Pubblichiamo in esclusiva lo studio di Giuseppe Amitrano (ex Ubs, Rbs e Scotia Bank) e Antonio Guglielmi (ex Merrill Lynch e Mediobanca), partner della boutique finanziaria Wieldmore
(Immagine di copertina generata con l’AI)
Sono quattro i pilastri regolatori che Bruxelles ha posto a presidio della transizione energetica e su cui il corporate europeo è chiamato a cimentarsi dal 2026: EU Emission Trading System (ETS), Carbon Border Adjusted Mechanism (CBAM), EU Deforestation Regulation (EUDR) e EU Directive Corporate Sustainability Reporting (CSRD). Mentre quest’ultima, ancora in negoziazione, comporta effetti pur pressanti ma prevalentemente amministrativi sulla reportisitca, le prime tre inizieranno ad impattare la redditività già dal prossimo anno.
La traiettoria esponenziale con cui il regolatore ha disegnato il phase-in della normativa per il prossimo decennio concede al massimo un paio di anni prima che l’impatto della transizione si impenni e colpisca in modo non più trascurabile redditività e Capex delle imprese europee. Stare fermi adesso rinviando il problema potrebbe comportare un maggior costo domani. Risulta dunque cruciale il modo in cui questo biennio verrà impiegato da aziende e banche ai fini della loro capacità di navigare il mare della transizione riducendo il rischio di naufragio.
I settori più colpiti saranno siderurgia, energia, agricoltura, industria pesante, costruzioni, logistica. Le materie più sensibili diventeranno alluminio, ferro, elettricità, caffè, soia, cacao, cellulosa, cemento, acciaio e fertilizzanti. Negli ultimi tre casi l’impatto sarà particolarmente stringente per via dell’effetto cumulato di ETS e CBAM a cui si aggiungeranno le pressioni derivanti dalla catena di fornitura. In sostanza più del 30% del Pil europeo sarà impattato dalla transizione a partire dal prossimo anno.
Quantificare l’effetto della transizione sul mondo corporate è una sfida complicata in virtù di possibili modifiche del quadro normativo, delle tante variabili in movimento e delle inevitabili assunzioni da fare.
Il mercato fornisce indicazioni utili al riguardo attraverso le curve forward.
- Il prezzo del carbonio attualmente a 70Eur/t è negoziato a Eur78/t con scadenza fine 2028, scontando una volatilità superiore al 30%.
- Il gas naturale ha registrato una volatilità del 35% negli ultimi due anni.
- I fertilizzanti – in particolare l’urea – mostrano una volatilità di prezzo superiore al 30%.
L’Italia non fa eccezione. Anzi si presenta a questa sfida con le peculiarità del suo tessuto economico che, incentrato sulla trasformazione delle materie prime, è destinato ad amplificare gli impatti regolatori della transizione. Le nostre analisi, elaborate anche sulla base di tali curve forward, suggeriscono per le aziende italiane più esposte un potenziale impatto negativo dei rischi di transizione e dei rischi fisici fino al 25% dell’utile cumulato dei prossimi cinque anni, circa due terzi del quale nella seconda metà del periodo.
Sono cinque i principali fattori che portano a questo risultato:
- ETS: dal prossimo anno le “emissioni a pagamento” a livello aggregato europeo nei settori esposti contemporaneamente sia a ETS che a CBAM supereranno le cosiddette quote gratuite. Anche negli altri settori esposti solo a ETS la riduzione annuale del 4,5% delle quote gratuite renderà presto insufficiente la copertura delle emissioni annuali. In sintesi, a partire dal 2026, le emissioni annuali diventeranno un costo esplicito per il sistema economico europeo nel suo complesso. A titolo di cronaca nel 2023 l’UE ha incassato ben 43,6 miliardi di euro dalla vendita delle quote ETS, di cui 33 miliardi destinati agli Stati membri. Il gettito è in forte crescita, e destinato ad aumentare, spinto dall’aumento del prezzo del carbonio (5 €/t nel 2017 contro 72€/t odierni) e dall’allargamento del sistema ETS al settore marittimo e, presto, a quello dei trasporti.
- CBAM: se prendiamo il caso dell’alluminio a titolo di esempio i nostri calcoli suggeriscono un incremento del costo complessivo per importazione da fuori Eurozona di circa il 33% nei prossimi cinque anni. Il numero è chiaramente soggetto al paese specifico di importazione e alle sue emissioni di CO2 (l’India ad esempio comporta un effetto CBAM doppio rispetto a Mozambico o Kazakhstan). CBAM entrerà nei conti già dal prossimo anno anche se con un effetto minimo all’inizio (circa +1% sul prezzo dell’alluminio) ma destinato ad una rapida crescita (+8% già fra tre anni).
- EUDR: la applicazione della European Union Deforestation Regulation prevista quest’anno ha subito un rinvio di un anno. Anche per il mondo agricolo sarà dunque il 2026 l’anno della nuova sfida. E anche qui i mercati finanziari forniscono indicazioni chiare: il prezzo del caffè è più che raddoppiato in meno di due anni scontando una volatilità del 31%; la soia proveniente da aree deforestate presenta costi superiori fino al 30% rispetto ai prezzi della soia convenzionale.
- Funding. Il mercato del debito è ancora in fase di price discovery. Maggiore granularità e nuove covenants porteranno a prezzare il costo ancora latente della transizione approdando a nuovi equilibri come già successo in passato per altri casi di Credit Value Adjustment (CVA). Inevitabile che il risultato sia un aumento del costo del funding per i settori più esposti.
