Google colpita dall’Antitrust Ue: abuso di posizione dominante e maxi sanzione

L’esecutivo europeo accusa il gigante tecnologico di aver manipolato il mercato pubblicitario online. Possibile scorporo delle attività
3 giorni fa
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Una sanzione da 2,95 miliardi di euro, la terza in poco più di un decennio: l’ennesimo capitolo della lunga partita tra Bruxelles e Google non è solo un numero a nove zeri, ma l’affermazione politica e giuridica che la Commissione europea non intende arretrare davanti allo strapotere delle piattaforme digitali. L’accusa è di aver manipolato il funzionamento del mercato pubblicitario digitale, favorendo i propri strumenti a scapito di una concorrenza effettiva.

La decisione colpisce il cuore del cosiddetto “adtech”, l’infrastruttura che regge il sistema degli annunci online e che garantisce entrate a milioni di siti e servizi gratuiti. Un ecosistema in cui Google gioca su entrambi i lati del campo: controlla i software che gli inserzionisti utilizzano per comprare spazi e quelli che gli editori usano per venderli. Un conflitto di interessi strutturale, riconosciuto nero su bianco da Bruxelles.

Non è un episodio isolato: già in passato la Commissione aveva sanzionato il colosso californiano per pratiche anticoncorrenziali nella ricerca online e nei sistemi operativi mobili. Stavolta, però, la portata è più ampia: l’impatto riguarda non solo i competitor, ma tutti i cittadini europei che, secondo l’esecutivo Ue, hanno finito per pagare prezzi più alti e ricevere servizi più poveri.

Adtech, il cuore dell’economia digitale e il terreno dello scontro

La pubblicità online rappresenta la fonte primaria di finanziamento di gran parte dei contenuti gratuiti accessibili sul web. È grazie agli introiti pubblicitari che quotidiani online, piattaforme di streaming, blog e app possono offrire servizi senza abbonamento o a costi contenuti. L’industria adtech, cioè l’insieme di tecnologie e intermediari che regolano il processo di acquisto e vendita degli spazi pubblicitari, vale centinaia di miliardi di euro a livello globale.

Google, attraverso strumenti come DoubleClick, Ad Manager e Display & Video 360, è presente in ogni segmento della catena: dalla parte degli inserzionisti a quella degli editori, passando per le piattaforme di intermediazione. Questa posizione integrata, secondo la Commissione, ha consentito al gruppo di “indirizzare” le aste pubblicitarie in modo da privilegiare i propri sistemi. In pratica, chi voleva avere accesso al mercato più ampio era costretto a passare dalle tecnologie di Mountain View, pagando condizioni meno vantaggiose rispetto a un mercato concorrenziale.

Il risultato: gli inserzionisti hanno affrontato costi più alti, che inevitabilmente si sono scaricati sul prezzo finale di beni e servizi per i consumatori, mentre gli editori hanno visto ridursi i ricavi, con conseguente minore capacità di investire in qualità e innovazione. Secondo la Commissione, Google ha abusato della sua posizione dominante su entrambi i lati della filiera adtech, favorendo i propri servizi pubblicitari a scapito di concorrenti, inserzionisti e editori, con un impatto negativo anche sui cittadini europei.

Le misure imposte e l’ipotesi di uno smembramento del business

La sanzione economica, pur imponente, non è l’unico strumento sul tavolo. Bruxelles ha imposto a Google di cessare le pratiche illegali e di affrontare il nodo del conflitto di interessi strutturale. L’azienda ha 60 giorni di tempo per presentare un piano di rimedio, che dovrà convincere la Commissione. In assenza di una proposta credibile, l’esecutivo comunitario non esclude di imporre una misura drastica: la cessione di una parte del business pubblicitario.

La prospettiva di una dismissione di parte delle attività pubblicitarie non è nuova. Già nel 2023 la Commissione aveva indicato che un obbligo di cessione strutturale poteva essere l’unico modo per garantire concorrenza effettiva. Ora, con la decisione definitiva, quella ipotesi torna sul tavolo in maniera esplicita. “Google deve ora presentare un rimedio serio, e se non lo farà non esiteremo a imporre rimedi forti”, ha dichiarato la vicepresidente esecutiva della Commissione Teresa Ribera.

La portata della misura va ben oltre la multa: imporre la vendita di una divisione significherebbe colpire il cuore della macchina che alimenta i ricavi del colosso, riducendone l’influenza sistemica sul mercato digitale. Per Bruxelles, l’obiettivo non è punire ma ristabilire condizioni di concorrenza fondate sul merito e su termini equi, come indicato nella decisione della Commissione. Ma per Google la posta in gioco è globale: il procedimento europeo si incrocia infatti con quello avviato dal Dipartimento di Giustizia statunitense, che muove accuse simili e attende di decidere sui rimedi da imporre.

Una sfida transatlantica per regolare i giganti digitali

La dimensione del caso supera i confini europei. Negli Stati Uniti, un tribunale federale ha recentemente confermato le principali accuse del Dipartimento di Giustizia contro Google in materia di pubblicità online. Le argomentazioni americane ricalcano in larga parte quelle avanzate a Bruxelles, creando un raro allineamento tra le due sponde dell’Atlantico su una questione di concorrenza digitale.

Per la Commissione, questa convergenza apre lo spazio per un approccio coordinato, capace di imporre rimedi efficaci e coerenti a livello globale. “È nell’interesse di tutti raggiungere un esito congiunto, anche per Google stessa e per i cittadini di tutto il mondo”, si legge nella comunicazione ufficiale. L’idea è evitare che l’azienda possa aggirare le regole sfruttando differenze normative tra mercati.

Il caso evidenzia inoltre il salto di scala delle politiche antitrust nell’era digitale. Non si tratta più solo di proteggere i consumatori da cartelli o intese settoriali, ma di affrontare piattaforme che gestiscono intere infrastrutture economiche e che, integrando diversi livelli di servizio, possono condizionare l’accesso al mercato. La decisione contro Google diventa così un test cruciale: verificare se gli strumenti tradizionali del diritto della concorrenza — multe, ordini di cessazione, possibili dismissioni — siano ancora sufficienti a riequilibrare rapporti di forza globali che toccano ogni giorno la vita online di milioni di cittadini.