Guerra commerciale globale: così Trump sfida l’Europa e il sistema multilaterale

Il “Giorno della Liberazione” statunitense inaugura un nuovo scontro tra USA e UE. Dazi, attacchi normativi e fratture geopolitiche scuotono l’equilibrio mondiale.
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Trump Delivers Remarks On Reciprocal Tariffs
Donald Trump (Photo by Brendan SMIALOWSKI / AFP)

Mercoledì, Donald Trump ha dichiarato il “Giorno della Liberazione” per gli Stati Uniti, dando inizio a una guerra commerciale globale che coinvolge anche l’Unione Europea. L’obiettivo dei dazi non è solo avviare un negoziato, ma smantellare e ristrutturare il sistema economico e del commercio globale secondo la visione di questa amministrazione. Soprattutto, il presidente Usa vuole minare il sistema di regole dell’Unione Europea, responsabile dell'”Effetto Bruxelles”, che ha un impatto diretto sul commercio globale.

Per capire meglio le intenzioni di Washington, basta leggere il Rapporto sulle Stime Nazionali del Commercio (NTE), pubblicato dall’Ufficio del Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti (USTR). La sezione dedicata all’UE è particolarmente interessante ed è una lettura utile per chi pensa che Washington possa essere ammansita con concessioni puntuali. Eurofocus ne ha parlato con Arvea Marieni, imprenditrice e manager dell’innovazione, specializzata nella cooperazione su clima e ambiente tra Unione Europea e Cina. Direttrice delle soluzioni per la transizione ecologica presso la società di ingegneria francese BEAM CUBE, è esperta certificata dal Ministero della Ricerca francese (CIR) e svolge diversi incarichi per la Commissione Europea, tra cui membro del gruppo di lavoro sulla transizione industriale della DG REGIO e giurata per il Consiglio Europeo dell’Innovazione (EIC).


L’Unione Europea e gli Stati Uniti condividono una relazione economica che vale 8,7 trilioni di euro e genera 16 milioni di posti di lavoro. I dazi, uniti alle contromisure dell’UE, potrebbero innescare un ciclo di ritorsioni che danneggerà entrambi. Perché questo antagonismo?

Nonostante le sue difficoltà interne, l’Unione Europea è una potenza economica globale che riesce a influenzare il commercio mondiale. È l’unica potenza capace di imporre regole globali, grazie all'”Effetto Bruxelles”. Questo fenomeno descrive come l’UE stabilisca norme in settori chiave come la concorrenza, la protezione ambientale, la sicurezza alimentare e la privacy, che poi vengono adottate anche da Paesi al di fuori dell’Europa. Le politiche europee, come quelle contro l’incitamento all’odio sui social o le regolazioni ambientali, non solo proteggono i cittadini, ma impongono anche standard globali che le aziende devono rispettare. Queste leggi spiegano anche perché il cibo venduto nei supermercati europei è generalmente più sano rispetto ad altre aree del mondo.

Va riconosciuto però con chiarezza che l’ambizione europea di voler “dettare le regole per tutti” ha spesso prodotto effetti controproducenti. I grandi accordi globali sul clima, ad esempio, sono stati più volte ostacolati dalla volontà dell’UE di estendere le proprie normative all’intera economia mondiale — come dimostrano i fallimenti del Protocollo di Kyoto e della COP di Copenaghen del 2009. Allo stesso modo, lo scandalo del dieselgate è stato in parte il risultato del tentativo europeo di imporre standard irrealistici, senza accompagnarli con un vero cambio di paradigma tecnologico nel settore automobilistico. Il Carbon Border Adjustment Mechanism, pur giustificato da intenti di chiusura dei carbon leaks, può configurarsi nei fatti anche come una misura protezionistica.

In alcuni casi, la postura dell’UE nel proporsi come regolatore globale ha finito per alimentare tensioni più che costruire consenso. In questo contesto, la reazione di Trump contro l’Europa non è un fulmine a ciel sereno, ma piuttosto la punta di un iceberg: un malessere che affonda le radici già nelle amministrazioni Obama, se non addirittura Clinton.

L’Europa può giocare un ruolo costruttivo in questa dialettica?

