellantis, che si è dichiarato contrario alla proroga delle norme Ue. La sua posizione contrasta fortemente non solo con quella dei concessionari che rivendono i suoi brand, ma anche con quella del Ceo Renault e presidente di Acea, l’associazione dei costruttori europei, Luca de Meo. Il tutto mentre viene ventilata l’ipotesi di una (difficile) fusione tra i due gruppi.

Lettera a von der Leyen: perché?

Prima di entrare nel merito delle richieste (rectius: delle paure) dei concessionari europei di Stellantis, giova ricordare che la società, nata il 16 gennaio 2021 dalla fusione tra la grande Fca (Fiat Chrysler Automobiles) e la piccola Psa (Peugeot Société Anonyme), controlla quattordici marchi automobilistici: Abarth, Alfa Romeo, Chrysler, Citroën, Dodge, DS Automobiles, FIAT, Jeep, Lancia, Maserati, Opel, Peugeot, Ram Trucks e Vauxhall.

Nel 2023 è risultata al quinto posto tra i venti principali produttori di auto elettriche secondo un rapporto dell’International Council on Clean Transportation (Icct), l’organizzazione che otto anni fa fece emergere il Dieselgate. Prima di lei Tesla, Byd, Bmw e Volkswagen. Nomi che in questi mesi attirano gli occhi di tutto il mondo, in particolare di Ue e Cina che rischiano di iniziare una guerra commerciale a colpi di dazi. 

È passato solo un anno dalla graduatoria Icct, ma parlare di classifiche green sembra del tutto anacronistico: esaurita la spinta iniziale di chi può permettersi un auto elettrica o ibrida, c’è stato un tracollo delle vendite in Europa. Una battuta d’arresto inattesa per Bruxelles, che però non vuole cambiare le norme per il 2025. Da qui la richiesta dei concessionari, che temono di dover abbassare la saracinesca per la crisi del settore.

D’altronde, se dovesse concretizzarsi il salasso da 15 miliardi di euro di multe previsto dal presidente di Acea Luca de Meo, il crollo sarebbe inevitabile. Un’ipotesi che Tavares non sembra temere, ma i suoi concessionari sì. Giova ricordare che in base al regolamento Ue, le multe dipendono dalle emissioni di CO2 medie delle case produttrici.
Finora sarebbero scattate sopra la soglia media di 116 gr/km di CO2 (95 se con la vecchia omologazione NEDC), ma quasi tutte le aziende le hanno evitate. Per alcune è bastato vendere una quota di elettriche e ibride plug-in, altre hanno dovuto comprare crediti di carbonio da Tesla o da Geely.

Nella lettera inviata dai concessionari di Stellantis a von der Leyen c’è il timore per quanto accadrà dal 2025, quando il limite scenderà del 19% a 94 gr/km. Per rispettare le norme, i costruttori dovrebbero ridurre la loro produzione di “oltre 2,5 milioni di veicoli” ha spiegato de Meo. Ritardi sulle installazioni delle colonnine, incertezza sugli incentivi e uno scetticismo diffuso su questi tipi di motori sta ostacolando la vendita delle Bev nel Vecchio Continente. Secondo il Ceo di Renault e presidente di Acea, “l’industria Ue rischia multe per 15 miliardi di euro”.

La richiesta di revisione

Da qui la richiesta di flessibilità all’Unione europea, condivisa con forza dal governo Meloni a fronte di quella che già un anno fa il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin definiva “un’impostazione del Regolamento troppo ideologica e poco concreta”.

Per questo, il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha portato al Consiglio sulla Competitività Ue la proposta di anticipare la revisione del regolamento auto, attualmente prevista al 2026. L’Italia si conferma il Paese promotore dell’istanza, ma Urso prospetta il sostegno di altri 9 Paesi membri: “Romania, Slovacchia, Lettonia, Malta, Cipro, Polonia, Repubblica Ceca. E ho parlato anche con Spagna e Germania”.

Tecnicamente, i 10 Paesi che ha citato Urso (Italia inclusa) non bastano per avere la maggioranza qualificata in Consiglio e ribaltare il regolamento che pone gli stringenti limiti di emissioni su visti e prevede lo stop alle auto a motore termico dal 2035. È indubbio, però, che Bruxelles non potrà ignorare un blocco così numeroso, soprattutto se a far tuonare la loro voce non sono solo le istituzioni ma anche i rappresentanti dell’industria automobilistica che temono di soccombere sotto il dominio cinese.