Energia e competitività: Grassi (DG Ener) anticipa il Clean Industrial Deal

Il focus del Green Deal 2.0 promesso da von der Leyen sarà sulla crescita industriale. Tra le priorità, investimenti in infrastrutture e abbattimento dei prezzi, spiega il funzionario della Direzione generale per l’energia della Commissione. Le soluzioni: strumenti finanziari, coordinamento regionale, integrazione del mercato, ma anche rinnovabili e Cbam. Senza perdere di vista il fronte energetico in Ucraina
5 mesi fa
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Coniugare le politiche climatiche con quelle industriali e commerciali. Fissare obiettivi commisurati a capacità tecnologiche, risorse disponibili, velocità di dispiegamento di nuovi impianti di energia pulita dell’Unione europea. Sposare decarbonizzazione e competitività. Queste saranno le direttrici del Clean Industrial Deal, il piano di politica industriale che la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha promesso di presentare entro i primi cento giorni del suo secondo mandato.

Per Stefano Grassi, capo di gabinetto della Commissaria all’energia uscente Kadri Simson, il nuovo piano sarà un “cambio di paradigma” rispetto al Green Deal, fondato sull’“imperativo morale di rispondere all’emergenza climatica”. Il Clean Industrial Deal non mirerà a fare marcia indietro sul processo di decarbonizzazione, spiega Grassi a Eurofocus, ma porrà la competitività in cima alle priorità. Citando il rapporto di Mario Draghi, il funzionario ricorda che i costi di passare alle rinnovabili sono “ampiamente ripagati” da un aumento della crescita potenziale europea di 1% all’anno nei prossimi 20 anni.

“È nel nostro interesse continuare la transizione perché la struttura economica e manifatturiera del blocco europeo è incentrata su settori a forte consumo di energia. Se l’Ue non sarà in grado di implementare forme più convenienti e innovative di produzione energetica, se non accetterà la sfida di muoversi verso tecnologie innovative e pulite, non riuscirà a rimanere una potenza economica mondiale e perderà inesorabilmente terreno rispetto a Paesi come Cina e Stati Uniti, ma anche India e Brasile”, sottolinea Grassi, fresco di discussione su questi temi nell’ambito delle riunioni di Cantiere Europa.

Il punto di partenza

Alla ministeriale energia di metà ottobre è emersa una constatazione comune: l’Ue è uscita dalla fase acuta della crisi energetica innescata dall’invasione russa dell’Ucraina, ma i prezzi dell’energia sono ancora fuori scala rispetto ai concorrenti. Negli Stati Uniti, per esempio, l’elettricità costa 2-3 volte in meno (il gas anche 4-5). C’è grande discrepanza anche all’interno della stessa Ue: nel corso dei mesi estivi, alcune regioni europee come i Balcani orientali e la Grecia hanno visto picchi di 300 euro del prezzo dell’elettricità. Altre hanno avuto prezzi stabili e a tratti addirittura negativi grazie alla forte percentuale di elettricità prodotta dalle rinnovabili. Questa frammentazione impatta la competitività industriale e divide il mercato interno generando tensioni tra i vari Stati europei, spiega il funzionario europeo.

Le soluzioni partono dall’accelerazione del dispiegamento delle rinnovabili, insieme a un più ampio uso di una serie di forme contrattuali (l’uso di power purchase agreements, dei contratti per differenza, ma anche la modulazione dell’offerta) di modo che i benefici delle fonte verdi possano ricadere a cascata nel mercato e raggiungere direttamente i consumatori. I Ventisette convengono anche sulla necessità di sviluppare reti di trasmissione e distribuzione e lo stoccaggio di energia.

Bruxelles riscontra da parte degli Stati membri la “decisa volontà” di migliorare l’integrazione dei mercati energetici europei. Però serve più coordinazione a livello regionale e forse una governance europea più forte per risolvere i limiti di interconnessione (come quelli della penisola iberica), far fronte alla mancanza di collaborazione tra operatori di trasmissione e aumentare gli investimenti sulle attività transfrontaliere, spiega il funzionario.

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Incontro del progetto Cantiere Europa, promosso dall’Istituto per la Competitività, con Stefano Grassi e Stefano Da Empoli (sinistra)

Quale Unione energetica?

Il raggiungimento degli obiettivi europei passa dalle infrastrutture – e dal mobilitare risorse “ciclopiche, pari ad alcuni punti di Pil europeo”, ricorda Grassi. La Commissione ha calcolato che solo per le infrastrutture servono almeno 584 miliardi di euro, cifra “probabilmente sottostimata”. Anche se la Banca europea degli investimenti sta mobilitando più risorse e sviluppando prodotti finanziari innovativi, la grande domanda è se gli Stati membri si accorderanno su emettere debito comune per finanziare gli investimenti pubblici e stimolare quelli privati.

Un esempio che porta il funzionario è quello dei collegamenti energetici tra Paesi. Oggi esiste un fondo dedicato – il Connecting Europe Facility – con una dotazione di 5,8 miliardi di euro spalmati su sette anni. È “chiaramente sottofinanziato, visto che comprende 166 progetti di interesse comune europeo”. Sullo sfondo il rapporto Draghi e anche quello di Enrico Letta, secondo cui servirebbe moltiplicare la dote del fondo, snellirlo e renderlo più efficiente. Nel prossimo decennio è “urgente” investire su infrastrutture come le reti elettriche, dato che l’elettricità sarà una parte “sempre più consistente” del consumo finale di energia, ricorda Grassi.

