Eurozona travolta dalle importazioni cinesi? La Bce avverte: rischi per un terzo del mercato del lavoro

Le merci dalla Cina potrebbero essere dirottate in Europa a causa della guerra commerciale scatenata da Trump. Secondo la Banca Centrale Europea, l'aumento della concorrenza di Pechino può avere implicazioni dirette, a partire da auto e chimico
17 ore fa
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Esportazioni cinesi

Quasi un terzo del mercato del lavoro europeo potrebbe essere impattato dall’aumento delle importazioni cinesi nell’area euro. Le imprese, dunque, devono adattarsi a un contesto globale sempre più difficile, caratterizzato attualmente dal nuovo ordine commerciale mondiale imposto dagli Stati Uniti e dalla crescente competitività della Cina (anche) nei settori ad alto valore aggiunto. L’avvertimento arriva da un’analisi pubblicata come parte del Bollettino economico della Banca centrale europea (Bce) numero 5/2025. Lo studio, dal titolo ‘Cosa significa la crescente concorrenza dalla Cina per l’occupazione nell’area dell’euro?’, calcola che tra il 2015 e il 2022 circa 240mila posti di lavoro siano stati persi o riallocati tra settori industriali.

Dazi Usa per Ue in vigore, il 12 agosto scade la tregua tra Usa e Cina

Il contesto è noto: i dazi annunciati da Trump il 1° agosto contro oltre 90 Paesi sono realtà da ieri. L’Ue si trova dunque gravata da una tariffa generale al 15%, mentre proseguono i negoziati con gli Usa per arrivare a una dichiarazione congiunta che formalizzi la stretta di mano scambiata tra la presidente Ursula von der Leyen e il tycoon a fine luglio e rassereni gli animi europei su questioni chiave come le esenzioni.

Intanto martedì prossimo, 12 agosto, scade la tregua tra Usa e Cina, senza che le due parti abbiano raggiunto un vero accordo. Se non si arriverà a una proroga (ritenuta probabile da molti analisti), gli Stati Uniti potrebbero tornare a tariffe del 145% sui prodotti cinesi e la Cina al 125% su quelli americani. Una situazione che di fatto renderebbe impossibile il commercio tra i due Paesi, con gravissime ripercussioni sugli scambi mondiali e sulle catene di approvvigionamento.

E che spingerebbe le imprese del Dragone a dirottare le proprie merci dall’ormai ostile mercato americano verso uno più favorevole, quello europeo (nonostante anche tra Bruxelles e Pechino sia in corso una guerra a suon di tariffe, passata in secondo piano dall’entrata a gamba tesa di Trump nell’agone internazionale).

Il mercato europeo insomma potrebbe fungere da ‘valvola di sfogo’ per le merci cinesi, con un’aggravante, sottolineato dalle autrici dello studio: sebbene noi associamo ancora Cina a prodotti di scarsa o scarsissima qualità e a basso o bassissimo costo, in realtà la concorrenza cinese sui mercati di esportazione globali è ben più temibile, essendosi allargata a settori ad alto valore aggiunto, come veicoli e macchinari specializzati.

Cosa succederà dunque nel futuro?

Esportazioni cinesi nell’area euro in aumento

Partiamo dai dati: il Bollettino della Bce rileva che negli ultimi 30 anni le importazioni cinesi in Europa sono aumentate, con due balzi. Il primo dopo l’adesione di Pechino all’Organizzazione Mondiale del Commercio (2001) e il secondo dopo la pandemia. In quest’ultimo caso, la crescita è stata pari al 60%, e ha portato a una quota cinese delle importazioni di beni dell’area dell’euro pari al 15,6% nel 2024.

Il punto è che le importazioni cinesi riguardano ormai un’ampia gamma di settori, dalla produzione manifatturiera tradizionale alla tecnologia avanzata. I comparti più impattati sono quello automobilistico e chimico, che in 5 anni (tra il 2019 e il 2024) hanno visto aumentare le importazioni dal gigante asiatico rispettivamente del +150% e del +140%. Anche carta, stampa e apparecchiature elettriche hanno visto una crescita elevata, pari all’85%.

240mila posti di lavoro persi o riallocati

L’effetto sul mercato del lavoro è evidente, afferma l’analisi della Bce. Tra il 2019 e il 2024 la domanda di lavoro nel settore dei veicoli è diminuita del 55%, del 95% nell’industria chimica. Al contrario, nel periodo considerato i settori con una minore esposizione alla concorrenza cinese hanno registrato, in media, una domanda di lavoro relativamente stabile.

In sostanza, afferma l’analisi, la domanda di lavoro in Europa è diminuita soprattutto nei settori in cui l’esposizione alla Cina è aumentata maggiormente: una dinamica che si è aggiunta a una serie di shock rilevanti (pandemia, crisi energetica) ma che emerge come fattore autonomo.

La Bce calcola che un aumento di 1000 euro delle importazioni dalla Cina per lavoratore in un settore tra il 2015 e il 2022 comporta una diminuzione di 0,1 punti percentuali del tasso di occupazione in quel settore nello stesso periodo. Tradotto, si tratta di circa 240mila posti di lavoro a livello dell’area dell’euro persi o riallocati in settori meno esposti.

Per rimanere ai settori sopra citati, nel 2024 questi impiegavano 29 milioni di lavoratori, pari a circa il 27% dell’occupazione totale nell’area dell’euro. Ma non è solo una questione di persone: il settore automobilistico conta solo l’1% dell’occupazione totale dell’area dell’euro, tuttavia contribuisce a quasi il 10% del valore aggiunto reale del settore manifatturiero e a poco meno del 2% del Pil dell’area. Di conseguenza, sottolineano le autrici dello studio, l’effetto delle importazioni cinese va valutato in modo globale, non solo rispetto al mercato del lavoro.

Inoltre, avvisa il Bollettino della Bce, sebbene al momento l’impatto sia concentrato in settori come quello automobilistico e chimico, le implicazioni più ampie potrebbero estendersi a quasi un terzo dell’occupazione dell’area dell’euro.

E se nel lungo periodo, spiegano le autrici, l’occupazione totale potrebbe non cambiare molto, poiché l’economia si adatta attraverso variazioni salariali e il movimento dei lavoratori tra le industrie, alcune problematiche come le inefficienze del mercato del lavoro, i costi di adeguamento e le politiche governative potrebbero causare scompensi prima che venga raggiunto il nuovo equilibrio. E andrebbero dunque affrontate dai governi.