Oggi, la qualità più preziosa che l’Europa può offrire nel nuovo contesto multipolare è la sua capacità di essere flessibile, pragmatica e aperta al dialogo. Questo approccio sarà cruciale non solo nei rapporti con gli Stati Uniti, ma anche nei confronti della Cina.

È fondamentale da una parte evitare l’illusione che la Cina possa rappresentare per la UE un’alternativa agli USA. Creare dualismi e logiche di conflitto non è produttivo. Al contrario, la via più promettente è una cooperazione intelligente con Pechino, Nuova Delhi, Sud Africa, Brasile, costruita però in modo trasparente e aperto anche alla partecipazione statunitense. Un esempio illuminante è quello di Tesla: l’azienda è riuscita a realizzare in Cina ciò che non ha potuto fare né negli Stati Uniti né in Europa, ma oggi subisce le conseguenze del clima di tensione alimentato dalla rottura voluta da Trump.Una sorta di autolesionismo inflitto all’azienda dal suo stesso creatore.

L’amministrazione USA ritiene che l’eccesso di regolamentazione soffochi il commercio e le imprese.

Questa è una critica che emerge frequentemente. Ma vediamo l’altro lato della questione. L’UE non impone coercitivamente i suoi standard: il suo mercato è talmente grande e ricco che le aziende globali non possono permettersi di ignorarlo. Con 450 milioni di consumatori, l’UE è un mercato che le imprese devono adattarsi a rispettare. Molte di queste aziende applicano gli stessi standard anche su altri mercati per ridurre i costi derivanti da normative diverse, contribuendo così a migliorare gli standard globali. Questo modello è anche vantaggioso per le imprese europee, poiché difende la competitività contro il dumping ambientale e stimola l’innovazione.

Inoltre, questo modello sta guadagnando terreno anche in Cina, dove il governo sta riformando il sistema economico per puntare a produzioni di alta qualità, favorendo l’emergere di quelle che vengono definite le “nuove forze” della transizione ecologica.

Come l’“Effetto Bruxelles” influisce su altri Paesi?

L’“Effetto Bruxelles” va oltre i confini dell’Unione Europea. Le normative europee sono spesso adottate da Paesi esteri come modelli di riferimento, soprattutto nelle economie emergenti. Questo avviene grazie alla combinazione di soft power, competenza tecnica e potere negoziale dell’UE. I Paesi in via di sviluppo, con agenzie amministrative e giuridiche meno strutturate, vedono nelle leggi europee un’opportunità per migliorare la qualità delle loro normative. Per le imprese europee, questo si traduce in un vantaggio competitivo sui mercati internazionali. In pratica, chi stabilisce gli standard ha il potere di indirizzare il commercio globale. Anche la Cina stava seguendo una traiettoria simile, e dall’inizio della seconda presidenza Trump sta lavorando per colmare il vuoto lasciato dagli Stati Uniti a livello internazionale.

Stai dicendo che l’amministrazione Trump sta attaccando una delle chiavi della sovranità economica europea?

Sì, l’amministrazione Trump non solo sta sfidando l’architettura economica dell’Unione Europea, ma sta anche mettendo in discussione il modello europeo di mercato che regola il l’equilibrio tra l’interesse pubblico e privato. Per realizzare l’”Effetto Bruxelles”, l’UE e i suoi Stati membri devono consolidare istituzioni robuste e garantire il rispetto delle normative. Solo in questo modo, il potere derivante dalla dimensione del mercato potrà tradursi in una reale influenza globale. È evidente che, per riuscirci, è necessaria una volontà politica di sviluppare e far rispettare regole rigorose, che vadano oltre l’interesse delle singole imprese e proteggano beni collettivi. Gli Stati Uniti, invece, non hanno la stessa determinazione politica. Come dicevo pocanzi, la soluzione sarà possibile attraverso la costruzione di un sistema di regole che siano condivise e applicabili nelle varie giurisdizioni.

Cosa significa concretamente per l’UE?

