Quando i giganti crollano, il sistema trema. E le scosse non sono poche dopo la battuta d’arresto della Germania, prima potenza economica europea, e del più grande produttore europeo di auto, la Volkswagen che potrebbe chiudere due stabilimenti in Germania.
Dalla sua fondazione (1937) ad oggi, l’azienda non ha mai dovuto chiudere fabbriche: “Volkswagen da sola ha perso vendite per circa 500mila auto, l’equivalente di circa due stabilimenti” ha spiegato il direttore finanziario Arno Antlitz incontrando gli operai nello stabilimento di Wolfsburg.
Il crollo delle auto elettriche in Germania rischia di essere un campanello d’allarme: gli esperti prevedono che anche altri settori produttivi tedeschi potrebbero andare in crisi. Per alcuni, il crollo è colpa delle regole europee troppo rigide nei modi e nei tempi. Sul punto, Luca de Meo, Ceo del gruppo Renault e presidente dell’Associazione europea dei costruttori di automobili (Acea), chiede a Bruxelles “un po’ di flessibilità” facendo eco al governo italiano che parla di “follia ideologica” e chiede il rinvio dello stop ai motori termici, fissato da Bruxelles al 2035.
La crisi economica in Germania: non solo auto
Per altri addetti ai lavori, la responsabilità è delle aziende che “non hanno colto la trasformazione” dell’economia e dell’industria e sono “rimaste indietro”, come sostiene il presidente del Deutsche Institut für Wirtschaftsforschung (Istituto Tedesco per la Ricerca Economica, o Diw), Marcel Fratzscher.
“Non si tratta solo del settore automobilistico, ma anche di quello dei macchinari, del farmaceutico, chimico. È un problema che hanno in molti”, ha aggiunto Fratzscher a Euronews.
In effetti, il più grande produttore chimico del mondo Basf, che ha sede centrale in Germania, sta valutando l’ipotesi di licenziare lavoratori in Germania (e di trasferire parte della produzione in Asia) di fronte all’incremento dei prezzi dell’energia causato dalla guerra in Ucraina e della burocrazia tedesca.
Non è un’eventualità, “Le aziende tedesche – spiega ancora Fratzscher – hanno già dislocato molta produzione in Cina, in India e altrove, e questo continuerà”. Il costo della manodopera di gran lunga inferiore e i sovvenzionamenti statali rendono impari la competizione con le aziende cinesi. Tanto che da luglio, l’Ue ha deciso di rispondere alla “concorrenza sleale” della Cina rincarando i dazi già esistenti su alcuni brand cinesi. Con la stretta di questa estate, l’Ue ha applicato dazi sulle auto di diverse case automobilistiche cinesi con percentuali che vanno dal 27,4% al 47,6%. I produttori di veicoli elettrici cinesi che hanno collaborato all’indagine Ue ma che non sono stati sottoposti al campionamento saranno soggetti a un dazio medio ponderato del 20,8%.
Pechino ha risposto avviando un’indagine antidumping e prodotti a base di carne di maiale dall’Unione europea. La stessa Germania non è mai stata favorevole ad una politica troppo restrittiva nei confronti del Paese di Xi Jinping, preferendo un compromesso.
L’eclatante crollo delle auto elettriche di fine 2023
Una battuta d’arresto fragorosa è arrivata a cavallo tra lo scorso e il nuovo anno. A dicembre 2023 l’Ue ha registrato un calo di immatricolazioni di auto elettriche pari al 3,8% in Europa, primo dato negativo dopo sedici mesi consecutivi positivi, ma in Germania il crollo è diventato un abisso del 23%!