Nel mentre, von der Leyen ha già indicato che presenterà un piano per l’elettrificazione europea all’interno del Clean Industrial Deal. Ha anche chiesto ai tecnici di preparare proposte sul versante della convenienza dell’energia elettrica. Dalla ministeriale europea di ottobre è emersa l’urgenza di rivedere la metodologia per fissare le commissioni di rete e la tassazione energetica. Come sottolinea il funzionario, l’energia da fonti fossili e rinnovabili è tassata in maniera diversa, con le previsioni al 2040 che suggeriscono un forte aumento del peso relativo della tassazione e delle network fees rispetto al costo di produzione dell’elettricità.

Il capitolo Cbam

Sempre di prelievi si parla toccando il tema del meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera, o Cbam. Oggi in fase pilota, il sistema mira a proteggere i produttori europei dalla concorrenza sleale di chi, all’estero, non è tenuto a rispettare le stesse rigide (e costose) regole di protezione dell’ambiente e di carbon pricing. “Non troviamo corretto che le nostre imprese siano svantaggiate per aver abbracciato la logica della decarbonizzazione, interesse globale e collettivo. Quindi Cbam applica un prelievo pari al costo sostenuto dai nostri produttori per rispettare il sistema Ets” di tassazione delle emissioni, ricorda il funzionario europeo.

Il sistema ha già scatenato l’ira di una serie di partner commerciali – tra cui Stati Uniti, India, Cina – che lo vedono come una misura protezionista e minacciano di far ricorso al Wto. Accusa che Grassi smentisce: non si tratta affatto di un’imposta né di un prelievo discriminatorio nei confronti di Paesi terzi, “tant’è vero che qualunque singola impresa esportatrice sul mercato europeo può evitarla semplicemente mostrando che le sue produzioni hanno già ridotto l’intensità di CO2 entro i livelli Ue”.

Citando il rapporto Letta, il funzionario evidenzia la necessità di prendere sul serio le preoccupazione dei partner commerciali europei. Serve una grande “offensiva diplomatica” per spiegare la misura ai partner, trovare soluzioni condivise, evitare che nell’applicazione ci siano effetti perversi. La fase pilota ha già permesso di scoprire delle falle da chiudere, spiega: per esempio, in alcuni casi i prodotti intermedi (come la materia grezza o semilavorata) sono soggetti ai dazi, mentre quelli finali (come i cavi per la trasmissione dell’elettricità, composti in larghissima parte dagli stessi prodotti intermedi) non lo sono.

Tra rinnovabili e idrocarburi russi

Il pacchetto Fit for 55 e le leggi annesse hanno accelerato il dispiegamento delle rinnovabili; in 2 anni è aumentata del 36% l’installazione di eolico e solare. Una “crescita fenomenale che ha già avuto un impatto notevole su decarbonizzazione e riduzione della domanda di gas naturale”, diminuita del 18% rispetto ai 5 anni precedenti al 2022 e rimasta stabile anche grazie all’avanzata delle rinnovabili. Guardando avanti, i Ventisette chiedono più velocità e un miglior equilibrio tra le esigenze di protezione ambientale e l’installazione delle rinnovabili. “Poi c’è la richiesta di dare un quadro oltre al 2030, ossia al 2040, per dare chiarezza agli investitori”, aggiunge Grassi.

Anche il piano RePowerEu, adottato per ridurre l’esposizione alle forniture russe e aumentare la sicurezza energetica, offre dati positivi: dal 2021 al 2023 l’azione combinata dei Ventisette ha ridotto la percentuale di gas russo dal 45% al 15%. Ci sono però “punti di resistenza” nel completamento del piano: nella prima parte del 2024, per una serie di fattori, le importazioni russe sono aumentate. “Rischiamo di finire l’anno con 8 miliardi di metri cubi di gas russo in più rispetto al 2023”, avverte il funzionario europeo, ricordando che ogni euro aumenta la capacità del Cremlino di finanziare la guerra ai confini dell’Ue. Tra le priorità della nuova commissione ci sarà anche una roadmap per il completamento di RePowerEU, promette.

La battaglia di Kyiv

Nel mentre l’Ucraina si avvia ad affrontare “l’inverno più difficile della sua storia recente”. Negli scorsi mesi la Russia ha distrutto circa metà della capacità di generazione ucraina con “un’operazione di distruzione a tappeto delle infrastrutture energetiche”. Oltre alle ore di blackout c’è l’impatto sui servizi essenziali come le forniture idriche, le fognature e il riscaldamento, ricorda Grassi.

Da parte sua Bruxelles è fiduciosa sulle possibilità di chiudere parte del gap da 9 gigawatt aiutando a ricostruire 2,5 Gw di impianti distrutti e favorendo forme decentrate di produzione elettrica, come pannelli solari su ospedali e scuole. Nel mentre esporta verso l’Ucraina un massimo di 1,7 Gw (numero che vuole portare ad almeno 2GW) e lavora con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica per evitare che attacchi diretti o indiretti sulle centrali nucleari possano portare a un collasso della rete elettrica.