Questi presupposti sono essenziali per comprendere i settori dove l’UE può esercitare concretamente il suo potere. Le regolazioni unilaterali sono efficaci solo in ambiti dove la domanda è inelastica. A differenza del capitale, che si sposta facilmente se le normative diventano onerose, i consumatori sono fermi, e le aziende devono adeguarsi se vogliono vendere. Questo spiega la differenza tra gli Stati Uniti, che si sono concentrati sul settore finanziario (più elastico), e l’UE, che ha puntato su consumatori e ambiente. L’“Effetto Bruxelles” si concretizza quando le aziende, per rimanere competitive, scelgono di adattarsi agli standard europei piuttosto che cercare regolamenti più permissivi in altri mercati. Il principale punto di forza dell’UE è la sua capacità di imporre standard che le aziende globali non possono ignorare, proprio per la grandezza del mercato europeo.

Trump sta scommettendo molto, ma cosa deve fare il mondo per evitare un’ulteriore escalation?

Il sistema commerciale globale non dipende solo dagli Stati Uniti, e soprattutto non è finito con la decisione sui dazi USA. La scommessa del presidente Trump potrebbe rivelarsi azzardata. Gli Stati Uniti da soli non determineranno l’evoluzione del sistema commerciale globale, a meno che i singoli paesi non perdano di vista la migliore arma che hanno a disposizione, la collaborazione. La partita è rischiosa, ma non bisogna lasciarsi sopraffare dal panico. Soprattutto, molta differenza la farà la collaborazione tra i grandi blocchi economici. Una delle chiavi sarà la dinamica tra Cina e UE.

Come sta rispondendo la Cina alle mosse di Trump?

In un editoriale pubblicato il 6 aprile dal Quotidiano del Popolo, l’organo del governo, Pechino ha invitato alla calma. Le misure drastiche di Trump potrebbero danneggiare l’economia cinese nel breve periodo, ma anche rappresentare un’opportunità. Queste potrebbero stimolare l’economia interna e rafforzare i legami economici con i partner principali colpiti dalle tariffe.

Nel “Giorno della Liberazione”, Trump ha imposto una tariffa reciproca del 34% sui beni cinesi, portando il tasso medio al 69%, un dato senza precedenti. Questo ha innescato una tempesta tariffaria, ma la risposta degli Stati Uniti è segnata dal rischio di perdere il suo predominio nel commercio globale.
Se gli Stati Uniti sono ancora centrali nel commercio mondiale, la loro influenza sta declinando. Trump sta cercando di combattere questa tendenza, ma scommette che altri Paesi non riusciranno a mantenere l’unità. L’UE, in particolare, potrebbe allearsi con i Paesi BRICS per contrastare le logiche unilaterali imposte da Trump.

In effetti, il peso degli Stati Uniti sul commercio globale sta diminuendo. Cosa sta accadendo?

Gli Stati Uniti oggi detengono circa il 15% del PIL mondiale, ma la loro quota è in calo. La Cina ha superato il 19%, mentre l’Unione Europea è allineata agli Stati Uniti. Venti anni fa, entrambi detenevano circa il 20%, con la Cina ferma all’8%. È un dato che evidenzia un declino dell’Occidente nel commercio globale, e il trend è destinato a proseguire. La domanda che si pone è: come si evolverà il commercio internazionale, dato questo declino relativo degli Stati Uniti?

Dove crescerà il commercio nei prossimi anni?

Secondo proiezioni credibili, il commercio crescerà più velocemente in Asia meridionale e centrale, in Africa subsahariana e negli Stati ASEAN, con tassi annui del 5-6%. Altrove, la crescita sarà più modesta, tra il 2% e il 4%. India e Cina diventeranno sempre più protagonisti. Entro il 2030, il loro aumento del volume commerciale sarà superiore a quello degli Stati Uniti. La Cina crescerà del 12%, l’India del 6%, mentre gli USA si fermeranno al 10%. Questo scenario chiarisce ulteriormente che il peso relativo degli Stati Uniti continuerà a diminuire. Quale sarà l’impatto di questo cambiamento sull’ordine economico globale?

Quindi l’Unione Europea sta avvicinandosi ai BRICS e altri p-Paesi terzi?