A dicembre, il Paese aveva cancellato con effetto immediato e senza preavviso il Umweltbonus, l’agevolazione statale per l’acquisto di auto elettriche generando il panico tra chi aveva ordinato, acquistato e pagato una macchina elettrica e aspettava solo di riceverla. Lo schema del bonus, infatti, prevedeva che le agevolazioni scattassero solo al completamento della consegna. Praticamente chi aveva ordinato l’auto entro il 17 dicembre scorso, ma non l’aveva ancora ricevuta, ha perso improvvisamente il bonus a cui pensava di avere diritto. Giova ricordare come secondo il presidente di Acea, Luca de Meo, proprio incertezza sulle agevolazioni statali è una delle principali cause della crisi del settore.
Nel caso tedesco, lo stop improvviso fu praticamente obbligato dalla sentenza della corte di Karlsruhe che aveva definito incostituzionale il trasferimento di ingenti risorse federali inizialmente stanziate per contrastare la pandemia del coronavirus a un nuovo fondo “fuori bilancio” per il contrasto ai cambiamenti climatici. A spiegarlo è stato un portavoce del ministero guidato dal verde Robert Habeck: “[la cancellazione del bonus] è una conseguenza diretta della sentenza”.
Nel frattempo, la Cina aumenta il vantaggio nel settore BEV mentre l’Ue sembra aver esaurito il bacino di utenti disposti ad acquistare un’auto elettrica o ibrida.
Quale futuro per l’economia tedesca ed Ue?
L’Istituto Tedesco per la Ricerca Economica prevede una “stagnazione dell’economia tedesca quest’anno e una graduale ripresa nei prossimi anni”. Intanto, la crescita si è nuovamente contratta nel secondo trimestre del 2024, mentre la produzione industriale continua a diminuire. Già nel 2023, l’economia tedesca ha chiuso con una contrazione annuale dello 0,3%, un evento raro per la Germania (solo nove volte dal 1951). Malgrado i dati siano leggermente migliori delle previsioni del governo e del Fondo monetario internazionale, che avevano previsto una contrazione della prima economia europea dello 0,4% e dello 0,5%, la Germania ha comunque fatto molto peggio della media dei Paesi Ue.
L’industria automobilistica è stata particolarmente colpita dalla scarsa domanda di veicoli elettrici, che a sua volta è dipesa dalla lentezza degli investimenti nelle infrastrutture, colonnine ma non solo. Investimenti, appunto: per Mario Draghi occorre doppiare quelli del Piano Marshall per far sì che l’economia europea non crolli. L’ex presidente della Bce ha presentato oggi ufficialmente il Rapporto sulla competitività europea commissionatogli da Ursula von der Leyen.
Il monito di Draghi è netto: “Se l’Europa non potrà diventare più produttiva saremo costretti a scegliere. Non saremo in grado di diventare, allo stesso tempo, leader nelle nuove tecnologie, un faro della responsabilità climatica e un attore indipendente sulla scena mondiale. Non saremo in grado di finanziare il nostro modello sociale. Dovremo ridimensionare alcune, se non tutte, le nostre ambizioni”.
Tuttavia, Fratzscher è meno pessimista, almeno sulle aziende tedesche “sempre state molto innovative”, dopo essersi reinventate più volte.
La selezione naturale delle aziende
Per il presidente del Diw una “selezione naturale” delle aziende farebbe bene all’economia. “Il cambiamento significa spesso consolidamento. Ma le aziende devono anche trasformarsi per poter investire e sviluppare nuove tecnologie”, ha affermato Fratzscher.
Per gestire questa transizione anche a livello europeo, Fratzscher ritiene che saranno necessari investimenti per i prossimi cinque anni. Anche per lui, la parola d’ordine è investire che, in altre parole, significa non cambiare direzione ma continuare il percorso già intrapreso, ma con molta più convinzione.
Siccome l’economia tedesca dipende in larga misura dall’industria automobilistica, resta il timore che i sacrifici e i licenziamenti che accompagneranno i nuovi investimenti abbiano ripercussioni pesanti sull’economia tedesca. Intanto l’estrema destra di Afd si ciba delle difficoltà economiche, cresce e porta al trionfo Björn Höcke, l’uomo per cui “Hitler non fu il male assoluto”.