- Rischio cronico: le temperature in aumento impatteranno sulla redditività. I nostri modelli geospaziali, in collaborazione con la UK Space Agency, prevedono fino a 15 giorni con temperature superiori ai 40 gradi quest’anno in alcune aree produttive del Nord Italia. Per molte aziende, soprattutto nell’industria pesante, la normativa sulla salute e sicurezza dei lavoratori impone obblighi in caso di stress termico, che possono comportare lo spegnimento dei macchinari e l’arresto della produzione. Secondo alcuni nostri casi di studio un singolo evento alluvionale potrebbe comportare perdite operative fino al 15% dei ricavi annui. Ed è proprio sul rischio catastrofale che l’Italia si è mossa per prima in Europa prevedendo obblighi assicurativi sugli stabilimenti.
Sono tante le contromisure che il corporate italiano dovrà implementare nei prossimi mesi per farsi trovare preparato a questo cambiamento epocale e lavorare per coglierne le opportunità.
- Piena visibilità sulle proprie materie prime. Da dove arrivano e in quale quantità? Quante ne servono nel medio-lungo termine? Sembra scontato ma prima di CBAM l’esigenza di una contabilità delle materie prime era meno pressante in fase di budgeting.
- Educazione finanziaria alle coperture. Comprare materie prime spot sul breve periodo (di solito 1-2 trimestri) potrebbe ora essere più rischioso. CBAM impone un approccio di lungo termine in una nuova corsa ad un approvvigionamento certo e quanto più possibile conveniente. La conoscenza di soluzioni di copertura liquide e relativamente economiche sarà cruciale per quelle tesorerie di azienda che vorranno affrancarsi dalle lucrose commissioni richieste su strumenti tipicamente OTC.
- Sostegno alla supply chain. Aziende più piccole sono spesso essenziali nella catena di approvvigionamento delle grandi aziende nazionali. La morsa della transizione rischia di riverberarsi ai piani alti della supply chain se trascurata a livello micro.
- Funding alternativo. Il settore bancario è destinato a reagire con una stretta creditizia finalizzata a limitare le perdite sui clienti più esposti. Nuove soluzioni di funding attraverso ad esempio il canale dei sustainability-linked bond o dei basket bond potrebbero offrire prezioso sostegno alle aziende più piccole.
- Pianificazione capex. Su un orizzonte a tre anni le aziende più esposte potrebbero trovare più conveniente una transizione dal gas all’elettrico rispetto a palliativi di breve termine o ad una strategia di mera compensazione delle eccedenze tramite carbon credits. Una corretta valutazione tecnico-economica sarà cruciale per orientare gli investimenti.
- Gestione del rischio fisico. Il tema rileva sia in termini di asset loss che di income loss con perdite derivanti da eventi climatici estremi come variazioni anomale di temperatura, piogge intense e inondazioni. Approcci quantitativi basati su analisi di cross-correlation diventeranno essenziali per minimizzare i costi di copertura assicurativa o per negoziare al meglio contratti esposti al rischio cronico. Strumenti geospaziali e metriche forward-looking potranno offrire un vantaggio competitivo.
Le banche rischiano di divenire il convitato di pietra al banchetto della transizione. Da un lato, non dispongono ancora di un riferimento normativo chiaro, che si prevede inizi a prendere forma a partire dall’anno prossimo. Dall’altro, sono consapevoli di avere già in bilancio molte delle criticità qui discusse, attraverso esposizioni a lungo termine verso la clientela più a rischio. I primi contributi della letteratura accademica parlano chiaro: la Bundesbank, ad esempio, ha stimato un aumento della probability of default (PD) di circa il 40% nei prossimi tre anni su un vasto campione di banche tedesche in uno scenario net zero 2050. La Banca d’Italia ha recentemente proposto una metodologia che guarda alle curve forward e ai dati ETS per stimare potenziali impatti negativi anche sui collaterali delle banche.
Le nuove metriche oggi sotto osservazione da parte del regolatore bancario sembrano non lasciare spazio a dubbi già dal loro nome: carbon earnings at risk, climate beta, carbon VaR, weighted average carbon intensity non potranno che risultare in una stretta regolatoria, con probabile aumento degli attivi ponderati e relativa contrazione patrimoniale. Da questo ne deriva anche che le generosissime politiche di distribuzione degli utili degli ultimi due anni da parte delle banche europee, frutto del recente rialzo dei tassi d’interesse, potrebbero avere i giorni contati. I regolatori bancari europei, sinora forse poco incisivi sulla limitazione dello strumento del buyback, saranno infatti ora chiamati a integrare i rischi legati alla transizione energetica nei requisiti patrimoniali del settore, con possibili implicazioni restrittive sul sostegno all’economia.
La crisi subprime ha evidenziato i rischi sistemici a cui mercato, economia e banche possono andare incontro quando si manifesta un problema rilevante di Credit Value Adjustment. La transizione energetica presenta dinamiche non dissimili. Lavorare oggi sulla trasparenza portando alla luce il costo, ancora in gran parte latente, della transizione contribuirà a ridurre la volatilità dei conti aziendali e l’intensità di shock di aggiustamento futuri del mercato, rendendo al contempo il sistema finanziario più resiliente nel lungo termine.