Paradossalmente, sì. Oggi l’Unione Europea si trova più vicina ai BRICS che agli Stati Uniti, almeno in termini di bilancia commerciale. Nel 2024, infatti, l’UE ha registrato un avanzo commerciale di 150 miliardi di dollari, mentre gli Stati Uniti hanno accumulato un deficit record di 1.200 miliardi. Comprendere questa differenza è fondamentale, poiché non possiamo sottovalutare il rischio che Trump possa cercare di sfruttare questa frattura per minare l’unità del fronte del libero scambio.

In risposta a questa crescente divisione globale, cosa può fare l’Europa? Un primo passo potrebbe essere ricordare, come ha sottolineato il Commissario al Commercio Sefcovic, che l’UE vanta una rete commerciale diversificata e che deve rafforzare i legami con i suoi partner, anche in un contesto di transizione verso un commercio più sostenibile. Un esempio concreto di questa strategia potrebbe essere l’ampliamento delle connessioni ferroviarie attraverso il continente euroasiatico, che non solo ridurrebbe i costi e i tempi di trasporto, ma anche l’impronta ecologica del commercio. Come ha recentemente ricordato la Presidente von der Leyen durante un Summit con i paesi dell’Asia centrale a Samarcanda pochi giorni fa. Queste infrastrutture svolgeranno un ruolo cruciale nella decarbonizzazione dei flussi commerciali, con UE e Cina ai due lati del continente.

Quanto conta il sostegno alla transizione energetica?

La vicinanza di interessi tra Bruxelles e Pechino è evidente se si considera il fatto che entrambi i blocchi sono importatori netti di fossili. La Cina, però, più dell’Europa, ha tratto le conseguenze di questa dipendenza, aumentando la propria autonomia e resilienza economica con politiche strutturate negli ultimi 40 anni. Questo implica una convergenza di interessi tra l’UE e la Cina in termini di diversificazione energetica. Ma quanto può durare questa alleanza, soprattutto se gli Stati Uniti continuano a perseguire politiche unilaterali?

Gli Stati Uniti hanno ancora un ruolo centrale nel commercio mondiale.

Sì, ma la loro influenza sta diminuendo. Oggi gli Stati Uniti rappresentano circa il 10-11% del commercio mondiale, ma le loro esportazioni sono solo circa l’8%, mentre la Cina esporta il 14,5%. Nel 2024, la Cina ha esportato beni per quasi 1.000 miliardi di dollari in più rispetto a quanto ha importato, mentre gli USA hanno speso 1.200 miliardi in più di quanto incassato. La grande domanda è: gli Stati Uniti riusciranno a mantenere la loro posizione di predominio, o il dollaro perderà il suo status di valuta di riserva?

Cosa ci dicono i sondaggi sulla situazione fiscale degli Stati Uniti?

Un sondaggio condotto dal CFA Institute, un organismo di professionisti della finanza, su oltre 4.000 esperti finanziari globali rivela che il 77% ritiene insostenibile la situazione fiscale statunitense. Due terzi prevedono che il dollaro perderà il suo status di valuta di riserva entro 5-15 anni. Questo scenario potrebbe portare a un sistema multipolare di valute di riserva, in cui il dollaro non sarà più il dominatore assoluto. È questo il futuro che Trump sta cercando di evitare con ogni mezzo?

Qual è il legame tra la guerra commerciale e la strategia interna di Trump?

Alcuni ritengono che la guerra commerciale sia in parte una strategia per abbassare i tassi di rifinanziamento del debito americano nel medio periodo. Un approccio che potrebbe funzionare. Ma c’è una debolezza più urgente che riguarda direttamente il suo elettorato: il potere d’acquisto. Molti dei beni acquistati nei grandi magazzini americani, come Walmart, arrivano per oltre l’80% dalla Cina. L’idea che gli Stati Uniti possano sostituire queste importazioni con produzione domestica è irrealistica. Manca il know-how industriale, le competenze e la scala produttiva che la Cina ha costruito negli ultimi decenni. Questo porta a un altro interrogativo: come reagiranno i consumatori americani a una perdita di accesso ai beni a basso costo? Lo stesso vale per le produzioni ad alta tecnologia innovativa sulle quali gli Stati Uniti sono in ritardo.


Come potrebbe l’Unione Europea e la Cina rispondere alle politiche di Trump?

