Il Consiglio dell’Unione europea ha dato il via libera alle conclusioni sulla Strategia europea per startup e scaleup. Un documento che, al di là della formula burocratica, segna l’ennesimo tentativo di Bruxelles di colmare il ritardo rispetto a Stati Uniti e Cina nel campo dell’innovazione tecnologica. L’obiettivo dichiarato è costruire un ecosistema capace di trasformare la ricerca accademica in impresa, trattenere talenti, aprire accesso a infrastrutture di ricerca e, soprattutto, superare la cronica scarsità di capitali per la crescita delle nuove aziende.
Dietro la cornice istituzionale, resta la domanda cruciale: l’Europa ha davvero gli strumenti per passare dalle dichiarazioni alle soluzioni operative?
Ricerca e impresa, due lati della stessa medaglia
Il Consiglio mette al centro un principio: la ricerca non deve restare confinata nei laboratori, ma trasformarsi in impresa. “Ricerca e imprenditorialità non sono realtà separate, ma due lati della stessa medaglia”, ha dichiarato la ministra danese (il cui Paese che detiene la presidenza di turno dell’Ue) per l’Istruzione superiore e la Scienza, Christina Egelund. “Mentre le istituzioni di ricerca possono aiutare startup e scaleup a decollare e crescere, il settore privato può anche aiutare le istituzioni di ricerca a garantire investimenti e a valorizzare i loro risultati. È una strategia win-win-win: vincono le istituzioni di ricerca, vincono le imprese e vince la competitività europea”.
Il documento chiede di rafforzare la nascita di spin-off accademici e la loro crescita, con un quadro normativo più favorevole. Oggi i vincoli sugli aiuti di Stato limitano la possibilità delle università di sostenere direttamente le imprese innovative. Le conclusioni invitano la Commissione a proporre soluzioni entro il quadro esistente, per dare agli atenei strumenti concreti.
C’è poi la questione della frammentazione. Definizioni diverse di startup, scaleup o imprese innovative nei vari paesi creano ostacoli a programmi comuni. Il Consiglio chiede armonizzazione e semplificazione, per ridurre burocrazia e costi amministrativi. Tra le proposte anche la “Carta di accesso per gli utenti industriali”, che aprirebbe laboratori e infrastrutture di ricerca pubbliche alle imprese private, così da massimizzare l’uso delle attrezzature già finanziate con risorse pubbliche.
Il confronto con Stati Uniti e Cina è inevitabile. Negli Usa, le università sono spesso il motore di distretti tecnologici sostenuti da capitale privato. In Europa i collegamenti esistono ma restano limitati e poco strutturati. Le conclusioni puntano a rafforzare reti come le alleanze universitarie europee, Startup Europe o la European Startup Nations Alliance, ma il nodo resta la capacità di renderle operative come un unico ecosistema e non come iniziative isolate.
Trattenere i talenti e rafforzare le competenze
Il capitale umano è la leva principale della competitività. L’Europa forma ricercatori qualificati ma non riesce a trattenerli. Le conclusioni chiedono di inserire competenze imprenditoriali già nei percorsi accademici, per ridurre il divario con chi, in altre aree del mondo, sa muoversi tra laboratorio e mercato.
I programmi già esistenti restano centrali: Erasmus+, il Consiglio europeo della ricerca, le azioni Marie Skłodowska-Curie, la piattaforma Euraxess e la nuova iniziativa “Scegli l’Europa”. Il Consiglio indica la necessità di rafforzarli e coordinarli, così da trasformarli in strumenti di attrattività reale e non in iniziative frammentate.
Ekaterina Zaharieva, commissaria europea per Startup, ricerca e innovazione, ha messo in relazione questi obiettivi con il contesto internazionale: “Oggi siamo confrontati con sfide geopolitiche che conosciamo tutti bene. C’è una guerra nel nostro continente, ci sono droni che violano lo spazio aereo dell’Ue, aeroporti chiusi, e così via. Dobbiamo integrare le dimensioni di sicurezza e dual use nella ricerca, rimanendo fedeli all’eccellenza e all’apertura, che sono la base per il nostro programma”.