Non basta rispondere ai dazi con altri dazi, causando una volatilità finanziaria. Sarebbe utile per la Cina, bersaglio primario delle politiche di Trump, aprire un dialogo strategico con Bruxelles e i Paesi BRICS. Le mosse recenti di Pechino sembrano andare in questa direzione. UE e Cina potrebbero minacciare congiuntamente di ridurre le esportazioni verso gli USA, aumentando i costi dei beni di largo consumo, quelli che sono considerati le “droghe” dell’economia americana. Ma questo approccio potrebbe ritorcersi contro Trump, se l’inflazione dovesse crescere, portando a un crollo del consenso popolare. Una domanda chiave è: quanto la strategia di Trump rischia di danneggiare l’economia americana a lungo termine? In ogni caso, credo che una riapertura del negoziato sul Comprehensive Agreement on Investment, congelato dal 2020, potrebbe portare ad una rapida convergenza, sulla base del lavoro già fatto, ferme restando le modifiche rese necessarie dalla mutata situazione internazionale. Il cuore delle regole, con standard climatico-ambientali comuni è disegnato. Il tema aperto è la regolazione dei flussi di commercio per mantenere la competitività delle industrie europee. Credo che la mossa di Trump potrebbe facilitare una discussione in questo senso.

Quali opzioni concrete ci sono per contrastare la strategia di Trump?

Trump sta cercando di dividere il fronte globale. Se i Paesi si isolano e negoziano individualmente, la sua strategia avrà successo. Questo è un calcolo lucido, non una mossa improvvisata. Se Trump riuscirà a trattare bilateralmente con ogni Paese, indebolirà qualsiasi alleanza comune, mettendo a rischio l’unità del fronte del libero scambio. Ma se i Paesi riescono a restare uniti, questa divisione potrebbe essere evitata. La domanda è: come risponderà il resto del mondo a questa strategia divisiva?

Secondo alcuni, una risposta rapida potrebbe essere l’esclusione temporanea degli Stati Uniti dalla WTO. Questo permetterebbe all’organizzazione di riprendere a funzionare, dato che da anni Washington blocca la nomina di nuovi giudici al tribunale d’appello del WTO. Senza gli USA, la WTO potrebbe riprendere il coordinamento multilaterale, riformarsi e rappresentare gli interessi della maggioranza mondiale. In ogni caso serviranno risposte forti e coese.

Cosa c’è all’orizzonte per l’Unione Europea in termini di politica commerciale?

La risposta sta nel completamento del mercato unico. Molte debolezze europee dipendono dalla frammentazione delle competenze e dalla disomogeneità delle regole tra gli stati membri. É un fatto che uniti siamo più forti. Prendiamo un esempio che, paradossalmente è citato proprio dal rapporto NTE sul commercio. Qui si lamenta che l’Unione Europea applica una normativa doganale comune, ma la gestione resta frammentata tra le autorità dei singoli Stati membri. Questo oltre tutto crea difficoltà per gli esportatori, che lamentano incoerenze nelle procedure. Sebbene strumenti come il Binding Tariff Information dovrebbero garantire chiarezza, non vincolano tutti gli Stati e i meccanismi di coordinamento risultano lenti e poco trasparenti. Inoltre, non esiste un sistema di ricorso rapido a livello UE, e le controversie vanno affrontate nei tribunali nazionali, con tempi lunghi e risultati incerti.

La Commissione Europea sta cercando di riformare il sistema doganale?

La Commissione Europea ha introdotto il Codice Doganale dell’Unione nel 2016 per semplificare e armonizzare il sistema, ma il cuore della riforma – un’infrastruttura digitale comune – è ancora in ritardo. Il completamento è previsto per il 2025, con una riforma strutturale attesa per il 2028. Ma quanto tempo ci vorrà perché l’Unione Europea superi queste difficoltà?

La vera questione non è quanto Trump sia aggressivo, né quale sia la logica delle sue mosse. La posta in gioco è se la UE saprà unirsi e se il resto del mondo, in particolare i sostenitori del libero commercio, saprà costruire una linea comune. Se il mondo rimarrà unito, potrà contenere la tempesta. Ma se si dividerà, rischierà di esserne travolto. Una soluzione coordinata è in fondo nell’interesse degli stessi Stati Uniti.