Le discussioni tra i ministri hanno “riflesso un ampio consenso sul dual use nella ricerca” e sulla necessità di “assicurare le appropriate salvaguardie per preservare la sicurezza”, ha aggiunto Zaharieva. Il messaggio è che l’attrattività per i ricercatori dipende anche dalla capacità dell’Ue di garantire un contesto sicuro e stabile.
La mobilità interna è un altro tassello. Rafforzare le reti universitarie europee serve a favorire spostamenti tra paesi senza trasformarli in partenze definitive. L’Europa, nelle intenzioni del Consiglio, deve funzionare come un polo unico. In questa prospettiva, l’applicazione dei principi FAIR (rintracciabilità, accessibilità, interoperabilità e riutilizzabilità) per la gestione dei dati è vista come decisiva per accelerare lo sviluppo e favorire la cooperazione.
Il dibattito sul duplice uso della ricerca
Il tema che ha catalizzato la riunione è stato quello dei progetti a duplice uso, con applicazioni civili e militari. Prima dell’incontro, Egelund aveva spiegato: “Ho visitato personalmente l’Ucraina qualche settimana fa, e stare seduta lì in un rifugio a Kiev ti fa riflettere: in Ue possiamo davvero permetterci di investire in scienza e ricerca senza utilizzare quegli investimenti per proteggere la nostra sicurezza?”.
La ministra danese ha proseguito: “È chiaro che l’innovazione, la difesa, e il collegamento tra difesa e innovazione è cruciale anche nella guerra moderna”. E ha sottolineato che la discussione riguardava “fino a che punto siamo disposti ad aprirci agli investimenti come misura per garantire la nostra sicurezza in Europa”.
Il regolamento di Horizon Europe vieta oggi il finanziamento di progetti militari. Ma la Commissione ha già aperto a una revisione. “Horizon sarà aperto al dual use di default”, aveva dichiarato Zaharieva a luglio, evidenziando che “la divisione tra applicazioni civili e di difesa è molto spesso artificiale” e che “l’Ue non può ignorare il potenziale della ricerca e dell’innovazione per la sicurezza degli europei”.
Al termine del Consiglio, la commissaria ha ribadito che “la prossima versione di Horizon Europe deve riflettere il mondo in cui viviamo”. Egelund ha aggiunto: “Penso che sia importante sfruttare le sinergie tra ricerca e innovazione civile e legata alla difesa, e ripensare l’approccio europeo non è in conflitto con l’obiettivo dell’Europa di promuovere la pace: in realtà lo sostiene”.
La guerra in Ucraina ha reso evidente che innovazione e difesa non possono più essere trattate come ambiti separati. Tecnologie come intelligenza artificiale, robotica o nuovi materiali hanno applicazioni immediate nei due campi. Per questo i ministri hanno discusso la necessità di salvaguardie adeguate, così che l’apertura al duplice uso non comprometta la trasparenza e la responsabilità nell’impiego dei fondi pubblici.
La distanza con Stati Uniti e Cina
Il nodo dei capitali resta irrisolto. Le conclusioni parlano della necessità di “colmare il divario finanziario per le scaleup”. In Europa molte startup nascono, ma poche riescono a crescere oltre la soglia che le renderebbe competitive su scala globale.
Il confronto è netto: negli Stati Uniti si contano oltre 600 imprese tecnologiche valutate più di un miliardo di dollari, in Cina più di 300, in Europa poco più di 100. Il divario riflette non solo la disponibilità di capitali, ma anche la frammentazione dei mercati e regole meno favorevoli agli investitori.
In questo contesto, molte aziende innovative europee vengono acquisite da gruppi esteri o trasferiscono la sede fuori dall’Ue. I ministri hanno chiesto di sfruttare meglio strumenti come InvestEU e il Consiglio europeo per l’innovazione, e soprattutto di ridurre gli oneri burocratici che gravano sulle piccole imprese. L’eccesso di procedure è visto come un freno alla crescita, in un settore che vive di rapidità e flessibilità.
Il problema non riguarda solo la competitività economica. Senza imprese tecnologiche di grande scala, l’Europa resta dipendente dall’estero in settori cruciali come energia, digitale e difesa. La guerra in Ucraina e le tensioni con la Cina hanno mostrato la vulnerabilità di questa dipendenza. La strategia sulle startup, quindi, non è soltanto un piano industriale: è una parte della politica europea per l’autonomia strategica.